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Avvocato: diritto al compenso anche in assenza di "contratto"

Per la Cassazione, gli atti tra avvocato e cliente non possono essere qualificati come contratti se non è raggiunto su di essi l'accordo tra le parti, ciononostante l'avvocato ha diritto a ottenere gli onorari per l'opera prestata


Le bozze di atti tra cliente e avvocato

Nella vicenda in esame un avvocato aveva adito l'autorità giudiziaria per ottenere il pagamento del proprio compenso nei confronti del cliente che non aveva adempiuto spontaneamente.

Rispetto alla suddetta richiesta la Corte d'appello di Salerno aveva accolto le contestazioni formulate dal cliente, affermando che "le bozze di atti predisposti dall'appellato non potevano essere qualificati come "contratti", non essendo mai stato raggiunto su di esse l'accordo delle parti".

In particolare, il Giudice di secondo grado aveva escluso che i compensi in questione potessero essere liquidati sulla base di quanto previsto alla lettera f) della Tabella D allegata al D.M. 127/2004, qualificando le attività svolte come pareri scritti, pertanto riconducibili alla categoria di cui alla lettera b) sub b del suddetto D.M.

Avverso la suddetta decisione l'avvocato aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, censurando la sentenza del Giudice di seconde cure nella parte in cui era stato ritenuto che gli atti predisposti dal ricorrente non potessero essere considerati contratti "in quanto ancora privi del consenso delle parti" con la conseguenza che il compenso dell'avvocato doveva essere liquidato secondo i parametri previsti per la redazione dei pareri.

Quando si ritiene stipulato un contratto con l'avvocato

La Corte di Cassazione, investita della questione come sopra descritta, con ordinanza n. 693/2024 (sotto allegata), ha accolto il ricorso proposto, condividendo, per quanto qui interessa, le ragioni dell'avvocato.

In merito alla contestazione principale formulata dal ricorrente, la Suprema Corte ha anzitutto ripercorso la recente giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, ricordando che "l'avvocato anche nel caso in cui il contratto da lui redatto su incarico del cliente non sia formalmente stipulato dai relativi contraenti, ha il diritto, come in generale accade per il caso di mancato completamento dell'incarico stragiudiziale affidatogli, di ricevere il relativo compenso, il quale, in mancanza di accordo tra le parti, dev'essere determinato, avendo riguardo ai criteri (…) in ragione di quanto isolatamente previsto per le singole prestazioni professionali effettivamente svolte". Nell'ambito di tale intepretazione, prosegue la Corte, si è altresì "osservato che la "redazione di contratti" prevista dal punto f) della tabella D del d.m. n. 127 cit. dev'essere ravvisata tutte le volte in cui la prestazione dell'avvocato si concrettizzi nella "traduzione in termini tecnico giuridici delle pattuizioni di due parti" (…) e cioè nella predisposizione, su incarico del cliente, (…) dal testo di un regolamento negoziale (…) sempre che, a seguito della sua "stipula" nelle forme di volta in volta richieste (…) si concretizzi in un vero e proprio "contratto" giuridicamente vincolante tra i reativi contraenti".

Sulla scorta di quanto sopra, la Corte ha dunque spigato che, se il rapporto tra cliente e avvocato, comunque svoltosi, non è stato poi formalizzato sul piano giuridico, l'attivtà professionale comunque svolta dal legale deve essere liquidata ai sensi dell'art. 6 del D.M. 127/2004, ove è previsto che, per le pratiche iniziate ma non giunte a compimento (come avviene nel caso in cui il "contratto" preparato dall'avvocato non sia stato mai sottoscritto dalle parti del rapporto), l'avvocato ha in ogni caso diritto a ottenere gli onorari per l'opera prestata comprendendosi in questa il lavoro preparatorio compiuto dal professionista.

Ai fini della determinazione del compenso da erogare, spiega la Corte, dovrà tenersi conto di quanto previsto dall'art. 1, comma 2. Del D.M:.127/2004, mentre "si dovrà escludere l'utilizzabilità dei criteri, come l'effettivo conseguimento del risultato o del vantaggio, anche non economico, che il cliente intendeva ottenere, che sono, di regola, compatibili solo con l'integrale espletamento di tutte le prestazioni previste nell'atto di conferimento dell'incarico, e cioè, nel caso in esame, con la formale e definitiva stipulazione ad opera dei contraenti del contratto redatto dal legale su incarico del cliente e salva l'ipotesi del raggiungimento parziale di un risultato comunque utilizzabile dal cliente".

La Suprema Corte ha dunque evidenziato come il Giudice d'appello si sia discostato dai suddetti principi, poiché, invece di procedere all'accertamento sopra indicato, ha ritenuto di qualificare l'attività dell'avvocato in termini di redazione di un parere scritto.

Data: 19/01/2024 06:00:00
Autore: Silvia Pascucci