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Principio di non contestazione: una trappola per tutti

Il principio di non contestazione, un istituto significativo del processo civile, si è rivelato sovente nel processo tributario una trappola dai più sottovalutata


Principio di non contestazione, trappola sottovalutata

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Il principio di non contestazione, un istituto significativo del processo civile, si è rivelato sovente nel processo tributario una trappola dai più sottovalutata: l'amministrazione finanziaria da un lato, difendendo diritto indisponibili, ha ritenuto che la mancata contestazione nel primo atto difensivo non pregiudicasse la difesa degli interessi dell'Erario; di converso, i professionisti hanno ritenuto detto istituto irrilevante, muovendo dall'assunto che, l'impugnazione dell'avviso di accertamento, nel quale sono contenute le posizioni dell'Ufficio, equivarrebbe alla contestazione di fatti controversi.

Tuttavia, a fronte dell'applicazione rigorosa da parte degli organi giurisdizionali del principio de quo le parti, sia pubblica che privata, si sono trovate a deglutire amari bocconi.

Principi del processo civile

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Nel tempo, sono state apportate varie modifiche legislative al processo, con l'intento, tra l'altro, di renderlo più rapido.

Le osservazioni che seguono si concentrano sull'analisi dell'articolo 115, comma 1, del Codice di Procedura Civile che impone l'onere di contestare in modo specifico i fatti proposti dalla controparte, se vuole evitare che si considerino provati. Prima della recente riforma normativa, l'art. 115, comma 1, c.p.c. stabiliva: "salvo nei casi previsti dalla legge, il giudice deve basare la sua decisione sulle prove presentate dalle parti o dal pubblico ministero".

Il testo attuale, modificato dalla legge n. 69/2009, afferma: "salvo nei casi previsti dalla legge, il giudice deve basare la sua decisione sulle prove presentate dalle parti o dal pubblico ministero, nonché sui fatti non specificamente contestati dalla parte costituita". La nuova regola del processo civile impone al giudice di fondare il suo giudizio sui fatti che non sono stati esplicitamente contestati dalla parte difensiva, liberando la parte che ha portato alla luce i fatti non contestati dal dovere di fornire ulteriori prove.

La riforma legislativa ha integrato un principio, precedentemente, stabilito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, in particolare, con la sentenza fondamentale n. 761/2002 pronunciata a Sezioni Unite. Il giudice di legittimità, che ha esaminato la questione nel contesto del procedimento speciale del processo del lavoro, che impone al convenuto di adottare una posizione chiara e non limitata a una contestazione generica dei fatti esposti dal ricorrente, ha stabilito l'indiscutibilità finale di tutte le situazioni di fatto su cui non sono state riscontrate divergenze. In sostanza, per la Cassazione gli "artt. 167, primo comma, e 416, terzo comma, imponendo al convenuto l'onere di prendere posizione su tali fatti, fanno della non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente, proprio per la ragione che l'atteggiamento difensivo delle parti, valutato alla stregua dell'esposta regola di condotta processuale, espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti".

Il principio in precedenza richiamato è stato sviluppato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in riferimento al processo del lavoro ed è stato esteso a tutto il processo civile dalla Corte di Cassazione sezione III con la sentenza n. 2299 del 6 febbraio 2004. Questa sentenza ha stabilito esplicitamente il seguente principio: "la mancata contestazione specifica di un fatto che costituisce il diritto affermato da uno dei contendenti lo rende incontroverso e non più bisognoso di prova, poiché l'atteggiamento difensivo delle parti, valutato alla luce della regola di condotta processuale dell'art. 167 comma 1 c.p.c. che impone al convenuto di prendere posizione nella comparsa di risposta sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, elimina il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti". La Corte di Cassazione, di recente, con l'ordinanza n. 31837 del 4 novembre 2021, ha formulato il seguente principio di diritto: "Il convenuto, ai sensi dell'art. 167, primo comma, cod. proc. civ., è tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di non contestazione a seguito della modifica dell'art. 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro e analitico, sui fatti costitutivi del diritto fatto valere specificamente dall'attore a fondamento della propria domanda. La conseguenza è che tali fatti debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di risposta, si sia limitata, con clausola di mero stile, a contestare «espressamente ed in ogni suo punto il contenuto dell'atto di citazione», senza esprimere alcuna chiara e specifica contestazione relativa a tali fatti costitutivi e senza che, allo scopo, rilevi la, diversa, contestazione relativa al valore probatorio dei documenti dall'attore allegati alla citazione".

