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Riforma dell'autotutela: fumo o arrosto?

Autotutela: una riforma che riesce nell'impresa di scontentare tutti


Statuto contribuente e autotutela

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Il 3 gennaio 2024 è stato pubblicato, nella Gazzetta Ufficiale n. 2, il d.lgs. n. 219 del 30 dicembre 2023, entrato in vigore il 18 gennaio 2024, che ha modificato lo Statuto del contribuente, incidendo, in particolare, sull'istituto dell'autotutela.

I primi commenti della novella normativa oscillano, di norma, tra entusiasmo e compiacimento, ma il combinato disposto dell'art. 10-quater (autotutela obbligatoria) e dell'art. 10-quinquies (autotutela facoltativa) della legge 27 luglio 2000, n. 212 con l'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (processo tributario) getta ombre profonde sulla sua disciplina, creando non pochi problemi interpretativi sia al contribuente sia al funzionario dell'Agenzia delle Entrate.

Problemi generati dalla carenza di disposizioni transitorie e finali

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In primis, si osserva che il legislatore ha, con troppa disinvoltura, abrogato la vecchia disciplina dell'autotutela senza dettare alcuna disposizione transitoria, per regolamentare la disciplina degli atti impositivi notificati fino al 17 gennaio 2024.

Il legislatore non ha affrontato le problematiche che porranno gli atti notificati, prima della riforma, di cui si ipotizza l'illegittimità.

L'obbligo di cui all'art. 10-quater (autotutela obbligatoria) comma 1 della legge 27 luglio 2000, n. 212 non sussiste in caso di sentenza passata in giudicato favorevole all'Amministrazione Finanziaria; pertanto, il contribuente che fino alla data del 17 gennaio 2024 aveva confidato, per atti già notificatigli, nell'accoglimento di una istanza di annullamento in autotutela, benché discrezionale, perché la sentenza non si era pronunciata sul merito, ora dovrà consolarsi con i versi del sommo Poeta «lasciate ogni speranza».

L'infelice terminologia del legislatore potrebbe far credere che venuto meno l'obbligo di provvedere resterebbe in vita la facoltà di provvedere, ma a nessuno sfuggirà che se l'Agenzia, si pronunciasse per il rigetto dell'stanza di autotutela, facendo valere il giudicato, difficilmente, una Corte di Giustizia di Tributaria potrebbe considerare il diniego di autotutela illegittimo, essendo pacifico che passano in giudicato anche le sentenze procedurali. Del resto, sarebbe impossibile considerare la citata norma contraria allo spirito dello Statuto del contribuente di cui fa parte integrante.

Analogo ragionamento può essere fatto per l'obbligo di cui all'art. 10-quinquies (autotutela facoltativa) della legge 27 luglio 2000, n. 212, che non sussiste decorso un anno dalla definitività dell'atto viziato per mancata impugnazione. È, appena, il caso di osservare che la cesura temporale voluta dal legislatore, in assenza di disposizioni transitorie, creerà non pochi problemi interpretativi.

Le richieste di autotutela pervenute all'Ufficio, entro il 17 gennaio 2024, dovranno essere esaminate, non potendosi considerare tamquam non esset, ma dovranno essere istruite alla luce della nuova normativa con la conseguenza che se il presunto atto viziato è diventato definitivo da oltre un anno l'istanza sarà rigettata sulla base dell'ineccepibile motivazione della sua inammissibilità per decadenza del termine. Infatti, non è revocabile in dubbio il carattere decadenziale del termine per la presentazione dell'istanza, avendo previsto il legislatore, espressamente, la perdita della possibilità di far valere il diritto se non è esercitato entro il termine fissato dalla legge. Detto termine decadenziale, essendo stato previsto per garantire il principio della parità di bilancio, potrà essere rilevato anche d'ufficio dal giudice.

Non è superfluo rappresentare che il legislatore sembra non cogliere il frequente fenomeno della correlazione tra atti emessi in momenti diversi, quando utilizza il termine singolare «l'atto viziato» divenuto definitivo da oltre un anno non è oggetto di autotutela. Si pensi al caso, tutt'altro che infrequente, in cui il contribuente contesti una pluralità di atti per vizio propri e per vizi dall'atto presupposto.

