Siti internet: cosa cambia dopo il caso Google Analytics
Il caso Google Analytics
È abbastanza noto, anche ai meno esperti, che i dati riguardanti la nostra navigazione internet vengono rilevati, tracciati e profilati. Tra i molti dati raccolti possiamo considerare l'indirizzo IP utente, informazioni relative al browser, il sistema operativo, la risoluzione dello schermo, la lingua di utilizzo, data, ora e durata della visita al sito web.
Ma che fine fanno queste informazioni? Chi le può conoscere e per quali ragioni?
Il GDPR ha da tempo regolato questo tipo di raccolta dati e ne ha vietato il trasferimento e trattamento fuori dell'Unione Europea.
Qui si apre il caso della piattaforma più grande al mondo per la profilazione digitale, Google Analytics, un database enorme sito negli Stati Uniti che raccoglie e analizza il traffico dei navigatori da quasi due decadi.
A conclusione di una complessa istruttoria avviata a seguito di una serie di reclami, unitamente ad altre autorità europee, il Garante ha accertato che i siti web che utilizzano Google Analytics permettono alla piattaforma in questione di raccogliere e trattare dati e informazioni sui propri utenti con trasferimento, conservazione e analisi fuori dalla UE.
Cosa fare
Il Garante ha quindi evidenziato come le misure messe in opera da Google Analytics non garantiscano, allo stato attuale, un adeguato livello di protezione dei dati personali così come previsto dal GDPR EU 679/2016.
Con il provvedimento in esame (scaricabile sul sito del Garante Privacy), l'Autorità ha quindi richiamato l'attenzione di tutti coloro che hanno un sito internet che si appoggia alla piattaforma Google Analytics, invitando i titolari del trattamento a verificare rapidamente le conformità dei propri siti, e ad adeguarsi con strumenti anche analoghi purché in linea con le direttive del Garante soprattutto in termini di trasferimento e conservazione dati.
Le conseguenze per i siti
Autore: Rabita G.L. e Pedicone A.