Responsabile il medico che non riconosce un infarto atipico
I sintomi dell'infarto
Sebbene, generalmente, l'infarto sia preannunciato dal dolore toracico, o, più tecnicamente, dalla precordialgia, un medico diligente non può non sapere che non sempre i sintomi delle patologie ischemiche cardiache sono specifici ma, anzi, in un numero significativo di casi il paziente addirittura risulta asintomatico.
Lo ha sottolineato la Corte di cassazione nella pronuncia numero 16843/2021 qui sotto allegata, che ha posto in evidenza che può ben accadere che un infarto si presenti come atipico, ovverosia si manifesti con segnali "non riconducibili univocamente a un corteo sintomatologico specifico e inequivocabile".
Diagnosi differenziale d'obbligo
Nel caso di specie, il paziente lamentava dolore alle braccia e aveva raccontato di aver avuto un episodio di vomito la sera prima dell'accesso in pronto soccorso e di aver eseguito sforzi fisici durante la giornata lavorativa.
A fronte di tale quadro, pur in assenza di una sintomatologia univocamente riconducibile a una patologia ischemica, per la Cassazione il medico avrebbe dovuto rappresentarsi l'eventualità di essere di fronte a un soggetto con infarto in corso e non avrebbe dovuto mandare via, come fatto, il paziente poi deceduto.
Vi erano, insomma, "tutte le condizioni che suggerivano, ed anzi imponevano al medico di turno di esperire accertamenti onde pervenire a una diagnosi differenziale, ossia di considerare l'ipotesi - tutt'altro che remota che i sintomi presentati … potessero essere correlati a episodio di cardiopatia ischemica acuta e che si dovesse pertanto procedere ad accertamenti in tale direzione".
Il nesso di causalità
Con riferimento al nesso di causalità, la Corte ha avuto modo di accertare che "ove i necessari esami diagnostici fossero stati eseguiti dal dott. … nella prospettiva di una diagnosi differenziale, l'episodio infartuale acuto in corso … sarebbe stato immediatamente accertato, il paziente sarebbe stato immediatamente avviato all'unità di terapia intensiva coronarica, ove gli sarebbe stata praticata la defibrillazione e, con elevato grado di probabilità logica, il paziente stesso si sarebbe salvato".
Vale quindi il principio in più occasioni affermato dalla giurisprudenza, in forza del quale il rapporto di causalità tra omissione ed evento può dirsi sussistente quando, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di fattori casuali alternativi, con elevato grado di credibilità razionale l'evento non avrebbe avuto luogo o avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore entità lesiva.
Data: 14/05/2021 06:00:00Autore: Valeria Zeppilli