Criticità causate dall'abrogazione dell'art. 2-quater del dl n. 564/1994

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La superficialità dell'estensore della riforma emerge in tutta la sua gravità dalla lettura dell'art. 2 comma 4 del d.lgs. 30 dicembre 2023 n. 219 ove si legge che a decorrere dal 17 gennaio 2024 è abrogato: «l'articolo 2-quater del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656».

Nel comma 1-bis del citato decreto si leggeva che nel potere di annullamento doveva intendersi compreso, anche, il potere di disporre la sospensione degli effetti dell'atto che appariva illegittimo, riconoscendo all'ufficio la facoltà di sospendere l'atto nelle more degli approfondimenti istruttori. L'Ufficio a decorrere dal 18 gennaio 2024 è stato privato di detto potere, pertanto, durante la fase istruttoria, l'atto, ritenuto illegittimo, continuerà a produrre gli effetti suoi propri, affievolendo la tutela del contribuente che si troverà al cospetto di un funzionario impossibilitato, suo malgrado, a concedere la misura cautelativa della sospensione. Se volessimo trovare, in ogni modo, una giustificazione alla decisione di abrogare sic et simpliciter la pregressa normativa sull'autotutela, dovremmo rocambolescamente ipotizzare che il legislatore ha ritenuto le fattispecie di illegittimità previste dall'art. 10-quater (autotutela obbligatoria) comma 1 della legge 27 luglio 2000, n. 212 di così facile e rapida soluzione da rendere superfluo il ricorso all'istituto della sospensione. Invero, questa bislacca interpretazione è smentita dalla normativa, che limita la responsabilità erariale del funzionario all'ipotesi di dolo, concede a quest'ultimo 90 giorni di tempo per pronunciarsi sull'istanza ed esclude la sospensione anche per le fattispecie di illegittimità previste dall'art. 10-quinquies (autotutela facoltativa) comma 1 della legge 27 luglio 2000, n. 212. In conclusione, il legislatore ha creato un vuoto normativo, rendendo l'autotutela orfana dell'istituto della sospensione.

Purtroppo, è tristemente famosa la citazione latina "nulla calamitas sola". Le disgrazie si accaniscono senza interruzioni sugli individui. È una triste realtà che, quando si entra in una spirale negativa è difficile venirne fuori.

L'abrogazione, dell'articolo 2-quater del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, ha fatto venire meno il comma 1-sexies del citato art. 2 quater del decreto-legge n. 564/1994 che testualmente recitava «nei casi di annullamento o revoca parziali dell'atto il contribuente può avvalersi degli istituti di definizione agevolata delle sanzioni previsti per l'atto oggetto di annullamento o revoca alle medesime condizioni esistenti alla data di notifica dell'atto purché rinunci al ricorso. In tale ultimo caso le spese del giudizio restano a carico delle parti che le hanno sostenute». La ratio della disposizione normativa era chiarissima. Il contribuente, conscio di avere parzialmente ragione, non avrebbe potuto godere della riduzione delle sanzioni ad 1/3, non volendo aderire alla parte illegittima dell'avviso di accertamento, pagando imposte, sanzioni e interessi non dovuti. Il legislatore aveva rimediato a questa iniquità, disponendo che il contribuente al quale era stato notificato, in corso di giudizio, l'annullamento parziale dell'avviso di accertamento era rimesso in termini e previa rinuncia al ricorso con compensazione delle spese, era tenuto al pagamento del solo importo effettivamente dovuto con riduzione delle sanzioni corrispondenti a un terzo e proporzionale decurtazione degli interessi.

Tutto questo non sarà più possibile a decorrere dal 18 gennaio 2024, non essendo stata riproposta la già menzionata disposizione.

È quasi superfluo evidenziare, invece, che l'abolizione del comma1-octies. dell'art. 2 quater del decreto-legge n. 564/1994 non dovrebbe avere effetti sul contenzioso, già, incardinato avverso un atto impositivo, essendo stato il problema dell'autotutela parziale risolto da tempo dalla giurisprudenza che ha trovato recente conferma nella sentenza della Cassazione sezione V del 22/03/2023 n. 8226[1].

Il legislatore con il d.lgs. n. 219 del 30 dicembre 2023 ha introdotto nel nostro ordinamento una bipartizione dell'istituto dell'autotutela, distinguendola in obbligatoria e facoltativa. La prima disciplinata dall'art.10-quater comma 1 e la seconda dall'art 10-quinquies comma1, entrambe contenute nella legge 27 luglio 2000, n. 212.

