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L'adozione di adulti

Un'evoluzione che approda al riconoscimento dei legami affettivi. Breve disamina dell'istituto e delle principali pronunce dal 1988 al 2024


La normativa di riferimento

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L'adozione di una persona maggiorenne è, di regola, permessa alle persone che non hanno discendenti, che abbiano compiuto trentacinque anni e che superino almeno di diciotto anni l'età di coloro che intendono adottare.

L'istituto, disciplinato dall'art. 291 e ss. consente all'adottato di succedere all'adottante nella stessa posizione dei figli nati dal matrimonio, oltre che di acquisire il diritto agli alimenti.

Per espressa previsione normativa, l'art. 299 c.c., l'adottato assume il cognome dell'adottante e lo antepone al proprio.

Nella prassi, la portata normativa è stata negli anni ampliata e adattata al cambiamento dei tempi e degli obiettivi che si poneva l'istituto, dapprima concepiti come di carattere principalmente patrimoniale.

L'evoluzione dell'istituto attraverso le prime sentenze della Corte Costituzionale

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Nel 1988, la Corte Costituzionale ha dichiarato la parziale incostituzionalità della norma di cui sopra, nella parte in cui non consente l'adozione a chi abbia discendenti maggiorenni (sentenza n. 557/1988). Successivamente ha affermato che, nel caso di incapacità dei figli dell'adottante di esprimere l'assenso perché interdetti, sia applicabile l'art. 297 c.c. che consente al giudice la valutazione comparativa degli interessi emergenti (sentenza n. 346/1992).

Giungendo ai tempi moderni, nel 2024, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 291, primo comma, del codice civile nella parte in cui, per l'adozione del maggiorenne, non consente al giudice di ridurre, nei casi di esigua differenza e sempre che sussistano motivi meritevoli, l'intervallo di età di diciotto anni fra adottante e adottando (sentenza n. 5/2024).

I numerosi correttivi che la Corte ha adottato negli anni hanno trovato fondamento negli artt. 2, 3, 10 c.1 e 20 Costituzione, oltre che in relazione agli artt. 8 CEDU, 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e 16 della Dichiarazione universale dei diritti umani.

Di particolare interesse è la possibilità, o meno, di rinunciare al diritto dell'adottando di acquisire il cognome dell'adottato.

Il diritto al nome e il problema (oppure no) del cognome

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Applicando l'art. 299 c.c. alla lettera si potrebbe desumere che a seguito dell'adozione, l'adottato cambi il proprio cognome per obbligo di legge: il testo non darebbe alternativa.

Tuttavia la sua interpretazione deve, e può essere, sistematica.

Così ragionando, viene in rilievo che il "diritto al nome" trova riconoscimento nell'art. 2 della Costituzione, per il quale la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, tra i quali è pacificamente annoverato il diritto all'identità personale, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità: l'inviolabilità di tale diritto trova conferma anche nel successivo art. 22 secondo cui nessuno può essere privato per motivi politici della capacità giuridica, della cittadinanza e del nome.

In attuazione di tali principi, secondo l'art. 6 c.c. ogni persona ha diritto al «nome», definito, come l'insieme di «prenome e cognome», che le è per legge attribuito e non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche, se non nei casi e con le formalità di legge.

Fermo quanto precede, il comune intento delle parti di mantenere il cognome dell'adottando senza assumere o posporre quello dell'adottato non appare più ostativo all'adozione nei casi concreti: da un lato perché l'art. 312 c.c. consente al giudice di valutare tanto la legittimità dell'adozione quanto la sua effettiva rispondenza all'interesse dell'adottando; dall'altro perché l'art. 299 c.c. è stato oggetto di ulteriori pronunce che hanno ormai da tempo risalente contribuito a un'interpretazione sistematica della norma de quo, in linea con i tempi e con i valori della Costituzione.

Con la sentenza n. 13/1994, di nuovo la Corte Costituzionale, seppur riferendosi all'illegittimità degli artt. 165 e ss. del Regio Decreto n. 1238/1939 di cui all'Ordinamento dello Stato Civile, ha espressamente riconosciuto che il cognome gode di una distinta tutela, non solo quale segno identificativo della discendenza familiare, ma anche per la sua funzione di strumento identificativo della persona.

Con la sentenza n. 120/2001, ha affermato essere «principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello per cui il diritto al nome - inteso come primo e più immediato segno distintivo che caratterizza l'identità personale - costituisce uno dei diritti inviolabili protetti dall'art. 2 Cost. e che l'art. 299 c.c. è ormai del tutto irrazionale anche alla luce della riforma dell'adozione di cui alla legge n. 184 del 1983.

Con la sentenza n. 286/2016, ha realizzato una significativa evoluzione in materia di attribuzione del cognome, dichiarando l'illegittimità costituzionale della norma desumibile dagli art. 237, 262 e 299 c.c.; 72 c. 1 Regio decreto n. 1238/1938 (Ordinamento dello stato civile); e 33 e 34 del DPR n. 396/2000 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'art. 2 c. 12 della L. n. 127/1997dell'art. 2 c. 12 L. 127/1997), nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno», evidenziando «la distonia di tale norma rispetto alla garanzia della piena realizzazione del diritto all'identità personale, avente copertura costituzionale assoluta ai sensi dell'art. 2».

