Velo islamico: reato di maltrattamenti quando imposto
Velo islamico: cultura e diritti
Il velo islamico o Hijab è da sempre un simbolo di separazione con il mondo esterno. Molte donne di cultura islamica lo considerano un elemento indispensabile e inscindibile della loro cultura. Non tutte le donne però sono di questa idea. Per questo in Italia la magistratura in particolare, è stata chiamata spesso a prendere una posizione su questo tema, tanto specifico quanto delicato, capace di creare discussione e dibattiti su argomenti correlati come la violazione dei diritti delle donne e il rispetto per le altre culture.
Sebbene le differenze religiose e culturali siano infatti sempre da rispettare è vero altresì che lo Stato di diritto italiano ha il dovere di agire in difesa di tutti quegli individui, siano essi uomini o donne, che si sentono vittime di maltrattamenti o che vivono il disagio di vedere limitata la loro libertà.
Vediamo quindi nello specifico cosa dice la legge al riguardo e perché è incompatibile con il nostro ordinamento imporre qualsiasi elemento simbolico di natura culturale o religiosa contro la propria volontà. Grazie al alcune sentenze sarà possibile fare un punto più chiaro della situazione attuale.
Il velo imposto é un maltrattamento
La nostra Costituzione, se da una parte sancisce il rispetto per le culture e le religioni altrui, dall'altra proclama il diritto alla libertà dell'individuo in tutte le sue forme e manifestazioni. A tradurre questo concetto in relazione all'imposizione del velo islamico, è l'art. 572 c.p, che punisce le condotte che configurano un maltrattamento nei confronti di un familiare o comunque di un soggetto convivente o affidato per ragioni di cura, istruzione, vigilanza, custodia, esercizio di un'arte o una professione.
Pronunce piuttosto recenti sono allineate nell'affermare che anche l'imposizione del velo alla propria moglie o figlia integri il reato di maltrattamenti. Allo straniero responsabile, in questi casi, non è data la possibilità d'invocare a propria difesa la differenza culturale o religiosa.
Questo perché ogni condotto violenta, finalizzata a imporre la propria volontà a un altro essere umano è incompatibile con il diritto vigente in uno Stato in cui il rispetto della libertà della persona è considerato primario.
Come sancito inoltre dalla sentenza penale di Lecce n. 531/22 non è consentito neppure rivendicare, a giustificazione della propria conodtta, la potestà del capofamiglia. Trattasi infatti di concezioni che si pongono in netto contrasto con i principi di parità e di uguaglianza tra uomo e donna sanciti dal nostro ordinamento.
Concetto questo già enunciato tra l'altro dalla sentenza della Cassazione n. 8996/2020, che ha avuto infatti modo di precisare che: "In tema di cause di giustificazione, lo straniero imputato di un delitto contro la persona o contro la famiglia (nella specie: maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, violazione degli obblighi di assistenza familiare) non può invocare, neppure in forma putativa, la scriminante dell'esercizio di un diritto correlata a facoltà asseritamente riconosciute dall'ordinamento dello Stato di provenienza, qualora tale diritto debba ritenersi oggettivamente incompatibile con le regole dell'ordinamento italiano, in cui l'agente ha scelto di vivere, attesa l'esigenza di valorizzare - in linea con l'art. 3 Cost. - la centralità della persona umana, quale principio in grado di armonizzare le culture individuali rispondenti a culture diverse, e di consentire quindi l'instaurazione di una società civile multietnica."
Il velo è vietato in Italia?
In Italia non esistono comunque leggi che vietano esplicitamente l'utilizzo del velo o del burqa islamico, anche perché in questo modo si lederebbero le libertà primarie dell'individuo in ordine alla sua cultura e alla religione professata. La legge italiana però, per motivi di sicurezza e ordine pubblico, sancisce che chiunque debba essere riconoscibile. Per questo, se non è previsto un divieto specifico d'indossare ornamenti religiosi o di altra natura in pubblico, viene sottolineata l'esigenza primaria d'individuare il volto di una persona, soprattutto quando questa si rechi in uffici amministrativi, luoghi pubblici o prenda parte a manifestazioni di qualsivoglia genere.
In queste ipotesi quindi, anche se si indossa lo Hijab, alle autorità deve essere consentito procedere alla identificazione della persona che lo indossa.
Non si tratta di una condotta discriminatoria, a chiunque infatti è vietato indossare maschere, copricapo od ornamenti ornamento in grado di compromettere il riconoscimento del volto.
Una Cassazione di qualche anno fa anno, precisamente la n. 24084/2017 ricorda infatti che: "La giurisprudenza europea, a proposito del velo islamico (...) ha riconosciuto che lo Stato può limitare la libertà di manifestare una religione se l'uso di quella libertà ostacola l'obiettivo perseguito di tutela dei diritti e delle libertà altrui, l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica " e che "Nello stesso senso, si muove anche l'articolo 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo che, al secondo comma, stabilisce che - La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo può essere oggetto di quelle sole restrizioni che, stabilite per legge, costituiscono misure necessarie in una società democratica, per la protezione dell'ordine pubblico, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e della libertà altrui."
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Data: 29/04/2022 09:00:00Autore: Sergio Mancuso