Autotutela obbligatoria: art. 10-quater comma 1 l. 212/2000 [2]

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Il primo capoverso del primo comma del citato art. 10-quater prevede che l'Amministrazione Finanziaria ha l'obbligo di provvedere in tutto o in parte all'annullamento dell'imposizione ovvero alla rinuncia della stessa, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in presenza di atti definitivi, nei casi di manifesta illegittimità dell'atto o dell'imposizione.

La lettura del primo capoverso mette in luce le criticità della riforma entrata in vigore il 18 gennaio 2024.

In primis, balza agli occhi che il legislatore ha introdotto l'obbligo di procedere in tutto o in parte all'annullamento degli atti di imposizione ovvero alla loro rinuncia. Invero, occorre precisareche il potere di annullamento non può confondersi con la rinuncia all'imposizione.

Ebbene, la prima ipotesi ricorre allorquando l'Amministrazione, riscontrando vizi di legittimità dell'atto emanato ovvero l'illegittimità di quest'ultimo derivante dall'illegittimità del procedimento odegli atti prodromici, lo annulla con efficacia ex tunc. Il potere di rinuncia all'imposizione, invece,viene esercitato in considerazione di criteri di economicità relativi e assoluti, definiti dal rapporto tra congruità delle pretese tributarie e i costi amministrativi connessi alla difesa di quest'ultime, oppure sulla base del criterio della probabilità della soccombenza e della conseguente condanna al rimborsodelle spese di giudizio. Nello specifico, tali iniziative possono essere adottate esclusivamente dall'Amministrazione, non vantando il contribuente né un interesse legittimo né tanto meno un diritto soggettivo.

Nel prosieguo della stesura dell'articolo l'estensore della norma non è stato in grado di rinunciare al classico colpo da teatro, inserendo l'inciso, che l'Amministrazione Finanziaria provvederà all'annullamento in autotutela «senza necessità di istanza di parte». Il legislatore crede forse che il funzionario non abbia impegni lavorativi e che trascorra il suo tempo a rimaneggiare sempre le stesse carte, confidando di trovare l'illegittimità che consenta l'annullamento dell'atto" Non si comprende, inoltre, salvo rare eccezioni, come l'ufficio dovrebbe rendersi conto dell'errore se il contribuente interessato non lo rappresenti e non lo documenti. Il legislatore quando riscrive l'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, probabilmente, si avvede della natura goliardica dell'inciso per cui l'Amministrazione Finanziaria annulla l'atto «senza necessità di istanza di parte» e nel prosieguo torna a parlare tecnicamente di rigetto di istanza o di rifiuto tacito dell'istanza.

Il legislatore ha fatto uno sforzo notevole, a modesto parere di chi scrive, ma senza successo, per cercare di persuadere il cittadino che la normativa sull'autotutela è stata radicalmente mutata. Sempre nel primo capoverso che in commento si legge che l'annullamento in autotutela può essere disposto anche in pendenza di giudizio, ma l'annullamento in detta occasione crea innumerevoli problemi. Infatti, se il contribuente non eccepisce il vizio che inficia l'atto, l'ufficio non può annullarlo, perché sul vizio non impugnato si è già formato il giudicato. Se il petitum e la causa petendi non fossero confacenti al vizio eccepito, l'ufficio non potrebbe annullare il presunto atto viziato, perché, di fatto, non correttamente eccepito, rischiando di giungere al paradosso per cui, in determinate circostanze, potrebbe trovarsi in migliori condizioni la parte negligente che non abbia impugnato l'atto, rispetto alla parte che diligentemente lo avesse fatto. L'intervento dell'ufficio che omettesse di sollevare le eccezioni processuali, darebbe luogo a un ingiustificato aiuto del contribuente, il quale è, tra l'altro, obbligato ad avvalersi dell'assistenza tecnica. In questi casi, sarebbe ingenuo da parte del funzionario ritenersi coperto dalla responsabilità erariale per assenza di dolo, come chiariremo tra qualche istante.

