L'alcoltest non prova l'ebbrezza: bastano elementi sintomatici
- Etilometro e guida in stato di ebbrezza: la sentenza della Cassazione
- Alcoltest non costituisce prova legale
- Inammissibilità ricorso: precedente gravissimo
- Contrasto con il principio di legalità
Etilometro e guida in stato di ebbrezza: la sentenza della Cassazione
Un antico aforisma latino recitava: "Tot capita tot sententiae", ovvero: "Quante teste, tanti pareri", per affermare che, tra gli uomini, le opinioni e i gusti sono diversi, ed è difficile che in una comunità tutti la pensino allo stesso modo.
Una sbrigativa e maccheronica traduzione sortisce questo significato: "Tutto capita nelle sentenze"; ovviamente la traduzione è errata, ma è quella che meglio si attaglia alla sentenza n. 20763/2024 della Cassazione penale che ci si accinge a commentare.
Ma veniamo ai fatti.
La presente sentenza è stata emanata dalla Suprema Corte di Cassazione – Sez. IV – a seguito del ricorso proposto da un automobilista per la condanna allo stesso inflitta con sentenza 10.7.2023 della Corte d'Appello di Brescia, "in quanto riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 186, commi 2, lett. c) e 2-bis, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, per avere condotto un'autovettura in stato di ebbrezza in conseguenza dell'assunzione di bevande alcoliche, con tasso alcolemico superiore a 1,50 g/I (e cioè di 3,69 g/I, come da referto degli Spedali Civili di Brescia del 12 settembre 2018), provocando un incidente stradale" (cfr. p.to 1, 8^ alinea della sentenza suindicata).
Tra l'altro, al successivo p.to 2, il ricorrente rileva come la Corte di merito, - Corte d'appello di Brescia (n.d.r.) - pur avendo ritenuto, in accoglimento di una specifica doglianza da lui dedotta, l'inutilizzabilità degli accertamenti effettuati dai sanitari a fini di indagine su richiesta dalla P.G. – non risultando provato che all'indagato fosse stato dato l'avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore di cui all'art. 114 disp. att. cod. proc. pen. - abbia, poi, errato nel ritenere comunque comprovata la sussistenza del suo stato di ebbrezza, desumendo che il suo tasso alcolemico avesse superato la soglia di 1,50 g/I prevista dall'art. 186, comma 2 lett. c), cod. strada in ragione delle sole dichiarazioni rese dagli agenti intervenuti.
È appena il caso di rilevare invece che, per principio generale dedotto dall'ordinamento, "Incombe in capo a chi esercita un'azione l'obbligo di dimostrarne gli elementi posti a fondamento". Nel caso di specie, pertanto, spettava agli agenti intervenuti l'obbligo di dimostrare il "presunto stato di ebrezza dovuta al tasso alcolemico di XXXXXXX YYYYYY al momento dell'incidente". Di conseguenza lo stato di ebbrezza e il tasso alcolemico dovevano essere accertati con le modalità previste dalla legge.
Dagli atti emergono 2 circostanze:
1. il tasso – in ragione di 3,69 g/l - è stato determinato come da referto emesso da Spedali Civili di Brescia del 12 settembre 2018: senza indicazione alcuna circa la legalità del metodo operativo dell'accertamento che ha esitato il dato di cui al referto, e nemmeno se la strumentazione impiegata nell'esecuzione del suddetto, fosse legale o meno. La sussistenza del necessario carattere di legalità si radica in ragione del dettato di cui al D.Lgs. 19.5.2016 n. 84, attuativo della direttiva 2014/32/UE, il quale prevede che per tali accertamenti, ci si deve avvalere di strumenti di misura di tipo legale.
Duole constatare che, sia il Giudice di merito (Corte d'Appello di Brescia), che codesto Giudice di legittimità (Corte Suprema di Cassazione) non abbiano preso in considerazione tali importanti e inderogabili profili normativi, atteso il bene giuridico della libertà personale dell'automobilista così gravemente leso, atteso l'avvenuto rigetto del ricorso.
