Cassazione: non è reato la raccomandazione fuori dalle proprie funzioni
- Reato di abuso d'ufficio
- La decisione della Cassazione
- Ricostruzione concorsuale della fattispecie contestata
- L'ingiustizia del vantaggio o del danno
Reato di abuso d'ufficio
Nella vicenda, il Giudice di prime cure ha riconosciuto la responsabilità penale del ricorrente in quanto lo stesso, in violazione dell'obbligo di astensione, aveva partecipato ad una riunione informale durante la quale aveva proposto suo fratello quale candidato per la direzione di un'area organizzativa dell'ente pubblico interessato. Dalla ricostruzione fattuale, era emerso come l'imputato non si fosse limitato a segnalare il proprio familiare per la candidatura in questione, avendo egli anche rappresentato come gli altri candidati non fossero in possesso dei medesimi requisiti professionali del fratello.
Tale comportamento, secondo il Giudice del merito, avrebbe influenzato la decisione di un assessore, con la conseguenza che la nomina del fratello era stata "indotta" dall'imputato. La Corte di appello di Roma aveva poi confermato la sentenza di primo grado.
La decisione della Cassazione
Avverso la sentenza di appello, l'imputato proponeva ricorso dinanzi la Suprema Corte, adducendo, con un unico motivo d'impugnazione, l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza manifesta di motivazione della decisione impugnata.
La Corte ha ritenuto fondata la doglianza del ricorrente, chiarendo che "l'art. 323 cod. pen. (…), prevedendo che l'abuso di ufficio debba essere commesso «nello svolgimento delle funzioni o del servizio», circoscrive la punibilità delle condotte abusive alle sole condotte realizzate dal pubblico funzionario nell'ambito della sua attività funzionale, quale espressione dell'attività pubblica a lui affidata. Ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo del reato di abuso d'ufficio, è, dunque, necessario che la condotta sia realizzata attraverso l'esercizio del potere pubblico attribuito al soggetto agente, configurando i comportamenti non correlati all'attività funzionale, o meramente occasionati da essa, una mera violazione del dovere di correttezza, non rilevante ai sensi dell'art. 323 cod. pen. anche se in contrasto di interessi con l'attività istituzionale".
Sulla scorta di quanto sopra riferito, la Cassazione spiega che, nel caso in esame, la segnalazione (e non raccomandazione) del fratello ad opera dell'imputato non era avvenuta nello svolgimento delle proprie funzioni pubbliche, avendo lo stesso fatto valere la propria influenza politica nell'ambito dell'amministrazione comunale di Roma. Ciò posto, evidenzia la Suprema Corte, la decisione sulla nomina spettava ad un soggetto differente dal ricorrente, che l'avrebbe dovuta assumere nell'esercizio del proprio potere discrezionale.
Ricostruzione concorsuale della fattispecie contestata
La non configurabilità della fattispecie delittuosa di cui all'art. 323 c.p., non può essere superata facendo ricorso allo schema concorsuale del delitto in esame, invero "secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, (…) non integra il tentativo di abuso di ufficio la condotta del pubblico funzionario che, con "raccomandazioni", anche articolate ed insistenti, sollecita altri pubblici ufficiali a compiere atti di competenza del loro ufficio, in quanto l'abuso richiesto dall'art. 323 cod. pen. deve realizzarsi attraverso l'esercizio del potere per scopi diversi da quelli imposti dalla natura della funzione attribuita".
L'ingiustizia del vantaggio o del danno
Quanto all'ulteriore elemento oggettivo del reato di abuso di ufficio, vale a dire la configurazione di un vantaggio o di un danno ingiusto, la Corte spiega che, nel caso di specie, le sentenze di merito hanno accertato una violazione di legge, ma non anche l'effettiva produzione di un vantaggio ingiusto, dal momento che l'ingiustizia del vantaggio è stata fatta discendere dall'intervento dell'imputato, facendo, dunque, derivare tale elemento non aliunde, bensì dal mero riflesso della condotta abusiva, diversamente da quanto richiesto dall'art. 323 c.p.
Per i motivi sopra esposti, la Cassazione, con la sentenza in commento ha annullato, senza rinvio, la decisione impugnata, perché il fatto non sussiste.
Data: 01/11/2023 06:00:00
Autore: Silvia Pascucci