Divorzio congiunto: sì all'accordo per trasferire immobili
Per la Cassazione a Sezioni Unite è consentito nel divorzio a domanda congiunta e nella separazione consensuale inserire clausole che trasferiscano immobili o diritti reali a favore di coniuge o figli
- Divorzio congiunto: ok alle clausole per trasferire immobili o diritti reali
- Trasferimento diritti reali e divorzio congiunto
- Verbale d'udienza e forma scritta ex art. 1350 c.c.
- Principi di diritto
Divorzio congiunto: ok alle clausole per trasferire immobili o diritti reali
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Nel divorzio a domanda congiunta e nella separazione consensuale è consentito ai coniugi inserire clausole che riconoscono, a uno o a entrambi, la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o altri diritti reali, o anche che ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento. L'accordo omologato ha la forma di atto pubblico. Tale accordo di divorzio o di separazione, poiché inserito nel verbale d'udienza, redatto da un ausiliario del giudice , assume forma di atto pubblico.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza n. 21761/2021 (qui sotto allegata) risolvendo il contrasto giurisprudenziale sorto in materia. Viene accolto il ricorso di una coppia che aveva richiesto procedersi a divorzio congiunto prevedendo, tra le altre condizioni dell'accordo, il trasferimento definitivo a favore dei figli della coppia, maggiorenni economicamente non autosufficienti, della quota del 50% della nuda proprietà spettante al padre sull'immobile adibito a casa coniugale, nonché il trasferimento, da parte del marito alla moglie, dell'usufrutto sulla propria quota dell'immobile.
Il Tribunale prima e la Corte d'Appello poi ritenevano, tuttavia, che i trasferimenti dei diritti reali previsti nelle condizioni di divorzio fossero da intendersi come impegni preliminari di vendita e acquisto e non come trasferimenti immobiliari definitivi con effetto traslativo immediato. Da qui il ricorso in Cassazione a cui segue la rimessione alle Sezioni Unite, trattandosi di questione di massima di particolare importanza anche in virtù del rilevato constato tra le pronunce giurisprudenziali.
Trasferimento diritti reali e divorzio congiunto
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Al Supremo Consesso nomofilattico viene chiesto di fornire un'interpretazione delle norme involgenti profili relativi all'autonomia delle parti in sede di determinazione degli accordi della crisi coniugale aventi ad oggetto il trasferimento immobiliare (art. 1322 e 1376 c.c.), l'interpretazione di tali accordi (art. 1362 e ss. c.c.) e il ruolo svolto dal notaio in relazione all'identificazione catastale dell'immobile e alla sua conformità alle risultanze dei registri immobiliari (art. 19 D.L. 78/2010) stante le conclusioni non univoche a cui è pervenuta la giurisprudenza nazionale.
Richiamando in maniera dettagliata e particolareggiata le posizioni assunte da dottrina e giurisprudenza nel corso degli anni e le decisioni a supporto, gli Ermellini ritengono di condividere e confermare l'orientamento secondo il quale, in sede di separazione consensuale e divorzio congiunto, sono ammissibili accordi tra le parti che non si limitino all'assunzione di un mero obbligo preliminare, ma attuino in via diretta e immediata il trasferimento della proprietà di beni o di altro diritto reale sugli stessi.
Al di là delle differenze tra i contenuti degli accordi della crisi coniugale, la giurisprudenza dominante ha ritenuto dunque permessi quei patti di trasferimento di diritti reali in sede di separazione consensuale e accordo congiunto di divorzio e ulteriori implicite conferme in tal senso sono giunte anche da una serie di decisioni in materia fiscale.
Ammissibili gli accordi tra le parti
Si ritiene del tutto incontroversa, nella giurisprudenza di legittimità, l'ammissibilità (sul piano generale, anche a prescindere dalla materia fiscale) della sola assunzione dell'obbligo di trasferire la proprietà di un bene, o altro diritto reale, con gli accordi di separazione o di divorzio.
Anzi, si legge in sentenza, sotto tale profilo è tata ritenuta egualmente ammissibile e valida "qualsiasi clausola che sia in grado di soddisfare gli interessi delle parti a regolare consensualmente - in quel particolare e delicato contesto costituito dalla crisi coniugale - gli aspetti economici della vicenda in atto, sia essa di mero accertamento della proprietà di un bene immobile, ovvero di cessione definitiva del bene stesso, o ancora di assunzione dell'obbligo di trasferirlo".
Nella giurisprudenza è dunque indifferente la modalità con la quale il regolamento di interessi avvenga, purché esso sia idoneo a garantire un soddisfacente assetto dei rapporti tra le parti, per un futuro nel quale la convivenza coniugale si avvia verso un esito di separazione o di scioglimento, in tempi ragionevoli che consentano di chiudere la crisi al più presto quanto meno sul piano economico. E in tale prospettiva "lo strumento più adeguato si palesa proprio il trasferimento immobiliare definitivo".