2. al ricorrente gli agenti operanti omisero di comunicare la "facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia": questione questa sì, che determinò per la Corte d'Appello di Brescia, l'inutilizzabilità degli accertamenti effettuati dai sanitari a fini di indagine su richiesta dalla P.G.
Desta poi sconcerto, ma pure seria preoccupazione, che con tali premesse, la giurisdizione di merito sia pervenuta ad una sentenza di rigetto dell'intervenuto appello, in carenza di prove ai fini dell'affermazione della penale responsabilità dell'imputato, al di là di ogni ragionevole dubbio: anzi le prove, com'era stato dimostrato ed emerso in sede di dibattimento, erano viziate dagli elementi di cui ai sopra, ai dettagliati p.ti 1 e 2.
Pertanto, in via "supplettiva", la Corte d'Appello di Brescia, anch'essa onerata dal rispetto del precetto di cui all'art. 101 della Costituzione, così come motivato nelle affermazioni di cui al 1^ periodo di pag. 5 della sentenza, così si è espressa: "Ne consegue, pertanto, che, in assenza di espletamento di un valido esame alcolimetrico, il giudice di merito può trarre il proprio convincimento in ordine alla sussistenza dello stato di ebbrezza dalla presenza di adeguati elementi obiettivi e sintomatici, che, nel caso in esame, i giudici di merito hanno congruamente individuato in aspetti quali lo stato comatoso e di alterazione manifestato dal XXXXXX YYYYYY alla vista degli operanti, certamente riconducibile ad un uso assai elevato di bevande alcoliche - certamente superiore alla soglia di 1,50 g/I - per come evincibile dalla riscontrata presenza di un forte odore acre di alcol, nonché dalla assoluta sua incapacità di controllare l'autoveicolo in marcia e di rispondere alle domande rivoltegli dagli agenti di P.G."
Pertanto assurgono a rango di piena prova giuridica, le indicazioni derivanti dalla descrizione dei fatti per come riferiti dalla P.G. operante intervenuta per l'esecuzione dei rilievi conseguenti all'incidente, i quali descrivono nel rapporto d'intervento, che il ricorrente:
a) versasse in stato comatoso e di alterazione dedotti da mero esame visivo svolto dalla P.G.;
b) fosse responsabile dell'assunzione di sostanze alcoliche, qualificabili come l'elemento di causazione anche per l'incidente occorso, non disgiunto dall'aver altresì riscontrato – in modo non obiettivo, ma soggettivo – nonché comprovato dalla presenza di un forte odore acre di alcol, nonché dalla assoluta sua incapacità di controllare l'autoveicolo in marcia e di rispondere alle domande rivoltegli dagli agenti di P.G.
c) addirittura si giunge ad affermare, artatamente e senza averne riscontro obiettivo alcuno, che avesse fatto uso assai elevato di bevande alcoliche - certamente superiore alla soglia di 1,50 g/I (superamento del tasso alcolemico dedotto "a vista" e non attraverso esame strumentale).
Con queste affermazioni, basate su elementi privi del doveroso dovuto riscontro oggettivo – l'automobilista viene riconosciuto colpevole dei reati a lui ascritti, cui consegue l'irrogazione delle pene conseguenti.
Alcoltest non costituisce prova legale
Come se ciò non bastasse, la Corte di Cassazione afferma a pag. 4 della sentenza che:
3.1. D'altro canto, con specifico riferimento al reato contestato, deve essere ribadito come questa Suprema Corte abbia avuto modo di precisare che, poiché l'esame strumentale non costituisce una prova legale, l'accertamento della concentrazione alcolica può avvenire in base ad elementi sintomatici per tutte le ipotesi di reato previste dall'art. 186 cod. strada e, qualora vengano oltrepassate le soglie superiori, la decisione deve essere sorretta da congrua motivazioni: sono pertanto sufficienti per l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato, gli assunti presenti nel Verbale di P.G. sopra dettagliati, i quali sono elevati a rango della prova "alligata ed probata".