Il principio di non contestazione nel processo tributario

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Il principio di non contestazione è stato esteso al processo tributario dal giudice di legittimità con la sentenza n. 1540/2007. La Corte di Cassazione, ripercorrendo l'evoluzione giurisprudenziale a cui abbiamo accennato nelle righe precedenti, ha affermato che ogni volta che sia posto a carico di una delle parti, sia attore o convenuto, un onere di allegazione, l'altra parte ha l'onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile. In caso contrario, si deve considerare tale fatto come pacifico e la controparte non è più gravata dell'onere probatorio relativo, indipendentemente dalla natura del fatto, che può riguardare sia l'andamento del processo sia la fondatezza della pretesa.

Si può quindi concludere che l'evoluzione della giurisprudenza ha portato alla conclusione che l'obbligo di contestare tempestivamente i fatti presentati dalla controparte è un principio generale che caratterizza l'intero sistema processuale. In sostanza, sin dalle prime fasi del processo, le parti hanno l'obbligo di definire la questione controversa senza comportamenti intenzionalmente o negligentemente dilatori che sono in contrasto con l'art. 111 della Costituzione, che ha introdotto il principio della durata ragionevole del processo. Questo principio non è destinato esclusivamente al giudice, ma anche alle parti del processo. Caratteristica di tale principio e che trova applicazione nei confronti di tutte le parti del giudizio, quindi non è soltanto il convenuto a dover proporre contestazioni specifiche in relazione alle deduzioni attore, ma anche l'attore deve opporre contestazioni specifiche alle affermazioni fattuali della parte convenuta; medesime considerazioni valgono per il ricorso incidentale a parti invertite.

La non contestazione del convenuto costituisce un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente.[1]

Trattasi di un principio generale del processo civile attuativo dei principi della ragionevole durata del processo e di economia processuale che devono informare il processo.

Il principio di non contestazione è stato sviluppato dalla dottrina e dalla giurisprudenza in relazione al procedimento del lavoro e successivamente esteso al procedimento civile riformato. Questo principio, che ha carattere generale, trova applicazione anche nel processo tributario, in virtù dell'articolo uno, comma secondo, del D.lgs. 546/1992, che consente l'applicazione delle norme del codice di rito anche al processo tributario, a meno che ciò sia diversamente previsto e compatibile. La dottrina fino alla riforma dell'art. 115 c.p.c. aveva ritenuto che fosse un ostacolo interpretativo all'applicazione di questo principio nel processo tributario la natura non disponibile degli obblighi tributari, partendo dall'assunto che il principio di non contestazione dovrebbe essere applicato solo ai diritti disponibili, poiché è un effetto tipico legato alla possibilità per le parti di disporre di tali diritti. Al massimo, si sarebbe potuto considerare argomento di prova per i diritti indisponibili. Ciononostante, non è revocabile in dubbio che non esiste alcun supporto normativo per limitare il principio ai soli diritti disponibili dell'art. 115 c.p.c., che non prevede alcuna distinzione e deve essere considerato di portata generale [2]. Inoltre, il principio di indisponibilità della pretesa tributaria non significa indisponibilità dell'onere di contestare uno o più fatti allegati. Del resto, lo stesso principio di indisponibilità della pretesa tributaria non è di per sé escluso dall'istituto dell'accertamento per adesione o della conciliazione, ma è, solo, reso coerente con il principio di imparzialità dell'azione amministrativa. Se si ammettessero deroghe agli oneri probatori a vantaggio dell'Agenzia delle Entrate si metterebbe in crisi il principio della par condicio tra le parti che trova la sua naturale espressione proprio innanzi al giudice terzo. Infine, va sottolineato che la L. 31 agosto 2022, n.130, riformulando l'art.7, comma 4, del D.Lgs.n.546/1992, ha sostituito al divieto di prova testimoniale la prova per testimoni in forma scritta. Questa modifica ha indebolito, ulteriormente, la tesi di coloro che sostenevano che i limiti ai mezzi probatori nel processo tributario, erano una indiretta conferma dell'inapplicabilità del principio di non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c.

Il principio di non contestazione, ufficialmente, si applica ai ricorsi tributari avviati a partire dal 4 luglio 2009. Anche per i processi tributari iniziati prima di tale data, tuttavia, può considerarsi pacifica l'applicazione del principio di non contestazione. Ciò accade quando non esiste una norma (o principio) che richieda una contestazione specifica e la controparte ammette la circostanza o basa la propria difesa su argomentazioni incompatibili con il suo disconoscimento.

