Convivenza prematrimoniale e assegno divorzile
Sentenza Cassazione civile a Sezioni Unite n. 35385 del 18/12/2023
Con la sentenza n. 35385 del 18/12/2023, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha enunciato un importantissimo principio di diritto laddove ha tenuto conto della convivenza prematrimoniale della coppia ai fini del riconoscimento e della quantificazione dell'assegno divorzile, in presenza di specifici presupposti che verranno esaminati nel prosieguo del presente commento.
A tal proposito, statuisce la Suprema Corte con la seguente massima che: "Ai fini dell'attribuzione e della quantificazione, ai sensi dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, dell'assegno divorzile, avente natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase «di fatto» di quella medesima unione e la fase «giuridica» del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l'assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l'esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all'interno del matrimonio e cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio".
Analizzeremo in questo commento la vicenda e le ragioni logico-giuridiche che hanno indotto le S.U. della Corte ad enunciare l'anzidetto principio.
Vicenda
In un giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale di primo grado ha assegnato la casa coniugale alla moglie e posto a carico dell'ex coniuge un assegno divorzile di € 1.600,00 mensili, un assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente di € 700,00 e il 100% delle spese straordinarie.
Avverso la sentenza del giudice di prime cure l'ex marito ha proposto gravame dinanzi la Corte d'Appello di Bologna che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ridotto l'assegno divorzile in favore dell'ex moglie ad € 400,00 nonché quello in favore del figlio, anch'esso ad € 400,00.
La Corte d'Appello a fondamento della decisione ha rilevato, innanzitutto, che il reddito dichiarato dall'ex marito appellante, sebbene maggiore rispetto a quello dichiarato al fisco, non poteva essere talmente elevato come quello stimato in atti.
Inoltre, la ex moglie non aveva mai lavorato, né prima né dopo il matrimonio, non per essersi dedicata alle cure del marito e del figlio, bensì in quanto proveniva da una famiglia agiata e abbiente. Dagli atti, poi, non emergeva che la stessa avesse sacrificato le proprie aspirazioni personali e professionali per dedicarsi alla famiglia in quanto aveva abbandonato il lavoro da commessa ancor prima delle nozze e il marito aveva cessato il suo lavoro per seguire il cantautore Lucio Dalla.
La Corte territoriale, quindi, ha ritenuto che la ex moglie avesse diritto a percepire l'assegno divorzile, in mancanza di contestazione dell'an, ma in misura nettamente inferiore a quella stabilita dal tribunale, in considerazione della disponibilità economica attuale dell'ex marito, della breve durata legale del matrimonio di sette anni (escludendo il periodo anteriore della convivenza) e della natura assistenziale dell'assegno (in relazione alla mancanza di reddito attuale della ex moglie). Ha ridotto anche la misura dell'assegno di mantenimento del figlio maggiorenne avuto riguardo al reddito del padre e del fatto che lo stesso avesse sopportato il 100% delle spese straordinarie, parte rilevante del mantenimento visto che il figlio era studente universitario.
Avverso la pronuncia della Corte d'Appello di Bologna, la ex moglie ha proposto ricorso per Cassazione nei confronti dell'ex marito il quale ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha lamentato:
- La erronea ed omessa valutazione della disparità patrimoniale delle parti. Infatti, secondo la ricorrente, la Corte d'Appello ha rimodulato la valutazione del tribunale dell'ex marito (che aveva lavorato durante la convivenza prematrimoniale per Lucio Dalla, e dopo la sua morte aveva continuato a gestire i beni ereditari pervenuti alla madre, cugina del cantautore, percependo remunerazioni non dichiarate) senza considerare, ai fini del contributo al menage familiare dato dalla moglie sia con le ricchezze della famiglia di origine che con il ruolo di madre e casalinga, il periodo di convivenza prematrimoniale (dal 1996 al 2003) durante il quale nel 1998 era nato il figlio;
- La completa pretermissione del criterio assistenziale e la non corretta interpretazione del criterio compensativo atteso che, a proprio dire, non è necessario che il coniuge economicamente più debole abbia sacrificato le aspettative professionali ma occorre maggiormente che questi abbia dato un fattivo contributo al menage domestico e alla formazione del patrimonio comune;
- Il non corretto apprezzamento patrimoniale delle sostanze paterne ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento in favore del figlio.
