Perdita di chance addebitabile alla tardiva diagnosi
Omessa diagnosi e nesso causale
Nel caso di specie, la Corte di Appello di Bologna, pronunciatasi in sede di rinvio, aveva confermato gli esiti cui era giunto il Giudice di primo grado, assolvendo i medici coinvolti nella vicenda in esame perché il fatto non sussiste.
Avverso tale decisione, parte civile aveva proposto ricorso in Cassazione, dolendosi, in particolare, del fatto che nelle precedenti fasi di giudizio non erano stati adeguatamente valutati gli effetti che sarebbero potuti derivare dall'adozione di una tempestiva terapia se la patologia fosse stata immediatamente diagnosticata e ciò, sia con riguardo alla possibile salvezza della paziente, sia con riferimento al prolungamento apprezzabile della sua vita "in termini, se non di durata, quantomeno di qualità, consentendo un decorso della patologia meno doloroso ed afflittivo di quello effettivamente patito".
La Corte di cassazione non ha accolto ricorso, ritenendo che il Giudice di secondo grado avesse correttamente dato applicazione alla sentenza rescindente nella quale veniva evidenziato come l'istruttoria svolta non avesse fornito una prova affidabile circa il fatto che una tempestiva diagnosi ed un tempestivo trattamento della patologia avrebbero consentito alla persona offesa "una sopravvivenza apprezzabile", intesa sia in termini quantitativi che qualitativi.
Probabilità logica e credibilità razionale nei reati colposi omissivi impropri
Il ricorrente, tra i diversi motivi d'impugnazione, aveva rilevato il fatto che la Corte di Appello non si fosse uniformata al principio di diritto enunciato nella sentenza rescindente, in quanto non aveva tenuto conto del diritto del paziente a sopravvivere per un tempo significativo, se tempestivamente trattato, così come non aveva considerato la perdita di chance terapeutiche addebitabile alla tardiva diagnosi delle sue patologie.
In particolare, il ricorrente aveva affermato che nel caso di specie una diagnosi tempestiva, secondo un giudizio di certezza, "avrebbe condotto ad una terapia della quale la paziente avrebbe sicuramente beneficiato; pertanto, a prescindere dall'effetto salvifico o del prolungamento della sopravvivenza grazie ad un intervento terapeutico, le cure da adottare si sarebbero fatte carico quantomeno della sintomatologia dolorosa, fronteggiandone l'intensità (cd. medicina del dolore)". La parte ricorrente aveva proseguito la propria contestazione osservando altresì che una diagnosi tempestiva avrebbe garantito al paziente "un'informazione precisa con riguardo al proprio stato di salute, così vanificando gli angosciosi interrogativi che ne avrebbero segnato per sei mesi la sofferenza psicologica".
Rispetto a tali contestazioni, la Cassazione, con sentenza n. 47685/2023 (sotto allegata), ha ritenuto che la Corte d'Appello nella sentenza impugnata "ha innanzitutto richiamato i fondamenti giurisprudenziali in materia di nesso causale nei reati colposi omissivi impropri, ed ha poi evidenziato che il Tribunale (…) non li aveva correttamente applicati". Sul punto, il Giudice di legittimità, richiamando un precedente della stessa Corte, ha affermato che occorre fornire una motivazione adeguata " (..) in punto di nesso di causalità (non potendo) individuare la morte come unico evento di cui tenere conto, ignorando e ritenendo non degno di tutela il diritto a sopravvivere per un tempo significativamente posteriore rispetto all'evento morte realizzatosi e la perdita di chance terapeutiche addebitabili alla tardiva diagnosi". Sulla scorta di tali principi, spiega la Corte, il Giudice del merito aveva correttamente valutato se vi fosse stata o meno una colpevole omissione dei medici nel disporre gli opportuni e tempestivi accertamenti diagnostici volti ad individuare la patologia di cui era affetto il paziente, valutazione da svolgersi, per altro, alla luce del parametro dell'elevata probabilità logica e della credibilità razionale.
Alla luce di quanto sopra, la Corte ha concluso il proprio esame ritenendo che la decisione del Giudice di secondo grado fosse stata correttamente formulata e ciò sia in punto di diritto, sia in punto di fatto. La stessa si era invero attenendosi alle conclusioni cui erano giunti i periti i quali avevano rilevato che, con elevata probabilità, la malattia del paziente, anche se tempestivamente diagnostica e trattata adeguatamente, non avrebbe consentito al paziente una sopravvivenza di una durata apprezzabilmente maggiore.
Per questi motivi la Corte ha rigettato il ricorso, condannando la parte soccombente al pagamento delle spese processuali.
Data: 08/12/2023 06:00:00
Autore: Silvia Pascucci