Foreign fighters
- Cosa dice il diritto internazionale umanitario (DIU)?
- Possono i foreign fighters essere considerati combattenti legittimi?
- Combattente straniero o mercenario? Le norme sul mercenariato
- Il Diritto italiano e la militanza per uno Stato estero
Cosa dice il diritto internazionale umanitario (DIU)?
Possono i foreign fighters essere considerati combattenti legittimi?
Quel che conta è inoltre che i combattenti si distinguano nettamente dai civili, allo scopo di sottrarre quanto più possibile gli inermi dagli effetti nefasti dei combattimenti. I combattenti che non osservano quest'ultima disposizione debbono rispondere della violazione dell'art. 44, par. 3 della III CG, con l'ipotesi di incorrere nell'imputazione di crimine di guerra.
Combattente straniero o mercenario? Le norme sul mercenariato
Ma i foreign fighters potrebbero essere invece classificati come "mercenari"?
La Russia ha già dichiarato che ai "mercenari occidentali" non verrà concesso lo status di prigioniero di guerra in caso di cattura e che saranno perseguiti come criminali.
Proviamo a fare chiarezza: innanzi tutto, nessuna disposizione internazionale prevede che per essere un legittimo combattente si debba appartenere allo Stato per cui si combatte. Si pensi ai numerosi esempi di unità militari interamente composte da cittadini stranieri che servono negli eserciti regolari di diversi Stati, come ad esempio alla Legione straniera in Francia, o ai Gurkha nepalesi che operano nell'esercito britannico.
Anche per le milizie che non siano formalmente incorporate in un esercito nazionale la situazione non è significativamente diversa: se i loro membri rispettano i requisiti previsti dal diritto internazionale umanitario, vanno considerati combattenti legittimi.
Inoltre, i foreign fighters non sono da confondersi in alcun modo con i ragazzi ucraini che, residenti da noi con le famiglie, sono partiti per difendere la loro patria sotto attacco; ecco dunque chi sono i foreign fighters: coloro che negli anni hanno partecipato ad un conflitto armato rispondendo al richiamo dell'ideologia o alla paga da mercenario.
Tuttavia, spesso si attribuisce emotivamente la qualifica di mercenario ad uno straniero presente in un esercito, invece la nozione giuridica di mercenario è fornita dall'art. 47 del Primo protocollo aggiuntivo.
Questa norma stabilisce al par. 1 che un mercenario non ha diritto allo status di combattente o di prigioniero di guerra; tuttavia, per essere qualificati mercenari è necessario accertare che il soggetto rivesta contestualmente tutti i requisiti posti dal par. 2 dello stesso articolo, tra cui spicca la motivazione di combattere per desiderio di guadagno, essendo pagato con un compenso assai più alto dei pari grado dell'esercito al quale si affianca. Nella maggior parte dei casi sono l'esaltazione e posizioni politiche estremiste la molla principale di chi si arruola per combattere all'estero, poiché talvolta la paga non supera i 400 dollari al mese. Parlare di mercenari può dunque essere improprio, almeno in alcuni casi e fino a prova contraria.
Riguardo alla partecipazione di foreign fighters a quest'ultimo conflitto, bisogna dire che già dal 2016 la legge ucraina prevedeva la possibilità che cittadini stranieri o apolidi potevano essere reclutati nelle forze armate ucraine.
Le autorità del paese conducono una campagna di arruolamento per inserire volontari in una Legione internazionale per la difesa dell'Ucraina. Ciò avviene attraverso una fase di reclutamento formalizzata, che si conclude con l'inserimento dei combattenti nei ranghi dell'esercito regolare, pertanto - secondo il diritto internazionale - la formale incorporazione di armati stranieri nell'esercito ufficiale di uno Stato fa sì che gli stessi diventino combattenti legittimi.
Anche in assenza di un'incorporazione formale, eventuali formazioni di combattenti composte in tutto o in parte da cittadini stranieri potrebbero rientrare fra le "milizie e i corpi di volontari" richiamati dalla III CG. Sarebbero, pertanto e comunque, combattenti legittimi, sempre che rispettino i requisiti specifici previsti dalla disposizione.
Il Diritto italiano e la militanza per uno Stato estero
Poiché l'appartenenza alle Forze Armate si fonda su disposizioni di legge nazionali, che disciplinano chi fa formalmente parte delle stesse, le norme di Diritto Internazionale Umanitario precedentemente esposte trovano comprensibili limiti nelle norme interne di molti Stati, tra cui l'Italia.
La ratio di tale cautela è costituita dal principio che in uno Stato sovrano, ad ordinamento democratico, soltanto i poteri dello Stato regolarmente costituiti (legislativo ed esecutivo) hanno diritto di decidere sull'uso della forza.
L'art. 18 della nostra lex legum prevede infatti la libertà di associazione purché per fini non vietati dalla legge e senz'armi. Inoltre, le condotte, non opportunamente autorizzate, relative alla propensione all'uso delle armi, sono sintomatiche di esaltazione e pericolosità sociale.
In merito alle notizie apparse su alcuni organi di informazione relative alla partecipazione di cittadini italiani al conflitto in Ucraina, la Farnesina ha ricordato, con una propria nota, che tali condotte possono essere penalmente rilevanti a prescindere dallo schieramento belligerante.
Infatti, dopo una iniziale annuncio di arruolamenti sulle pagine internet di alcuni consolati ucraini, come quello di Milano, l'Italia è stata rimossa dalla lista degli Stati dove è possibile trovare i contatti per iniziare la procedura per diventare soldato di ventura.
A tal riguardo, gli articoli 244 e 288 del Codice Penale prevedono la punizione, con pene variabili da quattro a diciotto anni (salvo i casi di incremento di pena) di chi fa arruolamenti o compie atti ostili verso uno Stato estero.
La pena detentiva può arrivare all'ergastolo se dagli atti ostili ne consegue una ritorsione per l'Italia.
Il rischio, come ha fatto notare l'I.S.P.I., Istituto per gli studi di politica internazionale, è che a partire per l'Ucraina - come già accaduto per la Siria nel 2014-2015 - possano essere anche militanti estremisti, potenzialmente pericolosi per i loro stessi paesi di origine e per altri Stati comunitari in cui questi possono avere libera circolazione. Poiché il delitto consiste nell'arruolare o nell'armare, e non nell'arruolarsi o nell'armarsi, gli arruolati o gli armati non sono punibili, se non per altri reati (diserzione, renitenza alla chiamata, elusione di misure di sorveglianza, mercenariato, etc).
Poi, per esplicita previsione legislativa - Legge 5 febbraio 1992, n.91, recante "Nuove norme sulla cittadinanza" - è sanzionabile di perdita della cittadinanza il cittadino italiano che, prestando servizio militare per uno Stato estero, non ottempera, nel termine fissato, all'intimazione che il Governo italiano può rivolgergli di abbandonare l'impiego, la carica o il servizio militare.
Infine, nel caso di arruolamento all'estero senza l'autorizzazione del Governo e per preminente scopo di lucro, la legge 12 maggio 1995, n. 210, di ratificata la Convenzione ONU contro il reclutamento di mercenari (New York il 4 dicembre 1989) punisce il mercenariato con pene detentive da quattro a quindici anni.
Avv. Francesco Paolo MASTROVITO
Prof. Carlo STRACQUADANEO
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Data: 08/04/2022 08:00:00
Autore: Francesco Paolo Mastrovito