Il controricorrente ha evidenziato che bisogna tenere distinta l'ipotesi in cui vi sia una convivenza prematrimoniale tra persone libere da vincoli coniugali da quella in cui la convivenza prematrimoniale avviene in costanza di altro matrimonio di almeno uno dei soggetti conviventi con un terzo, come nel caso di specie, e che anche la legge sulle unioni civili n. 76/2016, in caso di cessazione del legame affettivo, ha previsto solo il diritto all'ex convivente di un assegno alimentare qualora versi in stato di bisogno, e non anche un assegno di natura perequativa-compensativa.
Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso e infondatezza del primo motivo, relativo alla rilevanza della convivenza prematrimoniale per analoghe motivazioni.
Poiché la questione relativa al rilievo della durata della convivenza prematrimoniale ai fini della determinazione dell'assegno divorzile è stata ritenuta di massima di particolare importanza, con ordinanza interlocutoria n. 30671/2022 la Prima Sezione Civile della Corte, ha rimesso la causa alla Prima Presidenza per valutare la possibile assegnazione della controversia alle Sezioni Unite.
Per comprendere il rinvio alle SS.UU. è bene rammentare l'art. 374, comma 2, cpc a mente del quale: "inoltre, il Primo Presidente può disporre che la Corte pronunci a Sezioni Unite sui ricorsi che presentano una questione di diritto già decisa dalle sezioni semplici e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza".
Nell'ordinanza interlocutoria si è osservato che "la convivenza prematrimoniale è un fenomeno di costume che è sempre più radicato nei comportamenti della nostra società cui si affianca un accresciuto riconoscimento - nei dati statistici e nella percezione delle persone - dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali", il che rende meno coerente il mantenimento di una distinzione fra la durata «legale» del matrimonio e quella della convivenza e non del tutto infondata la prospettata possibilità di tener conto anche del periodo di convivenza prematrimoniale, cui sia seguito il vero e proprio matrimonio, successivamente naufragato, ai fini della determinazione dell'assegno.
Per comprendere le ragioni che hanno condotto la Suprema Corte alla enunciazione del principio di diritto sopra riportato, la medesima ha ritenuto doveroso ripercorrere tutta l'evoluzione normativa relativa al riconoscimento del diritto all'assegno divorzile e alla sua quantificazione, partendo dall'art. 5, comma 6, L. 898/1970, secondo cui il giudice debba tenere sempre conto: delle condizioni dei coniugi, del reddito di entrambi (criterio assistenziale), delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune (criterio compensativo) valutando tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del rapporto. Effettuata questa valutazione, il giudice disporrà l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
E i successivi articoli della legge sul divorzio in cui l'assegno di divorzio viene riconosciuto (art. 9, comma 3, L. 898/1970 in tema di reversibilità, art. 12 bis, L. 898/1970 in tema di TFR), oppure cessa di essere corrisposto (art.5, comma 10, L. 898/1970 nel caso in cui il coniuge al quale deve essere corrisposto l'assegno passi a nuove nozze).
Evoluzione della giurisprudenza di legittimità
Dal 1990 al 2017 l'orientamento della giurisprudenza di legittimità è stato conforme al dettato delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che con la sentenza n. 11490 del 29/11/1990 hanno precisato che l'assegno di divorzio deve avere carattere esclusivamente assistenziale e la sua concessione trova il presupposto nell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui potesse disporre, che non gli consentono di godere di un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che sia necessario uno stato di bisogno, e rilevando invece l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio.
In presenza di tali presupposti, la liquidazione dell'assegno deve essere effettuata valutando gli ulteriori criteri di legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della pronuncia di divorzio.
La successiva pronuncia di legittimità n. 11504 del 10/05/2017 cambia l'orientamento fino a quel momento predominante, quindi, si prescinde dal tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e si precisa che i "mezzi" sono adeguati quando consentono l'indipendenza o autosufficienza economica, in ossequio al principio di autoresponsabilità.
