Il rapporto tra psicologia e giustizia
- Prescrizioni psico-giudiziarie dei tribunali
- Sul consenso informato
- Sull'imposizione del trattamento sanitario ai genitori
- Sulla possibilità di imporre un cambiamento
Prescrizioni psico-giudiziarie dei tribunali
Questo contributo propone alcune considerazioni di carattere generale sull'interessante documento relativo alle prescrizioni psico-giudiziarie da parte dei Tribunali nei casi di separazione, divorzio e affidamento dei figli, pubblicato recentemente dall' Ordine degli psicologi della Calabria (approvato nel Consiglio del 18 marzo 2022).
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Il documento di cui sopra, affronta delle questioni frutto di numerosi dibattiti che riguardano trasversalmente sia l'ambito psicologico sia quello giuridico.
Il rapporto tra psicologia e giustizia, sebbene stimolante e frutto di proficua collaborazione, è caratterizzato da nodi critici e fallimenti che brillantemente vengono riportati nella nota proposta proprio dall'OPC.
In qualità di psicologi, siamo spesso chiamati a intervenire proprio in situazioni in cui le criticità si propongono nella vita delle persone, nell'ottica in cui, il fallimento collusivo che caratterizza le relazioni tra l'individuo e il suo contesto di vita, rappresenta, a ben vedere, l'oggetto dell'intervento psicologico.
Se da un lato, dunque, questa interazione può rappresentare la possibilità di esplorare uno specifico contesto di intervento dello psicologo, dall'altro può essere utile per ritornare su alcuni aspetti metodologici che consentono di intervenire in contesti complessi come quello giudiziario, caratterizzato da specifiche dinamiche collusive e da un mandato sociale definito.
Per esempio il Tribunale per i Minorenni, agisce sulla base di un mandato sociale deputato alla tutela dei minori, ed è chiamato ad intervenire laddove si presenti una criticità nel sistema di relazione genitoriale di quello stesso minore.
Nel caso del contesto giudiziario il contributo dello psicologo si iscrive nelle forme più varie: CTU, Giudici Onorari, consulenti di parte ecc..), con l'obiettivo finale di garantire, per esempio, il benessere del minore, assumendo, appunto, diverse funzioni: di valutazione, di supporto all'ascolto, di gestione di incontri protetti ecc.. Tuttavia, lo spazio di intervento psicologico ha spesso tempi e spazi che non sempre rispondono ai tempi e alle forme della giustizia, senza contare che lo fa utilizzando premesse concettuali differenti. A ben vedere, il concetto di giusto o sbagliato, è qualcosa di molto relativo nella prassi psicologica: i sistemi relazionali seguono principi logici non lineari. Sappiamo bene che nelle dinamiche affettive è impossibile definire univocamente chi determina cosa.
Al contrario, le istituzioni che amministrano la giustizia attraverso il diritto, si muovono all'interno di un'ottica normativa che pone dei limiti, prescrive, corregge. Basti pensare a tutte le procedure penali, civili e amministrative che vengono trattate all'interno dei Tribunali per i Minorenni, procedure che hanno come oggetto la valutazione delle condotte del minore che commette reato, degli adulti che gli infliggono maltrattamenti psico-fisici, o se lo contendono nell'ambito di separazioni conflittuali e via discorrendo.
In questi casi la funzione del TM può concludersi in quella di prescrivere interventi che hanno come oggetto la tutela del minore. Nel far questo la collaborazione con gli esperti psicologi diventa interessante ma anche spinosa. Quale può essere l'intervento psicologico esplicitato nelle sue più varie declinazioni?
Nell'ambito delle procedure che attengono comportamenti dei genitori pregiudizievoli ai figli, le parti potrebbero venire ad esempio, invitate attraverso un Decreto, ad effettuare dei percorsi di supporto alla genitorialità o attività di mediazione. Percorsi, che mirano a recuperare una funzione genitoriale vacillante. Su questa questione l'Ordine pone i primi dubbi: può un Tribunale prescrivere un trattamento sanitario ai genitori?
Attesa la risposta granitica contenuta nel documento, proveremo ad analizzarne sinteticamente alcuni aspetti, con spirito maggiormente dialettico, per scoprire che anche le norme sono spesso portatrici di interessi diversi e spesso confliggenti e necessitano di una conciliazione che raramente confluisce in posizioni univocamente riconosciute.