La costituzione nel processo tributario

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La condizione per l'applicazione di tale principio riguarda la costituzione delle parti che hanno interesse a contrastare la domanda. In particolare, si verifica quando esiste un fatto addotto a sostegno della pretesa o delle eccezioni formulate dall'istante o dal ricorrente per contrastare le deduzioni avversarie. La norma specifica che i fatti posti a fondamento della decisione sono quelli non specificamente contestati dalla parte costituita. Invero, il significato dell'espressione "parte costituita" che ha indotto la dottrina, in modo quasi unanime, a ritenere la contumacia non equivalente alla mancata contestazione dei fatti allegati, fermo restando l'onere in capo al contumace di contestare i fatti addotti dalla controparte nel momento in cui si costituisce con il primo atto difensivo, può creare, però, qualche problema interpretativo nel processo tributario. Nel menzionato processo non esiste la figura del contumace in senso stretto con la conseguenza che parte della dottrina equipara la non costituzione nel processo tributario, che per definizione non può che riguardare la parte pubblica, a una mera assenza dal processo con il rischio di un'equiparazione dell'assenza al silenzio sui fatti allegati dalla parte attrice. Alla luce di dette considerazioni appare quasi superfluo evidenziare i rischi ai quali si espone l'Amministrazione Finanziaria nelle ipotesi di mancata partecipazione o di partecipazione passiva al processo tributario. Infatti, in dette circostanze potrà verificarsi che i fatti principali e secondari addotti dal ricorrente e non tempestivamente contestati con il primo atto difensivo possano assurgere definitivamente a rango di prove. Pertanto, l'Amministrazione Finanziaria è chiamata dall'art. 115 c.p.c. a contestare specificatamente i fatti allegati dal ricorrente con l'atto di costituzione in giudizio senza poter rinviare dette contestazioni a eventuali successive memorie illustrative.

Il concetto di contestazione

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Riguardo al concetto di contestazione, si può certamente affermare inizialmente che le cosiddette clausole di stile non possono essere considerate come contestazioni specifiche. Clausole di stile debbono considerarsi a titolo meramente esemplificativo le seguenti[3]:

a. Si contestano in fatto e in diritto le argomentazioni della controparte;

b. Si negano i fatti addotti senza ulteriori precisazioni così da equivalere a una generica contestazione;

c. Contestare genericamente che l'altra parte non ha adempiuto il proprio onere probatorio equivale a una non contestazione;

d. La contestazione generica di fatti presentati in modo dettagliato e specifico dalla controparte.

L'elencazione su riportata non è esaustiva, ma meramente esemplificativa. Mette in luce, in sostanza, che solo le contestazioni specifiche sono idonee a evitare che il fatto allegato dalla controparte assurga a rango di prova; pertanto, gli operatori del diritto avranno particolare cura di contestare i fatti allegati dalla controparte puntualmente e in modo circostanziato, per evitare che assurgendo a dignità di prova, possano pregiudicare l'esito finale del processo.

La dottrina si è, anche, posta il problema di stabilire se il termine contestazioni specifiche equivale a contestazione esplicita o se la contestazione pur se specifica possa essere anche implicita.

Si è posto il problema se equivale a contestazione specifica una ricostruzione dei fatti incompatibile con quella sostenuta dalla controparte o se può considerarsi specifica contestazione anche una linea difensiva incompatibile con i fatti allegati dalla controparte. In sostanza si tratta di stabilire se il legislatore con il termine "specifico" abbia sottinteso il richiamo al concetto di espresso o se la "contestazione specifica" può essere effettuata anche in modo implicito. Le opinioni espresse al riguardo dalla dottrina sono controverse, oscillando dalla concezione che fa coincidere la specificità della contestazione con il carattere espresso di questa alla concezione che la contestazione è specifica anche nei casi in cui i fatti allegati sono contraddetti dalla ricostruzione fattuale o di diritto operata dalla controparte. Invero l'art. 115 del c.p.c. così come modificato dalla legge n. 69/99, appare pieno di insidie e fa apparire inopportuna una mera contestazione, meramente implicita, dei fatti allegati dalla controparte, essendo concreto il rischio che una ricostruzione di fatto o di diritto incompatibile con i fatti allegati possa apparire una mera clausola di stile con la quale si negano i fatti addotti dalla controparte. Del resto, se è vero, come sembra desumersi dalla ratio della novella normativa, che lo scopo della modifica dell'art. 115 c.p.c. era quello di determinare immediatamente sin dalla prima fase processuale la materia del contendere, appare chiaro che l'interpretazione più in linea con la norma è quella di considerare la "specifica contestazione" equivalente al concetto di contestazione puntualmente espressa e non certo di contestazione implicitamente deducibile.

