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La minaccia in lingua sarda è punibile?

Per la Cassazione, non rileva che la minaccia venga proferita in lingua sarda se dal contesto emerge che l'imputato ha commesso il reato


Minaccia in lingua sarda

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La Cassazione con la sentenza n. 1042/2022 (sotto allegata) conferma la decisione del Gup che ha qualificato diversamente, rispetto all'originaria contestazione del delitto di atti persecutori, le due espressioni minacciose dell'imputato di cui una espressa in lingua italiana e una in lingua sarda. In relazione a quest'ultima minaccia l'imputato ha sollevato i principali motivi del ricorso, che però gli Ermellini hanno ritenuto inammissibili, in quanto, indipendentemente dalla lingua utilizzata, il reato di minaccia è stato ritenuto integrato.

La vicenda processuale

Il GUP dichiara non punibile per tenuità del fatto l'imputato per due condotte minacciose, di cui una in lingua italiana e una in lingua sarda, commesse ai danni di un collega, anche lui infermiere professionale e presente nella stessa casa circondariale, qualificando così diversamente la condotta contestata in origine come unico delitto di atti persecutori.

Reato impossibile?

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L'imputato, a mezzo difensore, nel ricorrere in Cassazione, solleva i seguenti motivi:

Male imprecisato della minaccia

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La Cassazione dichiara il ricorso inammissibile perché sono inammissibili i motivi sollevati.

Il primo motivo non è ammissibile perché in sede di legittimità non si può sindacare l'interpretazione data dal giudice a un'espressione in lingua sarda e perché il termine sibillino utilizzato dal giudice per descrivere la minaccia non contrasta con il termine "male imprecisato" della minaccia.

Inammissibile il secondo motivo relativo alla motivazione del giudice perché il GUP ha desunto il dolo dalle modalità della condotta, dal fatto che chi aveva assistito all'antecedente aveva dichiarato che tra i due c'era stato un battibecco e dalla prova della minaccia precedente proferita in lingua italiana in data anteriore.

Inammissibile il terzo perché il giudice ha assolto l'imputato dal reato d'ingiuria perché trattandosi di condotte sporadiche e diluite nel tempo non era integrabile il reato di atti persecutori. In capo al Giudice inoltre non sussiste alcun obbligo specifico di motivare le ragioni per le quali ritiene o meno inattendibili le dichiarazioni dell'imputato rispetto a quelle rese dalla persona offesa, che tra l'altro non sono state mai contraddette da altri elementi probatori né dal difensore dello stesso ricorrente.

Inammissibile infine anche il quarto motivo perché il motivo del ricorso relativo ai certificati medici appare generico, non confrontandosi con le ragioni esposte dal Giudice.

Data: 14/02/2022 06:00:00
Autore: Annamaria Villafrate