Salvo poi ad addentrarci in note metodologiche che riguardano prettamente l'intervento psicologico.
Sul consenso informato
Nel documento dell'Ordine degli Psicologi della Calabria si assume che in applicazione degli art. 2, 13 e 32 della Costituzione e pertanto dei diritti alla autodeterminazione ed alla salute ciascun soggetto è libero di scegliere se sottoporsi a trattamenti e/o cure sanitarie.
Sul punto deve osservarsi che fermo restando il principio, il suddetto diritto individuale, come tutti quelli appartenenti alla stessa specie subisce compressioni che devono essere previste dalla legge, allorché esso confligge con la tutela sociale della collettività.
L'unico limite invalicabile è quello del rispetto della persona umana.
Sul punto si pensi non solo e non tanto ai trattamenti sanitari obbligatori, alla necessità di imporre le c.d. trasfusioni salvavita in conflitto con il diritto di professare una religione, quanto anche alle vaccinazioni obbligatorie e più di recente a tutta la normativa emergenziale che, proprio nel dirimere il consueto conflitto tra la tutela della libertà individuale e quella degli interessi sociali e collettivi ha fortemente compresso la prima.
Essa ha avuto pieno riconoscimento anche sovranazionale e a livello di legislazione dell'unione europea, a conferma che adottare principi assiomatici e porli come un vangelo, laddove confliggono interessi è una operazione pericolosa e fors'anche poco trasparente, soprattutto se non contiene alcun accenno alla esistenza di questo conflitto ed al necessario bilanciamento.
Sull'imposizione del trattamento sanitario ai genitori
L'approccio dogmatico appena esposto produce conseguenze inevitabili sulla materia argomentando in modo assiomatico e si consenta suggestivo.
La risposta è scontata, se nessun trattamento sanitario può essere imposto ciò vale anche quello diretto al ripristino recupero di capacità genitoriali.
Anche qui, interessi e diritti diversi da quello della libertà individuale, vengono relegati ad un ruolo secondario, si sottovalutano le norme costituzionali e sovranazionali di pari efficacia che tutelano interessi di eguale rilevanza: (art. 30 "E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.) (art. 31 La Repubblica ….. protegge la maternità l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo).
Per non parlare della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo.
Sarebbe bastato, a questo punto, approcciarsi al problema riconoscendo a monte la sussistenza di pregnanti e superiori interessi in conflitto e poi scegliere quello a cui dare priorità piuttosto che sventolarne uno solo cui aprioristicamente dare prevalenza.
Se è vero che ciascuno è libero di aderire a cure è altresì vero che il genitore non è un soggetto qualunque ma ha uno status che gli impone precisi doveri nell'interesse sociale.
E' qui il caso di ribadire che avere genitori capaci significa avere una società più sana.
Ed allora soccorre il concetto dell'onere, completamente ignorato dall'interlocutore ed invece ribadito da numerose sentenze di merito, dei Tribunali di Roma e Milano 11/03/2017.
Seguire un invito ad un percorso non è certo un obbligo, poiché nessuno può obbligare un altro a subire un trattamento sanitario o pseudo tale, ma il diritto fin dai tempi di Roma conosce il concetto di onere, intesa come necessità di adempiere ad un dovere a pena della perdita di cuna facoltà concessa dall'ordinamento.
Il paradigma è semplice, essere genitori è un diritto, una facoltà libera, ma è anche un dovere di mantenere istruire ed educare i figli.
Ma questo dovere richiede capacità che è onere di ciascun genitore acquisire altrimenti l'ordinamento comprime o addirittura sopprime la relativa facoltà.
Ed allora appare semplicistico ridurre il tutto alla violazione di un diritto di libertà individuale.
Il diritto in realtà non viene compresso, il genitore continua ad essere libero di scegliere se aderire o no a percorsi di acquisizione di competenze, ma alla sua libertà conseguono necessarie conseguenze di tutela sociale dei minori.
Conseguenze ribadite dallo stesso Parlamento Europeo nell'ultima risoluzione di aprile nella quale tra l'atro gli stati vengono invitati a rispettare il diritto di ogni minore a mantenere contatti personali e diretti con ciascun genitore.
