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No all'assoluzione per chi "mente" sul gratuito patrocinio

La Cassazione conferma la condanna nei confronti dell'imputato che pur sapendo di non avere diritto al beneficio in funzione del reddito familiare ha presentato comunque istanza al Gip



Niente assoluzione per il soggetto che chiede di beneficiare del gratuito patrocinio pur sapendo che non gli spetta in funzione del reddito familiare. Così ha stabilito la Cassazione con l'ordinanza n. 12175/2024 (sotto allegata) rigettando il ricorso di un uomo condannato in appello alla pena di 1 anno di reclusione e 600 euro di multa per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 95 d.P.R. n. 15 del 2002, perché con istanza volta ad ottenere l'ammissione al gratuito patrocinio al Gip, dichiarava falsamente di trovarsi nelle condizioni per l'ammissione al beneficio in relazione ai redditi familiari accertati per l'anno 2012.

L'imputato insiste innanzi al Palazzaccio per l'assoluzione poiché il fatto non sussiste e per il mancato raggiungimento della prova in ordine alla propria colpevolezza. In particolare, sostiene che avrebbe omesso di dichiarare i propri redditi familiari in modo assolutamente incolpevole e comunque in assenza di dolo poiché la madre nascondeva i redditi al proprio figlio tossicodipendente; pertanto, ritiene il ricorrente che la falsa indicazione del reddito rilevante per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato avrebbe dovuto essere valutata come falso innocuo trattandosi di una dichiarazione irrilevante ai fini del significato dell'atto e del suo valore probatorio.


In ordine al primo motivo di ricorso, la Cassazione ritiene che "gli argomenti della difesa circa la sussistenza del dolo della falsa dichiarazione, in assenza di qualsiasi elemento che effettivamente infici la logica deduzione operata conformemente dai giudici di primo e secondo grado, siano manifestamente infondati in quanto, sotto il profilo della qualificazione dolosa della dichiarazione non veritiera, si chiede sostanzialmente al rivalutazione di elementi probatori anche meramente documentali acquisiti e valutati dai giudici di merito, in quanto tali non oggetto di scrutinio da parte del giudice di legittimità".

Inoltre, la motivazione della corte di merito, sostengono gli Ermellini, "dà conto con un'esposizione convincente, completa e lineare sia dell'elemento materiale sia del dolo, in particolare della consapevolezza del reddito familiare comprensivo del proprio e di quello della madre" soffermandosi ampiamente e in modo particolareggiato "sul comportamento assunto dall'imputato odierno e dall'allora coimputato circa le circostanze di fatto inerenti la convivenza familiare e quindi la conoscenza effettiva delle condizioni essenziali di tipo economico caratterizzanti la vita quotidiana di entrambi i soggetti, i quali non disponendo di un reddito autonomo erano sicuramente a conoscenza, per la loro concreta situazione di vita, delle condizioni economiche in particolare del reddito di tutti i componenti li nucleo familiare".
Si noti, aggiungono inoltre dalla S.C., "che le considerazioni relative ai plurimi e gravi precedenti e al comportamento e alla personalità dell'imputato, ivi compresa la constatazione di essere stato destinatario di plurimi benefici di legge, senza però essere uscito da una scelta di vita votata agli illeciti, sono state già oggetto di valutazione del merito in relazione al disvalore complessivo del fatto da parte del giudice di appello".

Da qui il rigetto del ricorso su tutta la linea e la condanna del ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.
Data: 12/04/2024 08:00:00
Autore: Redazione