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Revoca assegnazione casa familiare: risarcimento e indennità

Il risarcimento e l'indennità in caso di uso del bene a seguito di revoca dell'assegnazione della casa familiare


Risarcimento danni

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Se a seguito del provvedimento di revoca dell'assegnazione della casa coniugale, in caso di immobile in comproprietà tra i coniugi (o partner), l'ex assegnatario non la restituisce perseverando ad usarla in modo esclusivo, la Suprema Corte a Sezioni Unite con sentenza del 15 novembre 2022 n. 33645 ha tracciato un chiaro principio di diritto: in caso di occupazione di un immobile senza titolo, il proprietario subisce una perdita e ha diritto al risarcimento del danno pari alla indennità di occupazione che è determinata equamente dal giudice, nel caso in cui l'importo preciso del danno non possa essere dimostrato. Questa valutazione si fonda sul canone di locazione al prezzo di mercato.

Ove il proprietario riesca a dimostrare uno specifico danno subito (ad esempio che in mancanza dell'occupazione avrebbe concesso il bene in godimento ad altri dietro un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato oppure che lo avrebbe venduto ad un prezzo più conveniente di quello di mercato) il danno può essere appunto quello concreto.

Indennità di occupazione

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La sentenza Cass. 18 aprile 2023, n. 10264, riferita alla indennità di occupazione per la casa coniugale in comproprietà tra i coniugi per la quale vi sia stata la revoca del provvedimento di assegnazione, affrontava un caso in cui un coniuge chiedeva all'altro la condanna al pagamento di un importo non inferiore ad Euro 250,00 mensili a titolo di indennità di occupazione dell'immobile acquistato, in costanza di matrimonio, in regime di comunione, nel quale il convenuto era rimasto ad abitare nonostante il rigetto della sua domanda di assegnazione della casa coniugale.

La Corte osserva che "nel sistema della comunione del diritto di proprietà per quote ideali ciascun partecipante gode del bene comune in maniera diretta e promiscua, cioè come può purché non ne alteri la destinazione e non impedisca l'esercizio delle pari facoltà di godimento che spettano agli altri comproprietari (art. 1102 c.c.). Allorché per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non sia possibile un godimento diretto tale da consentire a ciascun partecipante alla comunione di fare parimenti uso della cosa comune, i comproprietari possono deliberarne l'uso indiretto (a maggioranza o all'unanimità, secondo il tipo di uso deliberato: cfr. artt. 1105 e 1108 c.c.)".

L'uso comune del bene può realizzarsi anche in modo indiretto, ad esempio con una turnazione: ha, quindi, indicato che se "la natura del bene di proprietà comune non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari (come accertato in fatto per l'abitazione coniugale in questione), l'uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure, appunto, mediante avvicendamento con un uso turnario da parte dei comproprietari, utilizzo che costituisce corretto esercizio del potere di regolamentazione dell'uso della cosa comune da parte della maggioranza, in quanto non ne impedisce il godimento individuale, ed evita, piuttosto, che, attraverso un uso più intenso da parte di singoli comunisti, venga meno, per i restanti, la possibilità di godere pienamente e liberamente della cosa durante i rispettivi turni, senza subire alcuna interferenza esterna (cfr. Cass. n. 7881 del 2011; Cass. n. 20394 del 2013; Cass. n. 29747 del 2019; Cass. n. 35210 del 2021)".

Richiesta formale del comproprietario

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Ove non sia possibile l'uso contemporaneo neppure con una turnazione, se un solo coniuge utilizzi in via esclusiva il bene l'altro ha diritto al risarcimento e dovrà formulare una richiesta formale di utilizzo del bene.

E' pacifico in giurisprudenza il principio secondo cui il condividente che non tragga diretto godimento dal bene in comunione, possa chiedere la propria quota parte dei frutti del bene al condividente che invece ne abbia il concreto godimento ma, tale diritto all'indennità sorge a far tempo dalla sentenza di separazione dei coniugi solo in presenza di richiesta di rilascio del bene in favore della controricorrente ovvero di istanza di uso turnario del bene medesimo o di richiesta da parte della stessa di ricevere la quota parte dei frutti non goduti.

Non sussiste un immediato né' automatico diritto a chieder il risarcimento del danno per il semplice fatto che vi sia un uso esclusivo del bene comune: è necessario che il comproprietario formuli una richiesta che in qualche modo dimostri la sua volontà di utilizzare quel bene, così cristallizzando l'abuso consistente nell'uso esclusivo che impedisce il pari diritto di godimento dell'altro coniuge.

Pertanto, si può affermare che in materia di comunione del diritto di proprietà, allorché per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non sia possibile un godimento diretto tale da consentire a ciascun partecipante alla comunione di fare parimenti uso della cosa comune, secondo quanto prescrive l'art. 1102 c.c., i comproprietari possono deliberarne l'uso indiretto.

In mancanza di deliberazione, il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l'intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l'esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell'utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili con decorrenza dalla data in cui allo stesso perviene manifestazione di volontà degli altri comproprietari di avere un uso turnario o comunque di godere per la loro parte del bene.

Data: 11/03/2024 07:00:00
Autore: Matteo Santini