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Sospeso l'avvocato che non dice la verità

Per la Cassazione a Sezioni Unite, va sospeso l'avvocato che in sede civile dichiara che i propri assistiti sono stati assolti quando invece sono stati prosciolti


Sospensione per l'avvocato che non dice la verità

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Le dichiarazioni rese in giudizio sull'esistenza di fatti o l'inesistenza di fatti obiettivi, presupposto di un provvedimento del magistrato e di cui l'avvocato ha diretta conoscenza, devono essere vere e tali da non indurre il giudice in errore (art. 50 Codice di Deontologia Forense). Commette quindi un illecito disciplinare l'avvocato che, nell'agire per il risarcimento del danno non patrimoniale subìto dai suoi clienti, afferma che gli stessi sono stati assolti in sede penale quando in realtà sono stati prosciolti per motivi processuali, ossia, nel caso di specie, per assenza di querela. Queste le conclusioni della Cassazione a Sezioni unite nella sentenza n. 41990/2021 (sotto allegata).

La vicenda processuale

Il C.N.F ridetermina la pena applicata dal Consiglio distrettuale di disciplina nei confronti di un avvocato, irrogando la sospensione dall'attività professionale per la durata di 4 mesi e confermando per la parte restante la decisione.

Il professionista è stato ritenuto responsabile della violazione del dovere di verità per aver dichiarato, contrariamente al vero, nell'atto di citazione della causa promossa dai suoi assistiti, che gli stessi erano stati assolti e che il teste aveva ritrattato la versione iniziale scagionandoli.

Il procedimento disciplinare era stato avviato da un esposto presentato da una s.p.a nei confronti dell'avvocato, perché la stessa, in virtù di un provvedimento giudiziale, si era trovata nell'impossibilità di prendere possesso del terreno occupato senza titolo dagli assistiti del legale.

Occupanti che avevano indirizzato nei confronti dei rappresentanti della società la frase "se volete passare un Natale tranquillo allontanatevi." Vicenda a cui seguiva il procedimento penale per violenza privata nei confronti degli assistiti del legale, che però venivano prosciolti per difetto di querela.

Il difensore procedeva in seguito alla redazione dell'atto di citazione per chiedere alla società i danni derivanti dal turbamento psicologico causato dall'ingiusto procedimento penale subito dai suoi assistiti.

Per il C.N.F il legale, ben consapevole del contenuto della sentenza penale, aveva violato il dovere di verità e quello di lealtà e correttezza visto che è dovere di un avvocato "non rendere false dichiarazioni sull'esistenza o inesistenza di fatti di cui abbia diretta conoscenza".

Errore tra proscioglimento e assoluzione

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Nel ricorrere in Cassazione l'avvocato tenta di difendere la propria posizione sollevando i seguenti motivi.

  1. Prima di tutto ritiene illegittima la sanzione irrogata in relazione alla violazione del dovere di verità in lo stesso non era consapevole della falsità della dichiarazione resa in ordine alla inesistenza - esistenza del fatto. L'unico errore commesso è stato quello di chiedere i danni per il procedimento penale subito dai suoi assistiti, utilizzando il termine assoluzione invece di proscioglimento nell'atto di citazione.
  2. Con il secondo ribadisce l'assenza di coscienza e volontà del compiere l'azione di cui è stato incolpato, dettata dall'aver ritenuto erroneamente equivalenti i termini assoluzione e proscioglimento.
  3. Con il terzo infine contesta la sanzione irrogata poiché l'errore in cui è incorso priva del dolo la condotta addebitata.

Sospensione per l'avvocato che conosce la differenza tra assoluzione e proscioglimento

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La Cassazione però rigetta il ricorso. I primi due motivi, trattati congiuntamente, sono infondati in quanto, come già precisato dal C.N.F "la qualifica professionale dell'incolpato non consente di supportare la tesi dell'errore nell'uso dell'espressione assoluzione in luogo di proscioglimento, essendo il (...), peraltro, ben consapevole della relativa differenza, per aver prestato adesione alla derubricazione del reato che ha comportato il proscioglimento per assenza della condizione di procedibilità."

Non rileva inoltre che il giudice abbia rigettato la richiesta risarcitoria dopo la corretta rappresentazione della realtà da parte del giudice civile, supportato in tale senso dalla controparte.

Non rileva quindi neppure il terzo motivo perché la sanzione è stata irrogata in ragione della gravità della condotta del legale, sulla quale tra l'altro la Cassazione non può sindacare visto che sull'adeguatezza della sanzione da applicare si è già espresso il CNF.

Data: 09/01/2022 06:00:00
Autore: Annamaria Villafrate