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Consenso informato non desumibile dalle gravi condizioni del paziente

Per la Cassazione in mancanza di consenso informato l'intervento del medico è sicuramente illecito, non potendo tale consenso presumersi dalla gravità delle condizioni del paziente


Le gravi condizioni non bastano per ritenere prestato il consenso

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Il consenso del paziente all'intervento non può ritenersi presuntivamente e tacitamente prestato in virtù della gravità delle sue condizioni, non potendosi da ciò presumere che, quand'anche egli fosse stato informato adeguatamente, avrebbe ugualmente deciso di farsi operare.

Tanto si desume dall'ordinanza n. 27109/2021 (qui sotto allegata) con cui la Corte di Cassazione, terza sezione civile, ha accolto il ricorso dei parenti di una donna, deceduta all'esito di un intervento di angioplastica coronarica eseguito presso l'ospedale ove la signora si era recata per sottoporsi a coronografia.

I ricorrenti sottolineano come l'intervento fosse stato eseguito senza la firma al trattamento e, tra l'altro, come la struttura sanitaria non fosse munita di unità di cardiochirurgia. Circostanze di cui la Corte d'Appello non avrebbe tenuto adeguatamente conto, affermando invece che, se anche i sanitari avessero rappresentato alla paziente tutti i rischi connessi all'intervento poi praticato, nonché la possibilità di eseguire l'intervento presso altre strutture sanitarie specializzate nel settore e/o comunque muniti di un'unità di cardiochirurgia, presuntivamente

Consenso informato e libera e consapevole autodeterminazione

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Gli Ermellini, in apertura, ricostruiscono analiticamente i principali approdi giurisprudenziali in tema di consenso informato rammentando come l'acquisizione da parte del medico del consenso informato costituisca prestazione altra e diversa da quella dell'intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell'eventuale responsabilità risarcitoria in caso di mancata prestazione da parte del paziente (v., da ultimo, Cass. n. 32124/2019).
Il consenso informato, si legge nel provvedimento, "attiene al diritto fondamentale della persona all'espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico (cfr. Corte Cost. 23/12/2008, n. 438), e quindi alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente (v. Cass. 6/6/2014, n. 12830), atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest'ultima non potendo in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana: art. 32, 2° co., Cost.)".
In mancanza di consenso informato, spiega la Cassazione, l'intervento del medico è sicuramente illecito (al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge è obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità), anche quando sia nell'interesse del paziente, l'obbligo del consenso informato costituendo legittimazione e fondamento del trattamento sanitario.
Nel caso in esame, dopo il ricovero la signora fu sottoposta ad angioplastica coronarica presso la struttura ospedaliera, sebbene nella stessa non vi fosse un reparto di cardiochirurgia e pur essendo stata la vittima in precedenza sottoposta a radioterapia per malattia oncologica.
Secondo la Cassazione, la Corte d'Appello ha obiettivamente sbagliato a ravvisare nella "gravità della condizione di salute" della paziente e nella "prospettiva realistica di un evento infausto in caso di non tempestiva sottoposizione al suddetto intervento" motivi che avrebbero indotto la donna, con alta probabilità, ad farsi operare lo stesso, nonché ad aver ritenuto la "necessità ed improcrastinabilità dell'intervento" con conseguente esclusione addirittura della necessità di acquisire il consenso della paziente.

Da un lato, la suddetta "necessità ed improcrastinabilità dell'intervento" risulta obiettivamente smentita dalla circostanza che l'intervento di angioplastica coronarica fosse stato effettuato ben due giorni dopo il ricovero della paziente.
Dall'altro, si ritiene che la Corte di merito abbia sbagliato nel ritenere "presuntivamente e tacitamente" prestato il consenso nonostante i molteplici elementi "gravi, precisi e concordanti" dedotti dai parenti della vittima che, invece, facevano supporre che, qualora correttamente informata, la paziente avrebbe rifiutato sicuramente l'intervento, quantomeno in quella struttura sanitaria e che, ferma restando la possibilità di ricorrere a terapie alternative, la donna avrebbe scelto di eseguire altrove l'intervento medico.
Sul punto, la motivazione dell'impugnata sentenza viene giudicata "del tutto apodittica e intrinsecamente illogica", senza considerare che sarebbero dovuti essere, tra l'altro, proprio i medici della struttura ospedaliera, in virtù del principio di diligente adempimento della propria prestazione, a segnalare la possibilità di farsi operare in altra struttura maggiormente idonea in quanto dotata (quantomeno) di un reparto di cardiochirurgia. Parola al giudice del rinvio.
Data: 16/10/2021 06:00:00
Autore: Lucia Izzo