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Per una cultura dell'autismo

Il contributo riflette sulle implicazioni e i riflessi socio-culturali della convivenza con persone con disturbi dello spettro autistico


Dopo il DSM V (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) del 2013 che ha introdotto il concetto di "spettro autistico", è cambiato l'approccio nei confronti di chi presenta uno di questi disturbi, anche se c'è ancora molto da cambiare e maturare. Per esempio si devono superare molti luoghi comuni (come il ritenere i soggetti autistici dei geni matematici sulla scia del film "Rain man - L'uomo della pioggia") e la tendenza a categorizzare, in particolare nell'ambito scolastico (verbale o non verbale, alto o basso funzionamento, grave o non grave).

Occorre innanzitutto cambiare prospettiva. "Prospettiva" è un termine che deriva dal verbo latino "prospicio', cioè "avere la vista su, affacciarsi su". Nel suo significato etimologico, prospettiva rilancia a un senso di visione a tutto tondo della realtà, ossia ne abbraccia tutte le sue manifestazioni (come si fa nella dottrina filosofica del "prospettivismo").

Bisogna perciò cominciare con il significato etimologico di "autismo": "Il termine autismo deriva dal greco autós («sé stesso») e indica l'autoreferenzialità, la negazione dell'altro e di ciò che è differente da sé, e quindi la mancanza del senso della realtà" (Treccani.it). Caratteristiche che sono sempre più frequenti anche tra chi non ha una diagnosi. Infatti, l'autismo è un "problema" (letteralmente "ciò che è posto avanti"), è un "disturbo" (letteralmente "che scompiglia, che confonde") che si ha nella relazione, nella comunicazione, nell'interazione, pertanto non riguarda solo chi ha una diagnosi. Comunque la difficoltà che la persona autistica ha nella relazione, nella comunicazione, nell'interazione è o diventa anche difficoltà dell'interlocutore o dell'altro che si mette in relazione perché non ne conosce il suo codice, il suo linguaggio, il suo alfabeto emotivo.

Inoltre A. Ducanda e S. Duflo, psicoterapeute francesi, parlano di "autismo virtuale", una psicopatologia causata dalla massiccia e ingombrante presenza degli schermi nella vita dei bambini e che, non appena si interrompe questo abuso, è destinata a regredire: bambini che non comprendono semplici consegne, bambini troppo agitati o indifferenti a ciò che li circonda, bambini che hanno vere e proprie crisi di rabbia e che non tollerano le frustrazioni, bambini che hanno comportamenti aggressivi o che non parlano e non si voltano neppure quando è pronunciato il loro nome. Gli schermi per i bambini nella prima infanzia, perciò, sono da limitare. I genitori hanno il dovere di tutelare la salute dei figli e di garantire loro un futuro di salute.

La parola "autismo" richiama altre parole come "autenticità" e "autonomia", con cui ha la stessa origine etimologica da "auto-", "da sé, che riguarda se stesso". Perché l'autismo è anche una richiesta di autenticità delle relazioni e di autonomia (le cosiddette autonomie personali) ed è questo il percorso che si deve seguire nei confronti di chi è autistico e non il contrario, cioè bisogna avvicinarsi a lui e non considerarlo chiuso nel suo mondo da osservare e preservare. La persona autistica rivela la vulnerabilità di ciascuno e la conseguente richiesta di umanità: è questa la vera inclusione.

Con la parola "altruismo" si possono comporre "autismo" e "ali", perché l'autismo richiede il vero altruismo capace di dare ali ai messaggi inviati con un altro codice dai soggetti con un disturbo dello spettro autistico. Il vocabolo "altruismo" contiene "autismo" perché ogni disturbo dello spettro autistico comporta una "prova di altruismo", un mettersi nei panni degli altri, un mettersi in relazione con l'altro secondo le sue modalità.

Lo scrittore Fabrizio Acanfora, divulgatore scientifico sui disturbi dello spettro autistico ha coniato l'espressione "contro l'inclusione": "Parlare di inclusione significa che c'è qualcuno che ha il potere di includere, per cui ritorna il concetto di normalità. È un atteggiamento paternalistico, c'è qualcuno che include e qualcuno che è incluso. È meglio parlare di convivenza delle differenze, in cui c'è reciprocità, responsabilità collettiva". Bisogna acquisire la consapevolezza che ogni persona - ancor di più ogni bambino - è foriera di differenze, di disturbo. Giacché etimologicamente "disturbo" significa "scompigliare, disperdere, confondere", ci si deve ricordare che si viene alla luce rompendo le acque, con le doglie della mamma ed emettendo un vagito, in altre parole turbando un ordine precostituito.

A proposito di inclusione e robotica nella scuola si parla di robot "child friendly", adatto ai bambini, in particolare per i bambini autistici. In realtà i bambini non hanno bisogno di robot "child friendly" ma di persone e ambienti "child friendly".

Gli adulti, genitori e insegnanti, dovrebbero prendere coscienza che tutti i bambini sono "neurodiversi" e non solo gli autistici, che si è tutti "neurodiversi" e riconoscere, perciò, una sorta di "diritto alla neurodiversità".

Le persone che vengono etichettate come "diverse" si rivelano per quelle che sono e sono di esempio per il loro impegno, per le loro "lotte", per loro conquiste. I genitori di bambini con disabilità sperimentano e danno prova dei significati tra i più profondi della genitorialità, per esempio: accogliere il figlio com'è, vigilare su di lui nel suo sopore, spingerlo quando necessario e rispondere quando viene chiesto, fare coppia genitoriale ciascuno con il proprio apporto."Riconoscendo i preziosi contributi, esistenti e potenziali, apportati da persone con disabilità in favore del benessere generale e della diversità delle loro comunità, e del fatto che la promozione del pieno godimento dei diritti umani, delle libertà fondamentali e della piena partecipazione nella società da parte delle persone con disabilità porterà ad un accresciuto senso di appartenenza ed a significativi progressi nello sviluppo umano, sociale ed economico della società e nello sradicamento della povertà" (lettera m del Preambolo della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, 13 dicembre 2006).

La disabilità spesso (troppo spesso) è causata o accentuata dagli atteggiamenti degli altri, come disimpegno, disinformazione, distacco, disservizi e disfunzionalità varie.

"Privare se stessi dell'amore e della capacità di essere felici è il più tremendo degli autoinganni; è una perdita definitiva a cui niente può porre rimedio, né il tempo né l'eternità" (il filosofo Kierkegaard). I veri disabili sono certi adulti che non conoscono più il linguaggio dell'amore e causano attorno l'inabilità nell'amare.

Data: 08/05/2023 11:00:00
Autore: Margherita Marzario