Brevi riflessioni sulla mafia nei governi locali
La nascita della mafia
Per poter capire come il fenomeno "maffia" o "mafia" si sia sviluppato indisturbatamente fino ai giorni nostri, bisogna partire dalla storia della sua nascita e diffusione. Inizialmente alcuni esponenti politici locali, pur sapendo e servendosi di queste personalità mafiose, preferirono etichettare questo termine come "fantasioso".
"La mafia non esiste è un'invenzione dei giornalisti": cosi molti nostri esponenti politici parlavano di questo problema, che poteva essere fermato fin dalle sue origini, e che invece silenziosamente ha continuato a proliferare per tutta l'Italia.
Per poter meglio comprendere i rapporti tra la mafia e i governi locali, che, nel corso degli anni, si sono andati ad intersecare tra di loro, bisogna fare un piccolo excursus storico sulla nascita della mafia.
Tra gli innumerevoli dossier sul tema della mafia, non si riescono a trovare facilmente libri di storia che spieghino questo fenomeno. Sia sa che il termine "maffia" o "mafia" si è sviluppato tra la fine dell'800 e l'inizio del '900.
Questo fenomeno ha preso vita con il processo di democratizzazione che ha visto come principale protagonista il Sud Italia e più precisamente la regione Sicilia, dove le organizzazioni malavitose coltivavano e coltivano ancora oggi fitti rapporti con esponenti politici
durante le campagne elettorali (in particolar modo quelle comunali).
Emerge con forza bruta il ritratto indelebile di una struttura criminale che aspira a modellarsi sullo Stato prendendone in appalto le funzioni fondamentali del monopolio della violenza territoriale.
Il caso Galati
Quando si parla dei rapporti tra mafia e governi locali, ritorna alla mente il dossier delle disavventure del dottor Galati, alle prese con la mafia dell'Uditore, che non fu abbandonato in un cassetto, ma consegnato ad una Commissione Parlamentare d'inchiesta che indagava sullo stato dell'ordine pubblico in Sicilia.
L'inchiesta parlamentare che si svolse nell'estate nel 1875 (che però fu presentata solo nel gennaio del 1877) è stata la prima nella storia a trattare il tema delle mafie, in particolare a fare emergere i rapporti tra la mafia e la politica.
L'inchiesta in realtà fa parte di un più ampio dramma politico che ebbe luogo in Sicilia tra il 1875 ed il 1877, da cui si ricava che il sistema politico italiano non soltanto non combatté la mafia dalle origini, ma contribuì attivamente al suo sviluppo.
Da approfonditi studi si arrivò ad affermare che la mappa della politica italiana ricalcava quella della Sicilia. La storia prima menzionata non è stata raccontata a caso, perché ha rappresentato l'inizio della sottovalutazione del vero e reale potere della mafia, ad opera della prima commissione designata sul tema.
Già nel 1988, la classe politica italiana disponeva delle giuste conoscenze per combattere la mafia. Questa sottovalutazione del reale pericolo della criminalità organizzata fece si che essa potesse liberamente espandersi all'interno degli apparati amministrativi italiani.
Mafiosi come amici
Giuseppe Albanese, questore di Palermo nel lontanissimo 1867, affermava che i capi mafia si potessero utilizzare a tutela della sicurezza (era quello che un contemporaneo dell'epoca definì come l'approccio omeopatico alla questione riguardante l'ordine pubblico).
In pratica, lo scopo delineato dal questore di Palermo era quello di cercare di diventare "amici" dei mafiosi in modo da poterli utilizzare come procacciatori di voti ed all'occorrenza anche come agenti di polizia ufficiosi, e come contropartita per il loro aiuto si poteva offrire loro un concreto aiuto per controllare i loro nemici.
Poi, ovviamente, si scoprì che Albanese era un colluso.
Perché la mafia è stata sottovalutata
Possiamo concludere affermando che la mafia sia una banale storia criminale, perché essa, che piaccia o meno, fa parte della storia italiana, rivestendo un ruolo primario.
Le organizzazioni criminali sono parte integrante della storia del potere in Italia e fanno parte a pieno titolo della storia sociale, civile, politica e religiosa del nostro bel Paese. Bisogna sempre tenere a mente che il Sud non è un mondo isolato dal resto d'Italia.
Non a caso Santi Romano, giurista di origini siciliane, che, durante i suoi studi, si pose il problema di studiare la società in relazione al diritto, arrivò alla bizzarra conclusione che non esiste solo l'ordinamento giuridico dello Stato, ma anche quello della mafia e della Chiesa.
Ma se gli organi preposti avevano fin dalle origini tutti gli strumenti per poter fermare la criminalità organizzata, perché non li hanno messi in atto? Perché hanno continuato a sottovalutare questo fenomeno?
Forse perché inizialmente si pensava di aver a che fare con semplici delinquenti di paese di un'Italia del Sud, dove regnava la più totale ignoranza.
Ignoranza che, con il passar del tempo, è stata attribuita non più ai mafiosi, ma a coloro che non hanno saputo gestirli e fermarli.
Il mafioso non è mai stato solo un contadino ignorante, che andava con la sua coppola a zappare le terre dei ricchi possidenti terrieri, ma una personalità raffinata ed ingegnosa.
Data: 25/03/2021 12:00:00Autore: Chiara Ruggiero