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Redditometro alla prostituta

Per la Cassazione il redditometro rivela che la prostituta non ha pagato Iva e Irpef, per contestare l'accertamento non bastano le dichiarazioni di parenti e amici


Redditometro alla prostituta: non ha pagato Irpef e Iva

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Con l'ordinanza n. 6405/2021 (sotto allegata) la Corte di Cassazione chiarisce che quando viene effettuato un accertamento tributario su una contribuente, le dichiarazioni di parenti e amici, che hanno versato denaro sul conto corrente della stessa per aiutarla, non bastano a provare la provenienza del reddito.La testimonianza infatti non è una prova ammessa nel processo tributario. Nel caso di specie, per accertare il reddito di una meretrice, l'Agenzia ha fatto ricorso allo strumento del redditometro, rideterminando in questo modo il reddito imponibile. Ma vediamo meglio come si sono svolti i fatti.

La vicenda processuale

Una contribuente si oppone all'avviso di accertamento, relativo all'anno d'imposta 2007 con cui viene richiesto il pagamento d'IVA e IRPEF, non corrisposti a causa dell'omessa dichiarazione dei redditi, conseguiti per lo svolgimento di attività di meretricio. Applicato il redditometro il reddito imponibile viene rideterminato.

La CTP di Milano accoglie l'opposizione della donna perché rileva che i beni che indicano la capacità contributiva della donna in realtà sono stati acquistati con il denaro del padre, che l'ha aiutata nel corso del tempo perché malata.

L'Agenzia delle Entrate però ricorre alla CTR Lombardia, che respinge il gravame, rilevando l'utilizzabilità delle testimonianze consistenti in dichiarazioni di terzi, che hanno aiutato economicamente la donna, così come delle movimentazioni bancarie della contribuente, da cui si desume l'infondatezza della pretesa tributaria avanzata.

Le testimonianze di parenti e amici non sono ammesse nel processo tributario

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L'Agenzia delle Entrate però non si arrende e ricorre in Cassazione sollevando i seguenti motivi.

Le dichiarazioni di parenti e amici non bastano a provare la provenienza del reddito

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La Cassazione con l'ordinanza n. 6405/2021 accoglie il terzo motivo del ricorso, dichiarando assorbiti gli altri. Nella motivazione della sentenza la Cassazione precisa infatti fin da subito che per motivi di priorità logica deve essere esaminato il motivo con cui l'Agenzia delle Entrate ha messo in evidenza l'inutilizzabilità delle testimonianze nel processo tributario, dovendo, le dichiarazione dei terzi, valutarsi come meri elementi indiziari, da esaminare congiuntamente alle altre prove, in ragione del rapporto di parentela e amicizia esistente tra i dichiaranti e la contribuente. Doglianza che gli Ermellini condividono, in quanto l'art. 7 del dlgs n. 546/1992, esclude l'ammissione del giuramento e della prova testimoniale nel processo tributario.

Come precisato infatti dalla Cassazione n. 29757/2018 "nel processo tributario il divieto di prova testimoniale posto dall'art. 7 del dlgs n. 546/1992 non osta alla produzione sia da parte dell'amministrazione finanziaria che, in ragione dei principi del giusto processo ex art. 111 Cost. del contribuente, di dichiarazioni rese da terzi in sede extra processuale che assumono valenza indiziaria sul piano probatorio."

A carico del contribuente però, prosegue la Corte, è posto un analitico e preciso onere probatorio "che non può essere assolto solo attraverso il ricorso a dichiarazioni di terzi che non possono assurgere al rango di prove esclusive della provenienza del reddito accertato, potendo concorrere a formare il convincimento del giudice, ma non a giustificarlo senza ulteriori elementi che, nel caso di specie, non sono stati esplicitati."

Data: 13/03/2021 11:00:00
Autore: Annamaria Villafrate