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Avvocati: l'illecito deontologico può essere anche "tentato"

Il Consiglio Nazionale Forense chiarisce che in ambito disciplinare non è necessaria la consumazione dell'illecito essendo sufficiente anche il tentativo


Illecito deontologico

L'illecito deontologico può essere "consumato" o "tentato". "In ambito disciplinare - infatti - non è necessaria la consumazione dell'illecito, essendo infatti sufficiente anche il tentativo, giacché la potenzialità della condotta è idonea e sufficiente a configurare l'illecito deontologicamente rilevante". E' quanto chiarisce il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 44/2023 (sotto allegata) sul ricorso in riassunzione presentato da un avvocato a seguito della sentenza della Suprema Corte che aveva cassato con rinvio la decisione con cui era stata rideterminata la cancellazione del legale nella sanzione della sospensione per due anni.
Una volta qualificata definitivamente la condotta, per il Consiglio, "occorre individuare la sanzione, la quale, in conformità della giurisprudenza domestica e di legittimità, pur in presenza della violazione di una pluralità di precetti, dovrà essere unica, quale espressione di una valutazione complessiva del comportamento dell'incolpato (art. 21 comma 2 CDF) e dovrà rispettare nella sua determinazione i principi di diritto dettati dalle Sezioni Unite della S.C. con riferimento alla individuazione della norma deontologica più favorevole come prescritto dall'art. 65, comma 5, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, che ha recepito il criterio del favor rei, in luogo del criterio del tempus regit actum".
"Il vincolo del rispetto del principio dettato dalla sentenza delle Sezioni unite impone - scrive il CNF - di procedere invece all'individuazione della sanzione più favorevole attraverso una comparazione dei trattamenti sanzionatori in concreto e, quindi, con raffronto tra la disciplina previgente e quella sopravvenuta tenendo conto e valutando nel giudizio comparativo il periodo di fatto occorrente al cancellato per essere facoltizzato alla richiesta di reiscrizione".

Per cui, il Consiglio, "tenuto conto che la violazione più grave tra quelle ascritte è quella dell'art. 72 CDF, (sanzionata in via edittale con la sospensione da due a sei mesi, e in misura aggravata sino a tre anni), del comportamento complessivo dell'incolpato, della gravità del fatto, delle circostanze, soggettive e oggettive nel cui contesto è avvenuta la violazione, nonché della compromissione che ne è derivata all'immagine della professione forense" ritiene congruo determinare la sanzione in anni uno e mesi quattro di sospensione, peraltro già scontati.
Data: 18/07/2023 06:00:00
Autore: Redazione