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Compenso avvocati: spetta al professionista provare l'attività svolta

Per la Cassazione, gli avvocati che agiscono per ottenere il pagamento delle proprie spettanze devono produrre i documenti che dimostrano l'attività svolta


Compenso avvocati

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Quando un avvocato agisce in giudizio per sentire condannare il cliente al pagamento dei suoi compensi professionali, deve produrre i documenti necessari a dimostrare l'attività svolta e quindi il credito vantato. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 9314/2024 (sotto allegata).

Azione di condanna al pagamento prestazioni professionali

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Due avvocati agiscono in giudizio per ottenere il pagamento delle prestazioni professionali che gli stessi hanno reso nell'ambito di due giudizi civili definiti con due sentenze di appello.

Il convenuto si costituisce in giudizio e resiste alle richieste avanzate dai due professionisti.

Il tribunale rigetta la domanda e la Corte di Appello conferma la decisione, considerando sproporzionati gli importi richiesti dai due legali rispetto al valore delle controversie e all'importo liquidato dal giudice alla parte vittoriosa in giudizio. La Corte rileva inoltre che gli avvocati non hanno redatto una notula in cui specificare le attività svolte, violando in questo modo l'onere probatorio a loro carico.

Gli avvocati ricorrono in Cassazione per opporsi alla decisione e sollevando, nel merito, la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. La Corte di Appello avrebbe infatti rigettato la liquidazione del compenso sulla base di ragioni del tutto errate.

Per quanto riguarda la mancata produzione della notula i professionisti fanno presente di aver avuto difficoltà nel dettagliare le attività svolte per il cliente a causa della mancata disponibilità dei fascicoli, tanto che ne è stata disposta l'acquisizione ai sensi dell'art. 210 c.p.c. In ogni caso la nota spese ha valore presuntivo ed è errato ritenere che la sua produzione rientri nell'onere di allegazione a carico del professionista creditore. La Corte di Appello avrebbe dovuto determinare diritti e onorari, accertando d'ufficio l'attività svolta concretamente.

Compenso avvocati e onere della prova

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Per la Cassazione il ricorso è fondato e merita accoglimento. Per giurisprudenza ormai consolidata quando viene incardinato un giudizio per accertare il credito vantato dal libero professionista, questo soggetto ha l'onere di dimostrare il conferimento dell'incarico, il suo concreto svolgimento e la misura delle prestazioni svolte per il cliente.

È quindi onere del professionista produrre i documenti necessari per dimostrare lo svolgimento dell'incarico.

Nel caso di specie questo onere è stato assolto grazie alla produzione dei fascicoli acquisiti per ordine del giudice. Dall'esame dei documenti in essi contenuti, era possibile accertare l'attività svolta nei due gradi di giudizio.

Errata quindi l'affermazione delle Corte di Appello sull'onere di allegazione, perché contraria alla tesi della Cassazione secondo la quale "la parcella, anche se corredata dal parere del competente Consiglio dell'ordine di appartenenza del professionista costituisce una mera dichiarazione unilaterale del professionista, sufficiente per la concessione del decreto ingiuntivo, mentre per l'accertamento del credito il professionista ha l'onere di provare i fatti posti a fondamento della domanda e, in caso di contestazione, di fornire la prova delle prestazioni eseguite (Cass. n. 15930/2018)."

Errata anche la conclusione sulla sproporzione dei compensi richiesti rispetto al valore delle controversie trattate dai due legali. Il valore della causa è infatti solo uno dei criteri da valutare ai fini del compenso, rilevando altresì la natura della controversia, le questioni trattate e l'attività concretamente svolta.

Data: 17/04/2024 06:00:00
Autore: Annamaria Villafrate