Infine, incidenter tantum torna sulla possibilità di imporre prescrizioni anche la recentissima: Cassazione civile sez. I - 24/03/2022, n. 9691.
In tema di esecuzione dei provvedimenti riguardanti il minore è opportuno infliggere sanzioni economiche al coniuge non rispettoso delle prescrizioni impartite dal giudice.
In tema dell'esecuzione dei provvedimenti riguardanti il minore, l'uso di una certa forza fisica diretta a sottrarre il minore dal luogo ove risiede con uno dei genitori, per collocarlo in una casa-famiglia non appare misura conforme ai principi dello Stato di diritto in quanto potrebbe cagionare rilevanti e imprevedibili traumi per le modalità autoritative che il minore non può non introiettare, ponendo seri problemi anche in ordine alla sua compatibilità con la tutela della dignità della persona, sebbene ispirata dalla finalità di cura dello stesso minore. Piuttosto, tra le misure che le autorità debbono considerare - come richiesto dai principi Cedu in ordine all'effettività del principio di bigenitorialità - potrebbe semmai essere efficace l'utilizzo delle sanzioni economiche ex articolo 709-ter del Cc nei confronti di quel coniuge, il quale dolosamente o colposamente si sottragga alle prescrizioni impartite dal giudice.
Sulla possibilità di imporre un cambiamento
Il documento dell'Ordine degli Psicologi della Calabria sostiene che "Anche se con un intento generoso, aspirando a favorire incisivamente sulla presa di coscienza dei genitori responsabili della situazione conflittuale, è pacifico ritenere che imporre un cambiamento di un'idea o di un convincimento potrebbe risultare inefficace oltre che rappresentare una funzione distorta dell'intervento sanitario di tipo psicologico il quale non ha e non può avere come obiettivo quello di imporre un cambiamento di idea o di comportamento, seppur nel supremo e condiviso interesse della persona minorenne, alla stregua di una esplicita/implicita minaccia "se non cambi potresti perdere tuo figlio".
E' evidente che non è possibile imporre un cambiamento, soprattutto quello interiore dell'approccio relazionale e genitoriale nello specifico.
Ma occorre ribadire che essere genitore comporta prima di tutto doveri ed i doveri, gli obblighi in quanto tali vanno adempiuti altrimenti lo Stato ha a sua volta il dovere di comprimerli.
Come ciò debba accadere è lascito alla discrezione della legge e di chi è chiamato ad applicarla.
Se poi il nocciolo della questione è quello della adesione spontanea necessaria all'approccio terapeutico essa è diversa.
Nessuno può negare che ogni possibile terapia passa attraverso la libera scelta di aderire o meno alla stessa, ma in questa decisione può intervenire con certezza anche la scelta se essere o meno un buon genitore.
Non è certo viziato il consenso di un genitore che aderisce al percorso per salvare la relazione con il figlio, anzi è simile a quello che per salvarsi la vita presta il consenso ad una amputazione o ad un trapianto.
Qualcuno ha mai dubitato della legittimità di questo consenso?
Perché mai dovrebbe dubitarsi della legittimità del primo?
Sarà certo compito del medico o del terapeuta valutare la idoneità e spontaneità del consenso, ma questo non significa che debba apriosticamente ritenuto come viziato.
Le illustrate argomentazioni che comportano un mutamento della prospettiva della questione, risolvono altresì ogni questione deontologica atteso che a nessun professionista possa essere non solo imposta ma neppure chiesta la violazione del suo codice deontologico e che il professionista lo rispetterà fino in fondo comunicando all'autorità gli esiti.
Ma, a questo punto, appare opportuno evidenziare come forse una riflessione vada fatta a monte, entrando, appunto nel merito della metodologia che appartiene solo ed esclusivamente alla disciplina psicologica.
E' evidente che, se utilizzassimo lo stesso linguaggio della giustizia, rischieremmo di incorrere in una serie di fallimenti, che anche il documento dell'Ordine evidenzia.
