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Appalti pubblici: assolto chi non autocertifica un patteggiamento

Assolto un imprenditore vercellese dal Tribunale di Roma che non aveva dichiarato un precedente patteggiamento al questionario della Consip S.p.a.


Appalti pubblici e autocertificazioni

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Nel mondo delle imprese è una operazione assai diffusa e quotidiana, per alcune, partecipare a gare ad evidenza pubblica, per le quali vengono richieste svariate autocertificazioni ai sensi dell'art. 46 del D.P.R. 445/2000 su requisiti, stati, qualità ma soprattutto in ordine a precedenti penali dei rappresentanti legali o degli amministratori.

Quest'ultimi si trovano il più delle volte in difficoltà dinnanzi a moduli o questionari già precompilati da parte della Pubblica Amministrazione, o sua ramificazione, quale stazione appaltante, poiché vengono assaliti da dubbi giuridici in ordine alla dichiarazione di eventuali precedenti penali, che non sempre sono frutto di sentenze di condanna, bensì sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti (cd. patteggiamento).

Sentenza di condanna e sentenza di patteggiamento

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Premessa la scolastica differenza tra una sentenza di condanna e una di patteggiamento, chi abbia riportato una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, non risponde positivamente al quesito postogli sull'esistenza di condanne penali, proprio perché per definizione e per legge una sentenza di patteggiamento non è una sentenza di condanna, sebbene alcuni effetti possano essere i medesimi.

Così l'imprenditore edile, tanto per fare un esempio, alla domanda apposita del questionario per partecipare ad un appalto pubblico, dichiara di non aver mai ricevuto condanne penali, rischiando così una denuncia per falsità ideologica commessa dal privato in atto avente pubblica fede ex art. 483 c.p.

Proprio quello che era accaduto al rappresentante legale di una grossa azienda del vercellese che, per partecipare ad una importante gara pubblica con la Consip S.p.a. rispondeva negativamente al quesito appena descritto.

Rinviato a giudizio presso il Tribunale Penale di Roma, veniva però assolto con formula piena in fase predibattimentale ex art. 129 c.p.p. perché il fatto non sussiste.

No al reato di falsità ideologica in atto pubblico

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Ed invero il Giudice capitolino riconosceva non soltanto il difetto del dolo nella condotta "impreparata" dell'imprenditore ma ribadiva, così come suggerito dalla difesa, che le sentenze emesse ai sensi degli artt. 444 c.p.p. e ss. non sono assimilabili alle sentenze di condanna se non agli effetti previsti dalla legge, citando così anche un precedente conforme del Tribunale di Belluno (sentenza 463/2020); richiamando altresì la pronuncia della Cassazione (sez. II, n. 37556/2019), la quale metteva in risalto che non integra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, la condotta di colui che, in sede di dichiarazione sostitutiva di atto notorio, dichiari di non aver riportato condanne penali, ancorché destinatario di applicazione della pena su richiesta delle parti, poiché il dichiarante non è tenuto a riferire più di quanto risulti dal certificato penale".

Il Tribunale di Roma, con la qui commentata sentenza n. 7533/2022, escludendo l'elemento oggettivo del reato, ha escluso, come anticipato anche l'elemento soggettivo del delitto, aggiungendo che è da escludersi che il dolo generico possa ritenersi sussistente per il solo fatto che l'atto possa anche contenere finanche una imprecisione o un asserto obiettivamente non veritiero, dovendosi, invece verificare altresì che la falsità non sia dovuta ad una leggerezza dell'agente, come pure ad una incompleta conoscenza e/o errata interpretazione di disposizioni normative (Cass. Pen. Sez. V, n. 33218/2012), come è verosimile che ritenere che sia avvenuta nel caso di specie per l'imprenditore piemontese, il quale, non certamente un giurista, aveva però sempre saputo dai propri legali della differenza ontologica tra una sentenza di condanna e una di patteggiamento.

Data: 04/12/2022 10:00:00
Autore: Lorenzo Sozio