Abuso d'ufficio: la Consulta salva la nuova norma
- Legittima la norma del dl semplificazioni che modifica l'abuso d'ufficio
- La questione di costituzionalità sollevata
- Legittimo il nuovo "abuso d'ufficio"
Legittima la norma del dl semplificazioni che modifica l'abuso d'ufficio
Nuovo abuso d'ufficio legittimo. Ad affermarlo è la Corte Costituzionale con la sentenza n. 8/2022 (sotto allegata) che dichiara non fondata la questione d'illegittimità per violazione dell'art. 77 della Costituzione e inammissibili quelle relative alla violazione degli articoli 3 e 97 nel giudizio avente ad oggetto la norma del decreto semplificazioni n. 76/2020, che ha cambiato la formulazione del reato di abuso d'ufficio di cui all'art. 323 c.p.
Non c'è stata violazione delle regole sulla decretazione d'urgenza perché era necessario intervenire per contrastare la burocrazia difensiva e far ripartire il Paese dopo il blocco causato dalla Pandemia, questo ha impresso alla decretazione il carattere dell'urgenza, che non appare quindi irragionevole o arbitraria. Il rischio di un mancato intervento sarebbe stato quello di aggravare ancora di più l'inefficienza della PA.
La nuova formulazione dell'abuso d'ufficio
Prima di addentrarci nel contenuto della motivazione della sentenza della Consulta vediamo la formulazione del nuovo abuso d'ufficio in base alle modifiche contenute nel decreto n. 76/2020:
"1.Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni. 2. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità."
La questione di costituzionalità sollevata
Innanzi alla Corte Costituzionale il Tribunale di Catanzaro solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma 1, del decreto-legge 16 luglio 2020 n. 76 "Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale" per violazione degli articoli 3, 77 e 97 della Costituzione.
Il Tribunale è stato investito della richiesta di rinvio a giudizio di 5 imputati, tre dei quali membri di una commissione esaminatrice in una procedura concorsuale per l'assunzione in un'azienda ospedaliera. L'accusa riguarda l'aver favorito due coimputati per il ruolo di dirigente medico, garantendo loro l'ammissione alla procedura, anche se privi del necessario titolo di specializzazione e per avere loro attribuito un punteggio più in alto rispetto a candidati con titoli equipollenti o superiori.
La questione rileva ai fini del nuovo articolo 23 del decreto semplificazioni n. 76/2020 perché, secondo il giudice remittente, la nuova formulazione ha ristretto la fattispecie "operandoun' abolitio criminis parziale su tre distinti fronti:
- rispetto all'oggetto, la violazione commessa dal soggetto pubblico deve riguardare una regola di condotta (e non, ad esempio, una regola organizzativa);
- rispetto alla fonte, la regola violata deve essere specifica ed espressamente prevista da una legge o da un atto avente forza di legge, con esclusione delle norme regolamentari;
- rispetto al contenuto, la regola violata non deve lasciare spazi di discrezionalità."
Ne consegue che, nel rispetto di questa nuova formulazione, giudizio relativo ai soggetti per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio "dovrebbe essere definito nell'udienza preliminare con sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non è più previsto come reato."
Le norme costituzionali violate
Per il Tribunale di Catanzaro l'articolo che contiene la nuova formulazione del reato di abuso di ufficio viola:
- l'art. 77 Cost., perché la modifica dell'abuso d'ufficio è estranea alla materia disciplinata dalle altre disposizioni del d.l. n. 76/ 2020 e "assolutamente avulsa dalle ragioni giustificatrici della normativa adottata in via d'urgenza dal Governo" ;
- gli artt. 3 e 97 Cost. perché la norma si pone in contraddizione con la finalità del decreto, che è quella di semplificare l'azione amministrativa senza pregiudicare i presidi di legalità. Risulta inoltre violato il principio di uguaglianza perché, come precisa la Corte "privando di rilievo penale ogni forma di esercizio di discrezionalità amministrativa, la norma denunciata attribuirebbe all'agente pubblico un potere dispositivo assoluto e sottratto al vaglio giudiziale, con il risultato di equiparare situazioni affatto diverse: il potere discrezionale attribuito al pubblico amministratore e la facoltà di disposizione della propria cosa riconosciuta al proprietario privato."
Dette questioni, per il remittente, dovrebbero essere dichiarate ammissibili "ancorché il loro accoglimento determini la caducazione della norma abrogatrice e, di conseguenza, la reviviscenza della precedente disciplina, con effetti in malam partem."
Legittimo il nuovo "abuso d'ufficio"
La Corte, dopo una complessa motivazione dichiara non fondata la questione d'incostituzionalità sollevata nei confronti dell'art. 23 del dl n. 76/2020 dopo avere ripercorso l'iter storico dell'art. 323 c.p che punisce l'abuso d'ufficio, fino ad arrivare alla nuova formulazione del decreto semplificazioni.
Partendo quindi dalle censure sollevate la Corte ribadisce che per quanto concerne la lamentata violazione dell'art.77 della Costituzione, la questione, seppur ammissibile, è infondata in quanto:
- la norma censurata non è estranea alle finalità del decreto semplificazioni;
- la stessa è connotata dall'urgenza e dalla necessità in quanto la precedente formulazione del reato rappresentava un motore della burocrazia difensiva, freno e causa della inefficienza amministrativa.
(Con il termine di "burocrazia difensiva" si intende quel fenomeno in base al quale i pubblici funzionari si astengono dal prendere decisioni, anche se utili per perseguire l'interesse pubblico, preferendo assumere determinazioni meno impegnative, che si fondano su prassi consolidate o astenendosi completamente dal prendere qualsiasi iniziativa, per il timore di esporsi ad eventuali addebiti penali.)
Per quanto riguarda invece la violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione la Corte ne rileva l'inammissibilità in quanto "Riguardo ad esse, resta, infatti, pienamente operante la ricordata preclusione delle sentenze in malam partem in materia penale, cui consegue, come eccepito dall'Avvocatura dello Stato, l'inammissibilità delle questioni stesse."
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Data: 20/01/2022 06:00:00Autore: Annamaria Villafrate