Accordi tra coniugi come pattuizioni atipiche ex art. 1322 c.c.
La Corte spiega che la natura negoziale degli accordi dei coniugi, equiparabili a pattuizioni atipiche ex art. 1322, secondo comma, c.c., come affermata dalla giurisprudenza di legittimità, comporta dunque che nessun sindacato potrà esercitare il giudice del divorzio sulle pattuizioni stipulate delle parti.
Al giudice, infatti, sul piano generale non è consentito sindacare qualsiasi accordo di natura contrattualmente privato che corrisponda a una fattispecie tipica libere essendo le parti di determinarne il contenuto (ex art. 1322, primo comma, c.c.), fermo esclusivamente il rispetto dei limiti imposti dalla legge a presidio della liceità delle contrattazioni private, mentre se trattasi di pattuizioni atipiche sempre che l'accordo sia anche merievole di tutela secondo l'ordinamento.
Nel caso di specie, l'impostazione seguita dalla Corte d'appello si è dunque "tradotta in concreto in un limite ingiustificato all'esplicazione dell'autonomia privata" e si è concretata "in una sorta di peculiare, quanto inammissibile, conversione dell'atto di autonomia che da trasferimento definitivo e stato trasformato d'ufficio dal giudice in un mero obbligo di trasferimento immobiliare".
Verbale d'udienza e forma scritta ex art. 1350 c.c.
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La sentenza rammenta anche come l'art. 29 della Legge n. 52/1985 preveda la nullità degli atti di trasferimento di diritti reali su fabbricati esistenti in caso di mancanza dell'identificazione catastale, nonché del riferimento alle planimetrie depositato in catasto e della dichiarazione, resa in atto dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie.
Tuttavia, tale nullità "testuale" non appare ancorabile al soggetto che compie tale accertamento, potendo notificarsi anche qualora l'atto sia rogato da un notaio o le parti private nella scrittura privata autenticata. Ne discende che l'accordo traslativo adottato in sede di divorzio (principio, mutatis mutandis, ritenuto applicabile anche alla separazione consensuale) dovrà contenere a pena di nullità le indicazioni richieste dall'art. 29, comma 1-bis, della Legge menzionata.
Per le Sezioni Unite, il verbale dell'udienza di comparizione dei coniugi redatto dal cancelliere ai sensi dell'art. 126 c.p.c. realizza, da un lato, l'esigenza della forma scritta dei trasferimenti immobiliari, richiesta dall'art. 1350 c.c., e dall'altro riveste natura di atto pubblico avente fede privilegiata, fino a querela di falso, sia della provenienza dal cancelliere che lo redige e degli atti da questi compiuti, sia dei fatti che egli attesta essere avvenuti in sua presenza.
Infatti, "al cancelliere (esattamente come al giudice) compete la qualifica di pubblico ufficiale e lo svolgimento delle formalità relative all'udienza, ivi compresa la stesura del verbale, rientra nell' esercizio di una pubblica funzione (cfr. art. 357 c.p.); sicché gli atti redatti o formati con il suo concorso, nell'ambito delle funzioni al medesimo attribuite, e con l'osservanza delle formalità prescritte dalla legge, costituiscono atti pubblici ai sensi dell'art. 2699 c.c.".
Ciò significa che anche gli incombenti relativi alla verifica della coincidenza dell'intestatario catastale con il soggetto risultante dai registri immobiliari (di cui all'art. 29 della L. n. 52/1985) ben possono, di conseguenza, essere eseguiti dall'ausiliario del giudice, sulla base della documentazione che le parti saranno tenute a produrre, se del caso mediante un protocollo che ciascun ufficio giudiziario (come accade già in diversi Tribunali) potrà predisporre d'intesa con il locale Consiglio dell'ordine degli avvocati.
Principi di diritto
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Le Sezioni Unite, nel risolvere la questione, affermano dunque una serie di principi di diritto. In primis, si chiarisce che sono valide "le clausole dell'accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento".
Ciò "in quanto il predetto accordo, inserito nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è stato attestato, assume forma di atto pubblico ex art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo la sentenza di divorzio (che, rispetto alle pattuizioni relative alla prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa) ovvero dopo l'omologazione, valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c., presupponendo la validità dei trasferimenti l'attestazione del cancelliere che le parti abbiamo prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui all'art. 29, comma 1-bis, della L. n. 52 del 1985".
Invece, "non produce la nullità del trasferimento il mancato compimento, da parte dell'ausiliario, dell'ulteriore verifica soggettiva circa l'intestatario catastale dei beni e la sua conformità con le risultanze dei registri immobiliari".
Autore: Lucia Izzo