Le spese postali delle bollette non devono gravare sui clienti
Inefficace la clausola che accolla le spese al cliente
La vicenda prende avvio dalla domanda, presentata da un utente nei confronti del proprio gestore telefonico, avente ad oggetto la richiesta di dichiarazione d'inefficacia della clausola contrattuale con cui l'operatore aveva stabilito l'addebito a carico del cliente delle spese postali relative all'invio delle bollette.
Il Giudice di pace di Barletta aveva dichiarato inefficace la suddetta clausola contrattuale, condannando l'operatore a restituire le somme indebitamente accollate al cliente. A seguito di tale decisione, il gestore telefonico aveva proposto appello dinanzi al Tribunale di Trani che aveva confermato la sentenza di primo grado.
Avverso tale ultima sentenza l'operatore aveva proposto ricorso dinanzi la Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 34800/2023 (sotto allegata) ha respinto il ricorso dichiarandolo inammissibile.
Mezzi alternativi di consegna delle fatture
La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso proposto dall'operatore telefonico e ha, per quanto qui rileva, confermato le conclusioni cui erano giunti i Giudici del merito, dichiarando inammissibile il ricorso proposto.
Per quanto attiene alla specifica contestazione formulata dal ricorrente in relazione all'addebito delle spese di spedizione, la Corte ha precisato come il Tribunale abbia in realtà correttamente considerato che "le spese di spedizione della fattura (…) non debbono necessariamente gravare sull'impresa che eroga il servizio, non potendo un siffatto obbligo desumersi dall'art. 21, comma ottavo, del d.P.R. 26 agosto 1973, n. 633, introdotto dal d.P.R. 23 dicembre 1973, n. 687, in quanto la spedizione non può ritenersi segmento dell'operazione di emissione della fattura, né ricondursi ai conseguenti adempimenti e formalità … Tali spese trovano invece disciplina nell'ambito del diritto civile e della volontà negoziale delle parti, per cui può essere concordato che esse gravino sull'utente". La Corte, ha proseguito affermando che, sul punto, il Giudice del merito ha il compito di verificare se "la clausola delle condizioni generali, addossando all'utente tali spese, non faceva salva, tuttavia, la facoltà di scegliere modalità alternative di ricezione della fattura".
In questo senso, secondo la Cassazione, la sentenza d'appello, avendo valutato tale aspetto del contratto ed avendolo poi ritenuto carente, non si è collocata in posizione divergente rispetto alla giurisprudenza di legittimità formatasi in relazione alla contestazione oggetto del ricorso, ma, al contrario, ha esattamente indagato sugli elementi contrattuali in questione.
Il Tribunale, prosegue la Suprema Corte, ha altresì applicato in modo corretto la giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto che, rispetto al caso di specie, affida al Giudice del merito di esaminare la sussistenza o meno di un mezzo alternativo della posta. In questo senso, il Tribunale con la propria decisione ha integrato quanto previsto dalla sentenza di primo grado, rilevando che "nella convenzione per la concessione dei servizi (dell'operatore telefonico) si stabilisce, e precisamente all'articolo 53, la modalità della riscossione addebitando le spese postali (all'utente) "salvo la facoltà degli abbonati di provvedere senza addebito di spese al ritiro delle bollette presso gli uffici della società".
Considerata, dunque, tale previsione, nonché il fatto che nel caso di specie difettava una modalità di ritiro alternativa della bolletta, quale in particolare quella "del ritiro presso gli uffici Telecom", il Tribunale ha legittimamente qualificato la clausola contrattuale in esame come vessatoria.
Sul piano fattuale, la Corte rileva dunque ed in definitiva come, sia il Giudice di primo grado, che quello di secondo grado abbiano correttamente concordano nel ritenere assente, nell'ambito della convenzione per la concessione dei servizi, una modalità alternativa di ritiro della fattura e, in particolare, proprio quella del ritiro presso gli uffici del gestore telefonico, come invece richiesto dalla giurisprudenza di riferimento e dalla normativa applicabile.
Sulla scorta di tale ricostruzione, nonché del contenuto contrattuale sottoscritto tra le parti, la Corte ha pertanto dichiarato l'inammissibilità del ricorso proposto dal gestore telefonico e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Data: 22/12/2023 06:00:00Autore: Silvia Pascucci