L'intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 18287 del 11/07/2018 chiarisce maggiormente quanto sopra esposto e si stabilisce che il giudice deve accertare l'adeguatezza dei mezzi, tanto della valutazione relativa all'an debeatur quanto di quella relativa al quantum debeatur, mediante una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti che tenga conto anche del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto, tutto ciò in conformità della funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa dell'assegno divorzile, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà.
Quanto al principio di autoresponsabilità si è stabilito che deve ripercorrere tutta la storia della vita matrimoniale e non rilevare solo al momento della sua fine: dall'inizio del matrimonio (o dell'unione civile), quando la coppia concorda le scelte fondamentali alle varie fasi successive, restando l'autoresponsabilità pur sempre di coppia. Quando poi la relazione di coppia giunge alla fine, l'autoresponsabilità diventa individuale, di ciascuna delle due parti. Entrambe sono tenute a procurarsi i mezzi che permettano a ciascuno di vivere in autonomia e con dignità, anche quella più debole economicamente, senza prescindere da quanto avvenuto prima.
La sentenza prende posizione anche sulla durata del matrimonio riconoscendo a questo criterio una fondamentale importanza atteso che la durata del vincolo coniugale non assume più rilievo solo ai fini della quantificazione dell'assegno ma viene preso in considerazione anche ai fini dell'accertamento del diritto unitamente agli altri criteri, come verrà meglio esposto nel prosieguo del commento.
Inoltre, per quel che interessa anche al caso che ci occupa, le Sezioni Unite del 2018 hanno evidenziato come «alla pluralità di modelli familiari consegue una molteplicità di situazioni personali conseguenti allo scioglimento del vincolo» (pluralità di modelli familiari tra i quali rientra, pacificamente, anche quello delle unioni civili).
La giurisprudenza di legittimità e la convivenza di fatto
Individuati i presupposti per il riconoscimento e quantificazione dell'assegno divorzile, vediamo cosa statuisce la giurisprudenza di legittimità nel caso in cui l'ex coniuge instauri una convivenza di fatto.
Sappiamo che l'art. 5, comma 10, della legge sul divorzio prevede l'estinzione automatica dell'assegno di divorzio quando il soggetto richiedente passi a "nuove nozze".
La sentenza delle Sezioni Unite del 5.11.2021 n. 32198, ha chiarito l'impossibilità di applicare, in caso di convivenza, analogicamente l'art. 5, comma 10, della legge sul divorzio e, nello stesso tempo, ha affermato un importante principio, ovvero che l'instaurazione da parte dell'ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina necessariamente la perdita "automatica" ed integrale del diritto all'assegno in relazione alla sua componente compensativa.
Questo perché il contributo dato da ciascun coniuge durante la comunione familiare deve essere tutelato e deve essere sempre riconosciuto l'apporto fornito durante l'unione coniugale.
Le Sezioni Unite hanno, poi, sottolineato che in caso di nuova convivenza si può giustificare il venir meno della componente assistenziale dell'assegno ma per quanto riguarda la componente compensativa, in presenza del presupposto indefettibile della mancanza di mezzi adeguati ed a fronte della prova del "comprovato emergere di un contributo, dato dal coniuge debole con le sue scelte personali e condivise in favore della famiglia, alle fortune familiari e al patrimonio dell'altro coniuge", il coniuge beneficiario non perde automaticamente il diritto all'assegno che potrà essere rimodulato o quantificato, in sede di giudizio per il suo riconoscimento, in funzione della sola componente compensativa.
Ovviamente, le Sezioni Unite hanno sottolineato che la situazione di convivenza non è "pienamente assimilabile al matrimonio" e che le situazioni «eterogenee sul piano del diritto positivo» e le diverse regolamentazioni dei due istituti (che non consentono il ricorso all'analogia) giustificano la diversa disciplina e, in particolare, il venir meno del diritto all'assegno di divorzio solo in caso di successivo matrimonio dell'avente diritto, ma non in presenza di una sua stabile convivenza.
Motivazioni della Corte di Cassazione e requisiti per il riconoscimento dell'assegno di divorzio
Ritornando al caso di specie, la Corte ritiene che deve essere accolto il primo motivo di ricorso sul presupposto che: - la Corte d'Appello ha rimodulato la valutazione del tribunale dell'ex marito senza considerare, ai fini del contributo al menage familiare dato dalla moglie, sia con le ricchezze della famiglia di origine che con il ruolo di madre e casalinga, il periodo di convivenza prematrimoniale (dal 1996 al 2003) durante il quale nel 1998 era nato il figlio; - non vi sono differenze tra il comportamento dei coniugi nella fase prematrimoniale e in quella coniugale, soprattutto con riguardo alle scelte comuni di organizzazione della vita familiare e riparto dei rispettivi ruoli.
