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Blackout challenge: è istigazione al suicidio?

Mentre le Procure italiane indagano sulle morti che potrebbero essere legate alla sfida social di soffocamento, il GIP di Milano archivia un procedimento per istigazione al suicidio


Challenge su internet: i rischi delle sfide social

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Le piattaforme social, di sfide, o per meglio dire di "challenge", ne sono piene. Alcune di queste invitano gli utenti a cimentarsi in attività per lo più goliardiche, mentre altre si sono invece rivelate particolarmente assurde e in molti casi pericolose per la vita e l'integrità fisica degli utenti.

Un rischio particolarmente avvertito soprattutto quando in gioco ci sono i più piccoli, ovvero bambini e adolescenti che su questi social si iscrivono (spesso pur non avendone l'età), in diversi casi all'insaputa degli adulti, e che si lasciano facilmente suggestionare dalle tendenze e dalle sfide proposte sino a lasciarsene travolgere con drammatiche conseguenze derivanti dall'emulazione.

Negli anni, purtroppo, sotto ai riflettori ne sono finite tante (come la famigerata "Blue Whale Challenge") e nell'ultimo periodo è il turno di un sfida nota come "Blackout Challenge" (o Hanging Challenge), che circola sui social da molti anni e sembrerebbe recentemente tornata in auge (in particolare su TikTok), e additata da molti come la causa della morte di alcuni adolescenti.

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Blackout challenge: di cosa si tratta?

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Obiettivo della "Blackout Challenge" sarebbe quello di sfidare gli utenti a trattenere il respiro per il maggior tempo possibile, resistendo di solito con una cintura o un laccio stretti attorno al proprio collo, per sperimentare sensazioni simili alla perdita di conoscenza o all'euforia di quando a 7 mila metri di quota ci si trova senza ossigeno. Comportamenti di cui salta immediatamente all'occhio l'elevata e intrinseca pericolosità, in quanto chi si cimenta nella "challenge" potrebbe trovare la morte per asfissia.

Ed è quanto avvenuto in diversi casi in tutto il mondo, facendo scattare le indagini delle forze dell'ordine per cercare e rimuovere dalla rete i video che incitano alla sfida mortale. Anche nel nostro paese si teme che alcune morti sospette di adolescenti e ragazzini possano essere in qualche modo correlate alla Blackout Challenge.

A gennaio 2021, una ragazzina di Palermo di appena 10 anni è deceduta dopo aver utilizzato una cintura di un accappatoio per privarsi del respiro, sembrerebbe proprio per partecipare a questa prova di soffocamento estremo e per poi pubblicare un video sul social TikTok dopo essersi ripresa con il cellulare. Sui fatti indaga la procura dei minori che ha aperto un fascicolo per "istigazione al suicidio" a carico di ignoti.

All'epoca, la piattaforma di video sharing aveva dichiarato di non aver "riscontrato alcuna evidenza di contenuti che possano aver incoraggiato un simile accadimento" e assicurato il proprio impegno nel continuare l'attento monitoraggio della piattaforma. Lo scorso febbraio, dopo essere stato attenzionato dal Garante della Privacy, TikTok ha confermato l'impegno ad adottare misure per bloccare l'accesso agli utenti minori di 13 anni e ad attuare una campagna informativa per sensibilizzare genitori e figli.
A fine marzo 2021, un nuovo caso ha alimentato il dibattito a seguito del ritrovamento senza vita di una dodicenne a Borgofranco di Ivrea (Torino), impiccata ad una mensola con la cintura di un accappatoio. Anche il tal caso le indagini non hanno trascurato l'ipotesi che si potesse trattare di una sfida social finita male.
Indipendentemente dalle conseguenze che avranno i procedimenti aperti dalla Procure, i casi esaminati hanno tutti avuto modo di accendere un riflettore sul vuoto di tutela nell'ambito del digitale e in particolare per quanto riguarda i social network, come dimostra anche l'intervento del Garante Privacy che mira a colmarlo.

Blackout challenge è istigazione al suicidio? La decisione del Gip di Milano

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Tuttavia, per quanto riguarda il reato di "istigazione al suicidio", nella pratica sembrerebbe alquanto difficile giungere a una condanna in tal senso, come dimostra il recente decreto del 21 marzo 2021 (qui sotto allegato) del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano che ha deciso di archiviare il procedimento ex art. 582 c.p. aperto nei confronti dei due indagati.
Il caso, che scosse l'opinione pubblica nel 2018, è legato alla morte di un 14enne di Milano trovato impiccato nella sua stanza con una corda alla traversa del letto a castello. Dalle indagini immediatamente attivate dai carabinieri, era emerso come, poche ore prima del rinvenimento del corpo, il giovane avesse visualizzato dei video su Youtube che descrivevano alcune pericolosissime pratiche (challenge) messe in atto dai ragazzi al fine di riprendersi e postare i video sulla rete, tra cui la c.d "sfida del blackout" basata sulla volontaria adozione di tecniche di soffocamento, finalizzate a provocare transitoria perdita di coscienza, per poi risvegliarsi in uno strato di ebbrezza.
Sul registro degli indagati erano finiti i titolari di due canali Youtube sui quali, rispettivamente, erano stati caricati il video visionato dal ragazzo e un altro che menzionava e discuteva del fenomeno della sfida del blackout.