Appare evidente, inoltre, che in presenza di un giudizio pendente non ha molto senso ipotizzare l'impugnativa del silenzio rifiuto o del rigetto espresso, perché le norme di procedura vietano, giustamente, la litispendenza di controversie con sostanziale identità dei soggetti, del petitum e della causa petendi per economia processuale e per prevenire, soprattutto, contrasti di giudicato. Per di più, non esisterebbero, di regola, neppure i presupposti per la presentazione di motivi aggiunti. L'accoglimento dell'istanza di autotutela determinerebbe l'estinzione del giudizio per cessata materia del contendere, come del resto è da sempre avvenuto.

Il legislatore ha elencato le ipotesi di autotutela, che si ritiene abbiano carattere esaustivo, essendo stata disciplinata con apposita norma le ipotesi residuali. Non ci soffermeremo su ciascuna di esse, ma solo su quelle che appaiono di primo acchito colme di difficoltà interpretative, che sembrano sfuggite all'analisi del legislatore; ci soffermeremo, in particolare, solo sulle ipotesi c), d) ed e) per evidenziare che la realtà operativa con la quale si scontrano gli operatori del diritto e i funzionari tributari è di gran lunga più complessa della teoria, rendendo probabilmente inopportuna la distinzione tra autotutela obbligatoria e autotutela facoltativa.

Il legislatore sembra che abbia ritenuto di facile soluzione il problema dell'errore sull'individuazione del tributo, ma basta un esempio per incrinare il mito della problematica di facile soluzione. Se una S.r.l. non è regolarmente iscritta nel registro delle imprese i soci sono illimitatamente responsabili nei confronti dei terzi. L'Ufficio potrebbe non rendersene conto e tassare la S.r.l. come una qualsiasi società di capitali. Il contribuente, dal canto suo, potrebbe eccepire l'illegittimità dell'atto sostenendo che il tributo dovuto non avrebbe dovuto essere l'Ires bensì l'Irpef (omettiamo per semplicità espositiva la problematica dell'Irap). Il funzionario del fisco si troverebbe di fronte un dilemma kafkiano: sostenere l'inesistenza dell'errore sul tributo a dispetto dell'evidenza o accogliere l'autotutela con la ragionevole certezza della violazione del diritto e le conseguenziali responsabilità erariali.

Altrettanto semplice è apparsa al legislatore la questione dell'errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'Amministrazione Finanziaria, ipotesi descritta con una locuzione analoga a quella originariamente contenuta nel vecchio Decreto Ministeriale del 11 febbraio 1997 n. 37, abrogato a far data dal 18 gennaio 2024: detta espressione poteva avere una sua giustificazione ventisette anni or sono, quando non esistevano le dichiarazioni precompilate ed erano ancora in nuce i controlli automatizzati. Oggi, invece, se l'errore materiale è sfuggito a tutti i controlli informatici non è di facile comprensione l'espressione su riportata, che, anzi, suona quasi come un ossimoro, senza offendere i puristi della lingua, perché si finirebbe con il pretendere che un errore materiale, sfuggito a ogni controllo informatico, sia "prontamente riconoscibile" dall'Amministrazione Finanziaria.

Infine, ci soffermiamo per un attimo sull' errore sul presupposto d'imposta, solo per evidenziare che appare assai improbabile che sussista detto presupposto per l'esercizio dell'autotutela, essendo stata prevista nel nostro ordinamento una pluralità di categorie reddituali: A - redditi fondiari; B - redditi da capitale; C - redditi da lavoro dipendente; D - redditi da lavoro autonomo; E - redditi di impresa; F - redditi diversi. L'ultima categoria ha carattere di chiusura per evitare che possano esistere redditi che sfuggono a tassazione. Infatti, nella categoria redditi diversi all'art. 67 del TUIR si legge, tra l'altro, che sono soggetti a tassazione redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente; redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere. In conclusione, è difficile che si verifichi una tassazione in assenza del suo presupposto.

Può verificarsi una errata qualificazione del presupposto stesso, ma diventa arduo chiedere e ottenere l'annullamento dell'atto impositivo per un errore nel nomen iuris in presenza di una conclamata evasione.