L'ambito della giustizia tratta, a bene vedere, dinamiche affettive e relazionali complesse. E' possibile tradurre tali dinamiche in categorie giuridiche? Ma, soprattutto, tradurle in interventi concreti? Siamo certi che "Al fine di tutelare i diritti di tutti i soggetti coinvolti, nei casi di valutazione delle capacità genitoriali, sarebbe necessario disporre Consulenze Tecniche d'Ufficio valorizzando la nomine delle Psicologhe e degli Psicologi regolarmente iscritti presso l'Albo dei CTU istituito presso ogni Tribunale"?
L'esperienza suggerisce che le risposte non sono scontate e che il dialogo è ancora aperto.
La proposta che mi sembra più interessante è quella di ripensare alla funzione psicologica che pur differenziandosi nei suoi diversi ruoli (CTU, Giudice minorile, Psicologo consultoriale…) possa ridefinire e rileggere il mandato che costituisce le richieste della A.G.
Un percorso di supporto alla genitorialità può essere pensato come un intervento da imporre alle parti, come un trattamento sanitario obbligatorio, seguendo un'ottica prescrittiva. Oppure può essere pensato come un'occasione per cogliere la domanda di aiuto che si cela dietro a quel comportamento che ha portato all'apertura di una procedura. Fare questo è competenza dello psicologo che ridefinisce il mandato sociale della A.G.
Si tratta, in sostanza, di costruire una domanda di intervento insieme alle parti, di stare dentro la relazione, di accompagnare chi abbiamo davanti nel riconoscimento di quanto accaduto nella relazione e che ha portato a richiedere l'intervento di terzi, siano avvocati o giudici. Questo tipo di intervento permetterebbe l'accesso a dimensioni emotive più profonde, abbassando le difese che inevitabilmente si alzano quando si ha di fronte qualcuno che "deve" valutare e giudicare un comportamento pregiudizievole, all'interno di un contesto che chiaramente rende più difficile il riconoscimento dei propri errori. In tal senso, l'obiettivo dell'intervento psicologico può essere quello di attivare risorse nel minore e negli adulti che lo circondano, proprio a partire dall'evento critico che li ha portati nel contesto giudiziario.
Questo tipo di lavoro permetterebbe di dare senso ad un'emozionalità che evidentemente è stata agita e non ha avuto la possibilità di essere sentita e pensata. Il rischio, altrimenti, è di incorrere in un circolo vizioso e potenzialmente violento caratterizzato da comportamenti pregiudizievoli, valutazioni, prescrizioni e violazioni delle prescrizioni.
In quest'ottica, costruire una domanda di intervento con le parti aprirebbe ad un dialogo che sembra essere critico già a monte, viene in mente la scissione che esiste tra parti che lavorano nello stesso sistema per un obiettivo comune, Tribunali e Servizi territoriali per esempio. Questo approccio permetterebbe, per esempio, all'interno del Tribunale per i Minorenni, attraverso il lavoro dei Giudici Onorari Minorili (che hanno una competenza specifica congrua con la specializzazione del Tribunale per i Minorenni) di inquadrare il problema e la richiesta di aiuto, (laddove fosse necessario anche attraverso una valutazione specifica come la CTU) e attraverso questo dialogo, individuare nel Servizio e nella competenza di cui è portatore, il percorso da effettuare sulla base della domanda costruita con i diretti interessati, e in sede istruttoria e durante il contatto con il Servizio.
A bene vedere, questa prassi trova già in parte riscontro quando la A.G. in fase di indagini chiede una relazione preliminare ai Servizi Territoriali sul nucleo in questione. Quel contatto iniziale può essere pensato come una prima linea da tracciare per costruire tale percorso.
In quest'ottica, la A.G. e la rete di Servizi con cui collabora, può essere simbolicamente rappresentata non più con una funzione normativa, correttiva e rieducante sia per il minore che per la sua famiglia, ma con una funzione di promozione di risorse nell'intero sistema di convivenza del minore stesso.
Va da sé che sarebbe interessante, come Ordine, farsi portatori di questo dialogo tra il sistema della Giustizia, minorile in questo caso, e il lavoro degli Psicologi che nelle loro più svariate funzioni lavorano in questo contesto.
Dott.ssa Valentina Pirrò
Psicologa Psicoterapeuta Criminologa
Giudice Onorario Tribunale per i Minorenni di Catanzaro
Data: 19/05/2022 10:05:00
Autore: Valentina Pirrò