Il giudice non può prescrivere il percorso terapeutico
La Cassazione boccia le prescrizioni di percorsi terapeutici: il giudice non può prescriverli, nemmeno sotto forma di mero invito
- Prescrizione percorso terapeutico
- La soluzione della Corte di Cassazione
- Riflessioni in merito al principio di diritto e collegamenti giurisprudenziali
Prescrizione percorso terapeutico
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Il giudice non può prescrivere il percorso terapeutico, nemmeno sotto forma di mero invito. Questo quanto affermato dalla prima sezione civile della Cassazione nell'ordinanza n. 17903/2023. Il caso di specie trae origine da una pronuncia del Tribunale di Vibo Valentia, la quale disponeva la collocazione prevalente del figlio A. presso l'abitazione del padre C. nonché l'obbligo a carico di ciascun genitore di contribuire al mantenimento del figlio nella misura di euro 400,00 mensili. Avverso tale decisione proponeva reclamo la madre V. censurando il mancato affidamento esclusivo, a sé stessa, della figlia G.
Con decreto n. 3687/2023 la Corte di appello di Catanzaro rigettava il reclamo ritenendo condivisibile la pronuncia di affidamento condiviso della figlia minore G, in quanto non era emerso alcun comprovato comportamento pregiudizievole del C nei confronti della minore, non essendo sufficiente a tal fine la mera denuncia sporta dalla V nei confronti del C con riguardo ad asseriti maltrattamenti della figlia G da parte del padre.
Relativamente al quantum del contributo stabilito a carico della reclamante (400,00 euro mensili), la Corte di Appello osservava che, avuto riferimento alle condizioni economiche della V, appariva congruo rideterminare la somma in euro 300,00 mensili.
Avverso tale pronuncia, la madre VA proponeva ricorso per Cassazione affidato a tre motivi di ricorso.
La soluzione della Corte di Cassazione
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La Cassazione dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso per difetto di specificità. Difatti, la ricorrente lamentava un vizio motivazionale assoluto del decreto impugnato in relazione alla pronuncia di rigetto delle domande proposte dalla ricorrente. Il primo motivo di ricorso, a opinione della Suprema Corte, non conteneva gli elementi essenziali per consentire alla Corte di valutare ex actis la fondatezza dell'eccezione; in altre parole, il ricorso non trascriveva il profilo di censura formulato in sede di appello ed in relazione al quale si lamentava una mancata risposta della Corte distrettuale, così come prescritto invece dall'art. 366 c.p.c. comma 1 n.6).Il secondo motivo viene invece dichiarato fondato. La madre lamentava che la motivazione del decreto impugnato non consentiva di individuare il procedimento decisionale della Corte territoriale in merito alla quantificazione del contributo per il mantenimento del figlio A. Il collegio rileva che, nella specie, la Corte di appello di Catanzaro non aveva in alcun modo esplicitato il percorso che l'aveva condotta a determinare il quantum dell'assegno nella misura di euro 300,00. In particolare, la Corte non aveva indicato le concrete disponibilità della madre comparate con quelle del padre, limitandosi a un generico richiamo agli atti di causa.
Il terzo e ultimo motivo viene parimenti ritenuto fondato. La Cassazione, infatti, ribadisce l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità stessa, che non ammette, in tema di affidamento dei figli minori, la prescrizione ai genitori di un percorso psicoterapeutico individuale e di un altro, da seguire insieme ai figli, di sostegno alla genitorialità.
Per i suddetti motivi, la Corte accoglie il ricorso e cassa la decisione impugnata.
Riflessioni in merito al principio di diritto e collegamenti giurisprudenziali
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Data: 29/06/2023 06:00:00Autore: Matteo Santini