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Le foto dell'investigatore privato sono prova dell'infedeltà coniugale

L'ultimissima sentenza della Cassazione in materia di addebito, emessa proprio il giorno di San Valentino


Tradimento e addebito separazione: i fatti

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Un uomo si è rivolto al Tribunale di Trani proponendo domanda di separazione con addebito nei confronti della moglie che lo aveva tradito, come documentato dalla relazione e dalle fotografie allegate al ricorso, acquisite a seguito di un incarico conferito ad un investigatore privato. Il Tribunale ha accolto le richieste dell'uomo, ovviamente pronunciandosi anche in relazione alle frequentazioni tra padre e figli e quantificando il mantenimento. La donna è ricorsa in appello. I giudici di secondo grado hanno confermato l'addebito e rivisto la misura del mantenimento, circostanza che in questa sede non è argomento di interesse. La signora è quindi ricorsa per Cassazione.

La tesi difensiva

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I legali della donna si sono pertanto rivolti alla Suprema Corte contestando l'utilizzabilità delle prove dell'addebito, vale a dire la relazione dell'investigatore privato in quanto, a loro dire, la Corte di Appello avrebbe errato nell'attribuire valenza probatoria al suddetto documento. Ciò perché, secondo i legali della ricorrente, le relazioni investigative costituirebbero prova solo a condizione che l'investigatore venga escusso nel contradditorio tra le parti. Ed invece, nel caso di specie, l'investigatore non era mai stato assunto quale teste nel corso del giudizio, sicché alcuna valenza probatoria poteva ascriversi alle relazioni investigative.

I legali hanno anche aggiunto che ove "le relazioni investigative prodotte dall'uomo non assurgessero al ruolo di prova, stanti contrapposti orientamenti giurisprudenziali per cui talora sono reputate prove atipiche, talaltra presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. ovvero meri argomenti di prova, e nelle più recenti sentenze della Cassazione, prove a tutti gli effetti (purché l'investigatore venga escusso nel contraddittorio fra le parti e dettagli gli episodi riportati in perizia), il Tribunale di Trani ha adottato una parabola motivazionale logica e ricettiva della circolarità di tutti gli elementi emersi nel corso della corposa istruttoria espletata in quel grado di giudizio", senza soffermarsi su detti elementi, con una ipotesi di motivazione per relationem e, quindi, inammissibile.

La decisione della Cassazione

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La Suprema Corte, con la sentenza numero 4038 del 14 febbraio 2024, ha dichiarato inammissibile tale parte del ricorso. Secondo i giudici, la censura in esame investe non un fatto inteso in senso storico e avente valenza decisiva, ma elementi probatori suscettibili di valutazione, come appunto la relazione investigativa, rientrante tra le prove atipiche liberamente valutabili nel giudizio civile ai sensi dell'articolo 116 c.p.c., di cui il giudice è legittimato ad avvalersi, atteso che nell'ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova.

Nella specie, la relazione scritta e redatta da un investigatore privato è stata utilizzata correttamente dai giudici di merito come prova atipica, avente valore indiziario, ossia è stata valutata unitamente ad altri elementi di prova ritualmente acquisiti.

Inoltre, la relazione investigativa era formata anche da materiale fotografico, la cui utilizzabilità ai fini decisori è espressamente riconosciuta dall'articolo 2712 c.c., anche in presenza di disconoscimento della parte contro la quale il materiale fotografico viene prodotto. Vale a dire che neppure il disconoscimento esclude l'autonoma valutazione della veridicità di detto materiale fotografico da parte del giudice, mediante ricorso ad altri mezzi probatori. Il disconoscimento delle fotografie, scrivono i giudici, "non produce gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall'articolo 215, secondo comma, c.p.c., perché mentre questo preclude l'utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni". Pertanto, proseguono i giudici "le doglianze relative alla relazione investigativa, oltre ad essere impropriamente formulate perché non concernenti un fatto storico, neppure sono pertinenti nel senso che si è precisato".

Andrea Pedicone

Consulente investigativo ed in materia di protezione dei dati personali

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Data: 16/02/2024 09:00:00
Autore: Andrea Pedicone