L'istanza di accelerazione non può condizionare l'equa riparazione
- Istanza di accelerazione ed equa riparazione
- Equa riparazione processo penale e istanza di accelerazione
- I rimedi acceleratori devono essere effettivi e adeguati
Istanza di accelerazione ed equa riparazione
I rimedi acceleratori contemplati dalla legge sull'equa riparazione da irragionevole durata del processo sono effettivi se sollecitano la decisione da parte del giudice e sono adeguati se la durata ragionevole del processo non è stata già superata. Questa in estrema sintesi la ratio della decisione della Corte Costituzionale espressa nella sentenza n. 175/2021 (sotto allegata).
Per la Consulta infatti è incostituzionale l'art. 2, co. 1, in relazione all'art. 1-ter, comma 2, della legge n. 89/2001, contenente la "Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile" nel testo modificato dall'art. 1, co. 777, lettere a) e b), della legge n. 208/2015, che reca le "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)."
Per comprendere meglio la pronuncia della Corte vediamo cosa prevedono le due norme citate.
- L'art. 2 riconosce e disciplina il diritto all'equa riparazione nei casi in cui risulta violato il principio della ragionevole durata del processo.
- L'art. 1 ter al comma 2 dispone che: "L'imputato e le altre parti del processo penale hanno diritto di depositare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, un'istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all'articolo 2, comma 2-bis". Per quanto riguarda in particolare il processo penale l'art. 2 comma 2 bis prevede che: "Il processo penale si considera iniziato con l'assunzione della qualità di imputato, di parte civile o di responsabile civile, ovvero quando l'indagato ha avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari."
Equa riparazione processo penale e istanza di accelerazione
Il giudizio innanzi alla Consulta viene avviato dalla Corte di Appello di Napoli, per la quale è costituzionalmente illegittimo l'art. 2, comma 1, in relazione all'art. 1-ter, comma 2 (e all'art. 6, comma 2-bis), della legge n. 89 del 2001, nel testo modificato dall'art. 1, co. 777, lettere a), b) e m), della legge n. 208/2015 "nella parte in cui, con riferimento ai processi penali la cui durata al 31 ottobre 2016 non ecceda i termini ragionevoli previsti dall'art. 2, comma 2-bis, e a quelli non ancora assunti in decisione alla stessa data, sancisce l'inammissibilità della domanda di equa riparazione proposta dal soggetto che non ha esperito il rimedio preventivo consistente nel depositare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, un'istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i detti termini."
Il ricorso da parte della Corte di Appello viene presentato perché il ricorrente il 6.02.2020 ha proposto domanda di equa riparazione (legge n. 89 del 2001), per l'eccessiva durata di un processo penale a suo carico, pendente in grado d'appello, che ha maturato un ritardo che legittima la proposizione della domanda e che, tuttavia "al 31 ottobre 2016 non eccedeva i termini ragionevoli stabiliti dall'art. 2, comma 2-bis, della stessa legge." La questione sorge perché in questo processo l'imputato non ha presentato l'istanza di accelerazione del processo, che è prevista come rimedio preventivo dall'art. 1-ter, comma 2, della legge n. 89/20021. Mancata presentazione dell'istanza di accelerazione, che secondo la Corte di Appello di Napoli, conduce, ingiustamente, al diniego dell'indennizzo e alla dichiarazione d'inammissibilità della domanda, in base a quanto previsto dagli artt. 1-bis, comma 2, 2, comma 1, art. 6 comma 2-bis, della legge n. 89/ 2001, in virtù delle modifiche apportate dall'art. 1, comma 777, lettere a) e b), della legge n. 208/ 2015.
Per la Corte d'Appello dette norme contrastano in particolare con l'art. 117, comma 1 della Costituzione, in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).
Dopo avere richiamato diverse e precedenti pronunce della Consulta, la Corte d'Appello rileva pertanto e infine che: "l'istanza di accelerazione del processo penale continuerebbe a non rappresentare un rimedio preventivo effettivamente sollecitatorio (...) in quanto il sistema giuridico nazionale continua a non prevedere alcuna condizione volta a garantire il sollecito esame e il positivo riscontro dell'istanza di accelerazione, né tantomeno a predisporre idonee misure finalizzate a velocizzare la decisione da parte del giudice al quale una siffatta istanza sia stata tempestivamente rivolta."
I rimedi acceleratori devono essere effettivi e adeguati
La Consulta, nell'accogliere le istanze sollevate dalla Corte di Appello, rileva prima di tutto che ai sensi dell'art. 1-bis, co. 2, chi, pur avendo esperito i rimedi preventivi contemplati dall'art 1 ter, tra i quali figura l'istanza di accelerazione, ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell'irragionevole durata del processo, ha diritto a una equa riparazione.
La disposizione però si limita a riconoscere il diritto all'indennizzo a chi ha azionato i rimedi preventivi, per cui la decisione sull'indennizzo è condizionata dalla ammissibilità o meno dei rimedi acceleratori previsti, come, nel caso di specie.
"L'art. 6, comma 2-bis, d'altra parte, detta la disciplina transitoria finalizzata all'applicazione dei rimedi preventivi di cui all'art. 1-ter, stabilendo che - nei processi la cui durata al 31 ottobre 2016 ecceda i termini ragionevoli di cui all'articolo 2, comma 2-bis, e in quelli assunti in decisione alla stessa data non si applica il comma 1 dell'articolo 2 il quale prevede la inammissibilità delle domande di equa riparazione proposte da chi non ha esperito i rimedi preventivi all'irragionevole durata del processo di cui all'articolo 1-ter.
Fondate quindi le questioni sollevate anche perché la Consulta con la sentenza n. 88/2018 aveva rilevato come in effetti i rimedi preventivi non possiedono una concreta efficacia acceleratoria. Gli strumenti elencati dall'art. 1-ter della legge n. 89 del 2001 non vincolano infatti il giudice a quanto richiestogli, perché in ogni caso restano ferme le disposizioni che determinano l'ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti.
Conclusioni che, per la Consulta, sono conformi a quanto sancito dalla CEDU, che ha ribadito l'importanza della prevenzione se si vuole garantire l'effettività dei ricorsi per ottenere l'equa riparazione da irragionevole durata del processo. Il rimedio acceleratorio quindi è da preferire, ma per essere effettivo deve sollecitare la decisione del giudice e per essere adeguato non deve intervenire nei casi in cui è la durata del processo è già chiaramente eccessiva.
Data: 06/08/2021 06:00:00Autore: Annamaria Villafrate