A parere della Suprema Corte, ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, il criterio individuato dalle Sezioni Unite del 2018, risulta decisivo per affrontare anche il tema relativo ai rapporti tra convivenza e matrimonio, atteso che, come chiarito proprio nella citata sentenza n. 18287/2018, «alla pluralità di modelli familiari consegue una molteplicità di situazioni personali conseguenti allo scioglimento del vincolo» (cfr. in argomento anche Cass. 32198/2021).
Pertanto, il parametro di riferimento ai fini del riconoscimento e quantificazione dell'assegno risulta essere quello dell'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente mediante complessiva ponderazione dell'intera storia familiare, in relazione al contesto specifico, e una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, che tenga conto anche del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dello avente diritto.
Tutto ciò in conformità della funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa dell'assegno divorzile, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà.
Ciò al fine anche di accertare se l'eventuale rilevante disparità della situazione economico patrimoniale sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, in funzione dell'assunzione di un ruolo trainante della famiglia.
Il criterio della durata del matrimonio e la rilevanza della convivenza prematrimoniale
Il criterio della durata del matrimonio, preso in considerazione anche dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2018, è stato considerato importante per: a) la valutazione del contributo che ciascun coniuge, per tutto il periodo in cui l'unione matrimoniale era ancora esistente, ha dato alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell'altro coniuge; b) in relazione all'età del coniuge richiedente e alla conformazione del mercato del lavoro, per considerare le effettive potenzialità professionali e reddituali alla fine della relazione matrimoniale.
Ne consegue che la durata del matrimonio non assume più rilievo esclusivamente ai fini della quantificazione dell'assegno, come ritenuto in passato, ma viene in considerazione, unitamente agli altri criteri, anche ai fini dell'accertamento dell'an del diritto all'assegno divorzile.
La legge sul divorzio, n. 898/1970 non si occupa delle ipotesi in cui la coppia passi da una condizione di convivenza al matrimonio, tuttavia, la convivenza prematrimoniale è ormai un fenomeno di costume sempre più radicato nei comportamenti della nostra società cui si affianca "un accresciuto riconoscimento dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali" (così come specificato nell'ordinanza interlocutoria n. 30671 sopra riportata).
Sorge, soprattutto nella materia del diritto di famiglia, l'esigenza che la giurisprudenza si faccia carico dell'evoluzione del costume sociale nella interpretazione della nozione di "famiglia", concetto caratterizzato da una commistione intrinseca di "fatto e diritto", e nell'interpretazione dei vari modelli familiari.
Non è escluso, quindi, che una convivenza prematrimoniale, protrattasi nel tempo (nella specie, sette anni), abbia "consolidato" una divisione dei ruoli domestici destinati a proiettarsi sul futuro matrimonio e sul divorzio che dovesse seguire.
La scelta della coppia di dare stabilità ulteriore all'unione di fatto attraverso il matrimonio rappresenta il fatto generatore della disciplina dell'assegno divorzile, che rende giuridicamente rilevante quel modello di vita che è la convivenza di fatto o more uxorio, adottata nel periodo precedente al matrimonio.
Pertanto, il giudice, nella verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell'assegno al coniuge economicamente più debole, nell'ambito della solidarietà post coniugale, deve tenere conto anche delle scelte compiute dalla stessa coppia durante la convivenza prematrimoniale, quando emerga una relazione di continuità tra la fase "di fatto" di quella medesima unione, nella quale proprio quelle scelte siano state fatte, e la fase "giuridica" del vincolo matrimoniale.