Niente istigazione al suicidio: prove insufficienti a sostenere l'accusa

Per il G.I.P. non si rinvengono sufficienti principi di prova per sostenere l'accusa in giudizio, in primo luogo per difetto di dolo, anche solo generico, di far sorgere, rafforzare o agevolare il proposito suicidiario nella indistinta platea degli utenti della rete internet, potenziali destinatari del video.
Il magistrato evidenzia come i video non appaiano affatto finalizzati a incentivare realmente l'emulazione delle sfide e come gli autori ne avessero più volte ribadito la pericolosità e invitato a non sperimentare mai alcuno dei "giochi" illustrati in quanto avrebbero avuto conseguenze pregiudizievoli sulla vita di chi avesse provato. Addirittura, uno dei due autori aveva inserito l'immagine di una persona in ospedale in gravi condizioni proprio per enfatizzare questo messaggio.
Inoltre, in secondo luogo, difetta anche la prova della sussistenza del fatto, non essendo integrati gli elementi costituivi della condotta come descritti dal legislatore ex art. 580 del codice penale: nel caso di specie la volontà suicidiaria non è mai esistita nel ragazzo, non è mai stata determinata, né agevolata, né rafforzata.
L'intento del ragazzo, come puntualmente ricostruito dagli inquirenti, "era in buona sostanza non quello di privarsi della vita, ma di cimentarsi nella sfida del soffocamento per provare l'ebbrezza dello svenimento per pochi minuti", come prevede la Blackout Challenge, e dunque "non può dirsi che una volontà suicidiaria sia mai appartenuta al minore, né tantomeno che egli abbia posto in essere un'azione volta a concretizzarla".

Possibile parlare di omicidio colposo?

Per il G.I.P., inoltre, neppure si configura l'ipotesi di omicidio colposo ex art. 580 c.p. non essendo configurabili "né profili di colpa della condotta degli indagati – o di altri soggetti responsabili del sito su cui i video per cui è processo sono girati – né la sussistenza di un nesso di causalità tra eventuali condotte (anche omissive ed eventualmente qualificabili come negligenti imprudenti o imperite o inosservanti di leggi, regolamenti, ordini e discipline) e l'evento morte come si è concretamente verificato".

Gli autori del video, precisa il decreto di archiviazione, hanno spiegato con estrema chiarezza la natura assolutamente rischiosa delle condotte descritte e formulato numerosi, ripetuti, espliciti avvertimenti sia verbali, sia sotto forma di immagini, proprio per evidenziare, ammonire e rendere accorti gli utenti sulle conseguenze pregiudizievoli nell'emulare simili comportamenti.
A conclusione delle dettagliate indagini poste in essere dalla Procura meneghina, stante la delicatezza della vicenda esaminata, si ritiene si sia trattato dunque di una tragica finalità, avendo gli indagati agito come "cronisti" in relazione a una pratica descritta come pericolosa nei loro video. Il provvedimento del G.I.P. di Milano, in eventuali analoghe situazioni, potrebbe porsi come un importante precedente.

Nessun illecito amministrativo per la piattaforma

In ultima battuta, il Giudice si sofferma anche sulla posizione di Youtube, ritenendo che a carico della società non sia individuabile alcun illecito amministrativo, con riferimento all'adeguatezza delle procedure aziendali adottate da Yotube LLC (Google LLC) e delle "regole della community", tema attuale e dibattuto.
Come si legge nel decreto, "l'autorità giudiziaria è stata più volte investita della questione relativa agli obblighi di monitoraggio della rete da parte degli Internet Service Provider e, in particolare, degli hosting provider (si pensi al caso che ha chiamato in causa proprio GOOGLE LLC, Cass. pen., Sez. III, 17 dicembre 2013 e, sotto altro profilo, Cass, civ., Sez. I, n. 7708 e 7709 del 19/3/2019)".
Tanto premesso, tuttavia, la vicenda oggetto del procedimento, che pure può rappresentare momento di riflessione e confronto, anche de iure condendo, per il magistrato "non consente ulteriori considerazioni, dovendosi dare atto dell'insussistenza di violazioni di norme di cautela, da parte degli indagati, direttamente riconducibili al tragico epilogo".
Data: 19/04/2021 15:00:00
Autore: Lucia Izzo