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Cassazione: il saluto fascista è reato

La Cassazione spiega le ragioni per cui manifestazioni del partito fascista, come la chiamata del presente e il saluto romano, costituiscono reato


La Cassazione su "chiamata del presente e saluto romano"

Costa caro il saluto romano e la chiamata del presente a un gruppo di manifestanti, la cui responsabilità penale "riguardo al pericolo che, tramite la diffusione e il proselitismo delle idee fasciste, possa essere ricostituita una organizzazione fascista", è stata confermata dalla prima sezione penale della Cassazione (sentenza n. 12049/2023 sotto allegata).

Nella vicenda, la Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Gip, confermava la declaratoria di responsabilità di alcuni soggetti per il concorso, fra loro e con altri non identificati, nel compimento, durante un raduno autorizzato in occasione di una commemorazione, di manifestazioni usuali del disciolto partito fascista, quali la "chiamata del presente" con il braccio destro e il palmo della mano rivolti verso l'alto, effettuando il "saluto romano", convalidando la condanna alla reclusione e alla multa per ciascuno degli imputati.
Questi ultimi ricorrono al Palazzaccio insistendo sulla legittimità dei comportamenti tenuti solo per finalità commemorative di "tre caduti vilmente uccisi da avversari politici", come da precedente giurisprudenza della Cassazione stessa (cfr. tra le altre Cass. n. 11038/2016), nonché tra l'altro sul mancato riconoscimento dell'attenuante per "aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale, trattandosi di una commemorazione funebre nella quale si è espresso il senso religioso e la partecipazione umana degli imputati".
Per gli Ermellini, tuttavia, i ricorsi sono nel complesso infondati.
La giurisprudenza di legittimità che si è occupata dell'art. 5 della legge Scelba ha sempre affermato, ricordano, infatti, che "il delitto di cui alla L. 20 giugno 1952, n. 645, art. 5, (come modificato dalla L. 22 maggio 1975, n. 152, art. 11) è reato di pericolo concreto, che non sanziona le manifestazioni del pensiero e dell'ideologia fascista in sé, attese le libertà garantite dall'art. 21 Cost., ma soltanto ove le stesse possano determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, in relazione al momento ed all'ambiente in cui sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell'ordine democratico e dei valori ad esso sottesi" (cfr. Cass. n. 11038/2016).
Analogamente, si è chiarito che "non è la manifestazione esteriore in quanto tale ad essere oggetto di incriminazione, bensì il suo venire in essere in condizioni di 'pubblicità' tali da rappresentare un concreto tentativo di raccogliere adesioni ad un progetto di ricostituzione" del partito fascista. La Cassazione (n. 37577/2014) ha, invero, precisato che "il 'saluto romano' e l'intonazione del coro 'presente' durante una manifestazione integrano il reato di cui alla Legge 20 giugno 1952, n. 645, art. 5, (come modificato dalla L. 22 maggio 1975, n. 152, art. 11), per la connotazione di pubblicità che qualifica tali espressioni esteriori, evocative del disciolto partito fascista, contrassegnandone l'idoneità lesiva per l'ordinamento democratico ed i valori ad esso sottesi".
La necessaria concretezza del pericolo, proseguono i giudici, "in relazione al momento ed all'ambiente in cui sono compiute le manifestazioni esteriori, e dell'attentato alla tenuta dell'ordine democratico e dei valori ad esso sottesi caratterizzato dal pericolo di ricostituzione dell'ideologia fascista, costituiscono dei punti fermi nell'evoluzione giurisprudenziale di legittimità" e la giurisprudenza sulla penale rilevanza della condotta di cui alla L. n. 645 del 1952, art. 5, "è granitica, si tratta di una norma chiara e univocamente interpretata, da moltissimi anni, senza che si sia mai registrata una oscillazione giurisprudenziale (tra le prime sentenze, si veda: Sez. 1, n. 3826 del 18/01/1972), sicché difetta l'invocato presupposto che esista un complessivo e pacifico orientamento giurisprudenziale che abbia indotto nell'agente la ragionevole conclusione della correttezza della propria interpretazione del disposto normativo".
Del resto, sottolinea ancora la Cassazione, "è proprio la Carta costituzionale che, alla XII disposizione transitoria e finale, vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista e stigmatizza, perciò, la condotta posta in essere dagli imputati, sicché non è neppure in astratto ipotizzabile l'errore sul precetto".
Quanto all'impossibilità di ravvisare, nella condotta di cui alla legge Scelba, art. 5, concludono dalla S.C., la circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 1, la giurisprudenza "è costantemente orientata ad affermare che i sentimenti di particolare valore morale e sociale non possono essere confusi, agli effetti penali, con la estrinsecazione di determinate ideologie quando queste, non solo rappresentano l'orientamento contingente di singoli gruppi di cittadini, ma si distanziano per scopi e metodi dalla coscienza etica comune, in quanto, piuttosto, devono trarre origine da valori avvertiti dalla prevalente coscienza collettiva (cfr., ex multi, Cass. n. 11878/2003). Per cui, "in considerazione del precetto costituzionale che, lungi dal riconoscere valore all'ideologia fascista, la osteggia e ne stigmatizza le manifestazioni, dette manifestazioni non rientrano nell'ambito di operatività della circostanza attenuante".
Data: 08/05/2023 10:00:00
Autore: Redazione