Autotutela facoltativa: art. 10-quinquies comma 1 della l. n. 212/2000 [3]

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Non ci soffermeremo sugli aspetti della normativa dell'autotutela facoltativa analoghi a quelli dell'autotutela obbligatoria di cui ci siamo già occupati, ma inizieremo il nostro discorso sottolineando che nella disciplina dell'autotutela facoltativa regna sovrana l'incoerenza e si annidano rischi di arbitri e comportamenti illeciti. Per fattispecie particolarmente rilevanti, quali sono, gli atti illegittimi o infondati diversi da quelli elencati dall'art. 10-quater, la legge sul processo tributario prevede l'impugnabilità del solo rifiuto espresso sull'istanza di autotutela.

In sostanza, nel caso in cui con l'istanza di adesione si eccepisca l'illegittimità o l'infondatezza dell'atto impositivo, il contribuente potrà impugnare solo il rifiuto espresso, essendo stata esclusa l'impugnabilità del silenzio. Il problema è ancora più articolato se si considera che l'art. 10-quinquies non ha richiamato il comma 2 dell'art. 10-quater, sia pure, con i necessari adattamenti, creando di fatto un parziale vuoto normativo. In estrema sintesi, il diritto processuale civile può venirci in soccorso, per ritenere ostativa all'istanza di autotutela la sentenza passata in giudicato, mentre si è creato un vuoto legislativo sulla esistenza o meno di un termine decadenziale per chiedere l'autotutela facoltativa. Il carattere facoltativo farebbe propendere per la tesi di una inesistenza di un termine per la presentazione dell'istanza in autotutela, ripristinando vecchi vezzi che rendono difficili le politiche di bilancio.

La criticità maggiore dell'attuale formulazione dell'adesione volontaria è rappresentata, come già anticipato, dal rischio di arbitri e comportamenti illeciti, perché, sposando la tesi che l'unico atto impugnabile è il rigetto espresso dell'istanza di autotutela, si potrebbero verificare casi di silenzio strumentale per sbarrare la porta del contenzioso o casi di rigetti espressi emessi, al contrario, proprio con l'unico fine di spalancare la porta del contenzioso. Operazioni che porterebbero, come vedremo, la Corte dei conti a riappropriarsi delle sue prerogative.

Responsabilità art. 1, comma 1, della l. n. 20/1994 limitata alle ipotesi di dolo

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Il legislatore per agevolare l'adozione dei provvedimenti di autotutela ha introdotto nell'ultimo comma dell'art. 10-quater e 10-quinquies il seguente principio: «Con riguardo alle valutazioni di fatto operate dall'Amministrazione finanziaria ai fini del presente articolo, in caso di avvenuto esercizio dell'autotutela, la responsabilità di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni, è limitata alle ipotesi di dolo».

Pregiudizialmente, si osserva che il legislatore ha statuito che in caso di avvenuto esercizio dell'autotutela la responsabilità erariale è limitata alla ipotesi di dolo, ma il legislatore non ha preso formale posizione, neppure con riferimento all'autotutela obbligatoria, circa l'eventualità dell'omesso esercizio di detto potere, benché l'art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 testualmente disponga che: «la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali». La formula adottata dal legislatore, purtroppo, non lascia adito alla speranza per il funzionario tributario di non essere portato in giudizio per omessa pronuncia sulla richiesta di autotutela. Il danno erariale sarebbe, del resto, facilmente, quantificabile quanto meno, con una buona dose di fortuna, nelle spese di lite poste a carico dell'Amministrazione.

La situazione del pubblico funzionario non è delle più tranquille neppure sul versante del dolo, avendo il legislatore limitato la responsabilità alle valutazioni di fatto, mentre è più frequente l'erronea valutazione di diritto riconosciuta come esimente, esclusivamente, per il contribuente.

Lo stesso concetto di dolo, nonostante gli interventi normativi, è tutt'altro che pacifico nella giurisprudenza della Corte dei conti, che sostiene tre tesi in materia: il dolo civilistico, il dolo contabile e infine, anche in ordine di tempo, il dolo penale. Anche nell'ipotesi in cui prevalesse presso la giurisprudenza della Corte la tesi del dolo penale il problema non sarebbe risolto, non esistendo neppure nel diritto penale un concetto unitario di dolo. Abbiamo, a titolo solo meramente esemplificativo, un dolo diretto, un dolo indiretto e la zona grigia che si estende dalla colpa cosciente al dolo eventuale e in tutte le sue possibili declinazioni. Infine, non bisogna dimenticare che l'attività degli Uffici Finanziari è soggetta al controllo dell'Audit, che non ha il potere di accertare l'elemento psicologico, ma solo quello di constatare i fatti materiali per inoltrali alla Corte dei conti.