La Suprema Corte, pertanto, dovendosi pronunciare sulla fondatezza dei motivi appello, ricorre a callide argomentazioni secondo le quali, sono precluse al giudice di legittimità, pertanto, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
Inammissibilità ricorso: precedente gravissimo
La Corte Suprema di Cassazione, in base alle argomentazioni addotte dalla difesa del ricorrente, dichiara che il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Allo stato, pertanto, non si comprende a quali altri nuovi vizi di legittimità commessi dalla Corte d'Appello di Brescia, avrebbe dovuto far riferimento il ricorrente allo scopo di vedersi definitivamente pronunciato, in sede di giurisdizione di ultima istanza, l'annullamento della sentenza di condanna d'appello.
Appare pertanto di tutta evidenza che la dichiarazione di inammissibilità del ricorso costituisce un precedente gravissimo di soccombenza in cui è incorso il ricorrente, avendo esaurito tutti i gradi di giurisdizione previsti dal vigente ordinamento interno, cui residua di adire, ultima res, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo – CEDU - di Strasburgo.
Inspiegabile e non anche condivisibile, altresì, l'affermazione resa dalla Suprema Corte secondo cui "l'esame strumentale non costituisce una prova legale" laddove, proprio per legge, si era graniticamente consolidato principio secondo cui ai fini dell'affermazione della responsabilità dell'imputato, fosse necessario avvalersi dei mezzi di prova indicati dalla legge stessa (etilometri, autovelox, ecc.) e non certo la soggettività delle dichiarazioni della P.G. rese in via meramente deduttiva assurte a rango di prova in mancanza di riscontri oggettivi e/o strumentali.
L'elemento che maggiormente disturba della sentenza in commento è la ravvisata deviazione dalla funzione cui è preposta la Corte di legittimità, ove ha inteso raccordare in forma pressoché dogmatica e razionale la sempre opinabile riferibilità di meri dati sintomatici di rilevamento di uno stato di alterazione psico-fisica - di per sé altamente variabili da soggetto a soggetto - rimessi alla valutazione degli agenti accertatori, ad una gradazione specifica del tasso alcolemico pari ad 1,5 g/l, sostenendone, non bastasse, pure il relativo superamento.
Contrasto con il principio di legalità
Mai, come nel caso in esame assistiamo ad una decisione di legittimità in netto contrasto con il principio di legalità e la funzione propria della Suprema Corte.
Gli Ermellini, dopo aver riaffermato la propria estraneità agli elementi decisionali di merito, in quanto prerogativa esclusiva riservata ai due pregressi gradi di giudizio, vanno a plaudire la correttezza dell'iter logico-deduttivo seguito dal giudice di merito nel fondare il proprio convincimento in ordine alla sussistenza dello stato di ebbrezza dalla presenza di adeguati elementi "obiettivi" e sintomatici idonei a ricondurre - qui si infrange ogni elemento razionale di logica deduttiva del ragionamento sorretto secondo diritto - ad un tasso alcolemico "certamente superiore alla soglia di 1,50 g/I".
Qualcosa dev'essere sfuggito al giudice di legittimità, atteso che le misure del tasso alcolemico e relativa gradazione possono e devono scaturire ed essere qualificate, solo ed esclusivamente, per legge, in base a dati strumentali metrologicamente omologati e predisposti a quella specifica funzione di misura adottata per scopi legali.
Voler ricondurre meri dati sintomatici, altamente variabili e soggettivi, ad una gradazione specifica di tasso alcolemico è una affermazione aberrante e inaccettabile, contraria ai principi di certezza del diritto, ai criteri che informano l'onere probatorio ed elusivo delle specifiche condizioni oggettivanti di imputabilità di un fatto reato in capo ad un determinato soggetto finalizzate alla repressione e alla condanna in base a valutazioni e considerazioni soggettive e non probanti.
Ci si augura che questa improvvida decisione non sia "sintomatica" di una deprecabile escalation decisionale volta a delegittimare e dissolvere, come fumo al vento, i cardini normativi e istituzionali che devono sempre reggere e connotare uno Stato di diritto.
Data: 15/06/2024 06:00:00
Autore: Claudio Capozza