A questo punto si pone un altro annoso problema: quello relativo ai fatti che debbano essere contestati. In sostanza si tratta di stabilire se tutti i fatti allegati dalla controparte debbano essere oggetto di specifica contestazione per evitare che essi assurgano a rango di prove. Per chiarire i termini del problema occorrono alcune precisazioni di carattere preliminare. Nel corso del procedimento, una serie di fatti viene introdotta attraverso le affermazioni: ci sono fatti che hanno un'importanza significativa e fatti che non sono rilevanti; ci sono fatti che sono centrali alla questione e fatti che sono di natura secondaria.

È chiaro che l'art. 115 del c.p.c. pur in assenza di specifica menzione non può che fare riferimento ai fatti rilevanti che del resto sono gli unici che possono esser posti a fondamento della decisione del giudice. Ne consegue che non esiste un obbligo di specifica contestazione dei fatti irrilevanti ai fini di una decisione sulla materia del contendere, restando questi fatti per definizione ai margini del processo stesso. I fatti che debbono essere specificatamente contestati sono quindi i fatti rilevanti che si distinguono in fatti principali e fatti secondari. Sono fatti principali i cosiddetti fatti costitutivi indispensabili per l'individuazione del diritto fatto valere in giudizio che equivalgono in sostanza al contenuto dell'azione esercitata nel processo. Sono altresì fatti principali i cosiddetti fatti impeditivi, modificativi ed estintivi che rappresentano di norma le cosiddette eccezioni opposte ai fatti costitutivi. Sono invece fatti secondari quelli che svolgono funzione di intermediazione al fine di fornire la prova del fatto principale.

In altre parole, gli elementi indiziari, ovvero le presunzioni menzionate negli articoli 2727 e 2729 del codice civile, che servono a dimostrare indirettamente i fatti principali che non possono essere provati direttamente, sono considerati fatti secondari. La famosa sentenza n. 761/02 della Corte di Cassazione aveva stabilito l'obbligo di contestazione espressa solo per i fatti principali, escludendo i fatti secondari. Tuttavia, la riforma dell'articolo 115 del codice di procedura civile non fa distinzione tra fatti principali e secondari. Di conseguenza, si può ritenere che la distinzione stabilita dalla sentenza citata sia stata superata normativamente con l'introduzione nel nostro sistema giuridico dell'obbligo di contestare sia i fatti principali che i secondari.

Conclusioni

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L'articolo 115 del Codice di Procedura Civile italiano stabilisce il principio di non contestazione. Secondo questo principio, se una parte non contesta specificamente i fatti presentati dall'altra parte, questi fatti sono considerati come ammessi e non necessitano di ulteriori prove. Questo principio si applica ai fatti che la parte avversaria ha omesso di contestare, sia esplicitamente che implicitamente; In altre parole, se il convenuto rimane in silenzio su certi fatti, questi fatti sono considerati come non contestati e quindi provati.

In sintesi, le conseguenze della mancata contestazione ai sensi dell'art. 115 sono che i fatti non contestati sono considerati come ammessi e non necessitano di ulteriori prove.

Nel contesto dell'appello, l'omissione di contestare una o più dichiarazioni contenute nella sentenza può portare alla formazione di un giudizio interno solo se queste possono essere considerate come parti completamente autonome, risolutive di questioni controverse che, dotate di propria individualità e autonomia, costituiscono una decisione completamente indipendente. Infine, per il ricorso in termini di legittimità sulla violazione del principio di non contestazione, il ricorrente deve indicare in quale atto sia stata presentata la circostanza di fatto e come essa sia stata dimostrata o considerata pacifica.


[1] www.giustizia-tributaria.it di Domenico Chindemi Consigliere della Corte di Cassazione

[2] Cass. civ., sez. III 14 marzo 2006 n. 5488

[3] Corte di Cassazione sez. III 5/3/2009 n. 5356; Cassazione 15/4/2009 n. 8933

Data: 13/06/2024 07:00:00
Autore: Francesco Filippo Tigano