Conclusioni

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Non si ritiene che esistano ragioni particolari per esultare leggendo la nuova normativa sull'autotutela, sia per l'assenza di disposizioni transitorie che sono fondamentali, considerando il volume delle istanze di autotutela che, probabilmente, pendono negli uffici alla data del 17 gennaio 2024.

La normativa non è chiara, anzi spesso è contorta e ricca di lacune. Lascia aperte vie ad arbitrii e forse anche a illeciti; non tutela adeguatamente né i funzionari dell'Amministrazione dal quale dipende (in parte) il buon esito di ogni riforma fiscale, né i contribuenti. Inoltre, sarebbe stato opportuno, forse, per gli atti definitivi subordinare l'istanza di autotutela a una causa di forza maggiore che avrebbe impedito di adire nei termini il giudice. Probabilmente, sarebbe il caso di ripartire dal principio fondamentale della buona fede reciproca e riempirlo di contenuti atti a garantire un giusto procedimento, le cui violazioni dovrebbero essere demandate al vaglio, di norma, del giudice tecnico, per tanti anni auspicato.


[1] 1. Con decreti del Ministro delle finanze sono indicati gli organi dell'Amministrazione finanziaria competenti per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati. Con gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o si abbandona l'attività dell'Amministrazione.

1-bis. Nel potere di annullamento o di revoca di cui al comma 1 deve intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell'atto che appaia illegittimo o infondato.

1-ter. Le regioni, le province e i comuni indicano, secondo i rispettivi ordinamenti, gli organi competenti per l'esercizio dei poteri indicati dai commi 1 e 1-bis relativamente agli atti concernenti i tributi di loro competenza.

1-quater. In caso di pendenza del giudizio, la sospensione degli effetti dell'atto cessa con la pubblicazione della sentenza.

1-quinquies. La sospensione degli effetti dell'atto disposta anteriormente alla proposizione del ricorso giurisdizionale cessa con la notificazione, da parte dello stesso organo, di un nuovo atto, modificativo o confermativo di quello sospeso; il contribuente può impugnare, insieme a quest'ultimo, anche l'atto modificato o confermato.

1-sexies. Nei casi di annullamento o revoca parziali dell'atto il contribuente può avvalersi degli istituti di definizione agevolata delle sanzioni previsti per l'atto oggetto di annullamento o revoca alle medesime condizioni esistenti alla data di notifica dell'atto purché rinunci al ricorso. In tale ultimo caso le spese del giudizio restano a carico delle parti che le hanno sostenute.

1-septies. Le disposizioni del comma 1-sexies non si applicano alla definizione agevolata prevista dall'articolo 17, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.

1-octies. L'annullamento o la revoca parziali non sono impugnabili autonomamente.

[2] 1. L'Amministrazione finanziaria procede in tutto o in parte all'annullamento di atti di imposizione ovvero alla rinuncia all'imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, nei seguenti casi di manifesta illegittimità dell'atto o dell'imposizione:

a) errore di persona;

b) errore di calcolo;

c) errore sull'individuazione del tributo;

d) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'Amministrazione finanziaria;

e) errore sul presupposto d'imposta;

f) mancata considerazione di pagamenti di imposta regolarmente eseguiti;

g) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini ove previsti a pena di decadenza.

2. L'obbligo di cui al comma 1 non sussiste in caso di sentenza passata in giudicato favorevole all'Amministrazione finanziaria, nonché decorso un anno dalla definitività dell'atto viziato per mancata impugnazione.

3. Con riguardo alle valutazioni di fatto operate dall'Amministrazione finanziaria ai fini del presente articolo, in caso di avvenuto esercizio dell'autotutela, la responsabilità di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni, è limitata alle ipotesi di dolo.

[3] 1. Fuori dei casi di cui all'articolo 10-quater, l'Amministrazione finanziaria può comunque procedere all'annullamento, in tutto o in parte, di atti di imposizione, ovvero alla rinuncia all'imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, in presenza di una illegittimità o dell'infondatezza dell'atto o dell'imposizione.

2. Si applica il comma 3 dell'articolo 10-quater.

Data: 10/02/2024 09:00:00
Autore: Francesco Filippo Tigano