A conferma della rilevanza della convivenza prematrimoniale possiamo anche dare valore: - al principio affermato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 9801 del 2005, relativo all'intensità dei doveri derivanti dal matrimonio che si riflette sui rapporti tra le parti anche nella fase, di convivenza, precedente il matrimonio, - al rilievo dato alla convivenza come fonte di diritto ed obblighi nella sentenza n. 32198/2021, - e all'orientamento della giurisprudenza di legittimità che tiene conto della convivenza prematrimoniale nel giudizio sulla ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge divorziato e il coniuge superstite, al fine di non penalizzare quest'ultimo nei casi nei quali la più lunga durata del primo matrimonio rispetto a quello del secondo sia stata in concreto compensata dal lungo periodo di convivenza precedente al secondo matrimonio.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, puntualmente chiariscono che il riconoscimento della convivenza prematrimoniale ai fini assegno divorzile (per la componente perequativa-compensativa) riguarda, in particolar modo, le convivenze prematrimoniali consolidatesi in un successivo matrimonio tra soggetti che non potevano, come nel caso, sposarsi prima per l'esistenza di impedimento legale (divieto di contrarre nuove nozze per uno almeno dei due).
La scelta della coppia di contrarre matrimonio deve essere intesa come volontà specifica di consolidare il progetto di vita familiare già attuato, anch'esso caratterizzato da una stabilità affettiva e dall'assunzione di reciproci obblighi di assistenza, con conseguente assunzione piena dei doveri di solidarietà post coniugale anche per la fase di convivenza prematrimoniale.
I sacrifici compiuti nella predetta fase assumono un significato preciso e rilevante proprio in quanto ad essa è seguito il matrimonio.
Ovviamente, la difficoltà sarà quella di dare prova dell'effettivo contributo endofamiliare dato alla formazione del patrimonio comune o individuale, durante l'unitaria storia familiare, da parte del coniuge risultato poi economicamente più debole, per inadeguatezza dei mezzi e impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, al momento dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Quindi, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi, in ragione di un progetto di vita comune, a una convivenza prematrimoniale della coppia, vertendosi, al più, in «fasi di un'unica storia dello stesso nucleo familiare» va computato, ai fini dell'assegno divorzile, il periodo della convivenza prematrimoniale solo ai fini della verifica dell'esistenza di scelte condivise dalla coppia durante la convivenza prematrimoniale, che abbiano conformato la vita all'interno del matrimonio e cui si possano ricollegare sacrifici o rinunce alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio.
Riassumendo: a) la convivenza prematrimoniale rileverà, ai fini patrimoniali che interessano, ove poi consolidatasi nel matrimonio, se assuma "i connotati di stabilità e continuità", essendo necessario che i conviventi abbiano elaborato "un progetto ed un modello di vita in comune (analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio)", dal quale inevitabilmente discendono anche reciproche contribuzioni economiche; b) l'assegno divorzile, nella sua componente compensativa, presuppone un rigoroso accertamento del nesso causale tra l'accertata sperequazione fra i mezzi economici dei coniugi e il "contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali", mentre in assenza della prova di questo nesso causale, l'assegno può essere solo eventualmente giustificato da una esigenza assistenziale, la quale tuttavia consente il riconoscimento dell'assegno solo se il coniuge più debole non ha i mezzi sufficienti per un'esistenza dignitosa e versi in situazione di oggettiva impossibilità di procurarseli; c) sarà necessario verificare poi l'effettivo nesso tra le scelte compiute nella fase di convivenza prematrimoniale e quelle compiute nel matrimonio.
Nella fattispecie in esame, la Corte d'appello, ai fini della determinazione dell'assegno divorzile dovuto dall'ex marito alla ricorrente, non ha effettivamente considerato, nella valutazione del contributo al ménage familiare dato dalla , anche con il ruolo svolto di casalinga e di madre, per come allegato, il periodo (dal 1996 al 2003), continuativo e stabile, di convivenza prematrimoniale (nell'ambito del quale era nato anche un figlio della coppia), avendo incentrato il giudizio, oltre che sulle disponibilità economiche del soggetto onerato, solo sulla "durata legale del matrimonio".
La Corte, quindi, accoglie il primo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte di Appello di Bologna.
Assorbito il secondo motivo di ricorso mentre il terzo è stato dichiarato inammissibile per difetto di specificità.
Paola, 12/02/2024
Avv. Marianna Famà
Responsabile Territoriale AMI Paola
Data: 13/02/2024 14:00:00Autore: Law In Action - di P. Storani