Più recentemente, con la sentenza n. 131/2022, ha stabilito che il cognome del figlio deve comporsi del cognome dei genitori nell'ordine dagli stessi deciso, fatta salva la possibilità che d'accordo attribuiscano unicamente un cognome; non solo espungendo definitivamente dall'ordinamento giuridico l'automatismo del patronimico, ma di fatto anche offrendo la possibilità di scegliere il cognome nell'ambito di quelli familiari.

Relativamente a tale pronuncia non è, inoltre, chi non veda come sarebbe scriminatorio, nonché violativo dell'art. 3 Cost., il consentire solo per alcuni la scelta tra l'uno o l'altro cognome.

Un ulteriore significativo sviluppo

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Con la sentenza n. 135/2023, la Corte Costituzionale ha poi finalmente pienamente statuito l'illegittimità costituzionale dell'art. 299 c. 1 c.c., nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell'adottante a quello dell'adottato maggiore d'età, se entrambi nel manifestare il consenso all'adozione si sono espressi a favore di tale effetto.

Infine, con la sentenza della Corte Costituzionale n. 5/2024 (più sopra citata in relazione alla derogabilità del divario d'età richiesto tra adottante e adottato), le più attuali necessità di tutela e l'ampiezza di latitudine dell'istituto sono state nuovamente confermate, coerentemente con il sistema normativo costituzionale e sovranazionale: «l'istituto dell'adozione delle persone maggiori di età non persegue più e soltanto la funzione di trasmissione del cognome e del patrimonio ma si è trasformato in uno strumento duttile e sensibile alle sollecitazioni della società, in cui assumono crescente rilevanza i profili personalistici accanto a quelli patrimoniali».

A ben guardare

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Ma i valori e i principi così ragionevolmente espressi, vengono in rilievo non solo avuto riguardo alla posposizione del cognome dell'adottando a quello dell'adottante, ma anche avuto riguardo alla possibilità che l'adottando mantenga il proprio cognome senza alcuna modifica o aggiunta.

Inoltre, in casi sempre più numerosi, l'adozione di maggiorenne è invocata per rispondere all'esigenza di stabilire il rapporto di filiazione con il figlio legittimo o naturale del coniuge, che questi ha avuto con altro genitore da cui si è poi separato, e che è deceduto o consenziente.

Le pronunce sempre più favorevoli delle Corti territoriali

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In tale solco si pongono pronunce di merito sempre più numerose e significative, che per il vero hanno da tempo affermato la parziale o integrale derogabilità dell'art. 299, stabilendo che tale deroga sia ragionevole e giustificabile in ragione della rinnovata ratio dell'istituto, volta a riconoscere e tutelare la consolidata comunione di affetti e intenti tra adottante e adottato.

Tra queste appare opportuno richiamare, in uno con la ordinanza del 12 maggio 2022 della Corte di Appello di Salerno che ha sollevato il giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 299 conclusosi con la sentenza n. 135/2023 cit., anche la sentenza n. 145/2018 della Corte di Appello Napoli e la sentenza n. 608/2022 della Corte di Appello di Firenze, di particolare interesse perché nel disciplinare il caso concreto, non dissimile a quello qui disaminato – gli interessati, tutti di età maggiore dei 50 anni, avevano da sempre utilizzato il loro cognome originario nell'ambito dei rapporti sociali e lavorativi, tanto che questo era divenuto autonomo segno di riconoscimento e distintivo della loro identità personale – ha accolto la richiesta di posposizione del cognome dell'adottante a quello degli adottandi, motivando che «nel caso in cui il loro cognome fosse stato preceduto da uno diverso verrebbe leso il loro diritto all'identità personale acquisita negli anni e verrebbero pregiudicati i loro rapporti sociali e soprattutto lavorativi con sicuri effetti negativi».

Le statuizioni più "moderne" di numerosi Tribunali

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Per il vero, il principio di derogabilità dell'art. 299 c.c., anche se per la sola posposizione del cognome dell'adottante, ancor prima che con la sentenza n. 135/2023 della Corte Costituzionale si era affermato in diversi Tribunali Ordinari, a principiare dal Tribunale di Milano con la sentenza n. 51/2017, dal Tribunale di Parma con la sentenza n. 2/2019, dal Tribunale di Torino con la sentenza n. 22/2022, tra le diverse.

Tra i Tribunali che hanno riconosciuto il diritto di mantenere, integralmente, immutato il cognome dell'adottato merita menzione il Tribunale di Verbania, che ha stabilito che: «in forza di una lettura costituzionalmente orientata dell'istituto dell'adozione di maggiorenne, tenendo da un lato conto della nuova ratio dell'istituto che, a differenza dell'epoca di emanazione dell'art. 299 c.c. (…), [l'adozione di maggiorenne] è oggi strumento per dare riconoscimento giuridico a un rapporto affettivo di tipo familiare tutelato dall'art. 31 Cost. e dall'altro dell'esigenza di tutelare il diritto all'identità della persona che passa attraverso il cognome che ha sempre portato e con il quale è conosciuta» (sentenza n. 8/2022).

Merita inoltre menzione il Tribunale di Monza, che ha dichiarato fondata la domanda delle parti di mantenere l'originario cognome dell'adottato (che quindi non dovrà aggiungere o posporre al suo cognome quello dell'adottando) avuto riguardo a fattispecie in cui, sotto un primo profilo sussisteva un'affectio familiaris meritevole di tutela e sotto un profilo non secondario l'adottato era professionista ormai conosciuto con il proprio originario cognome oltre che padre di prole maggiorenne portante l'originario cognome (sentenza n. 431/2024).

Conclusioni

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Una volta per tutte, con un percorso evolutivo sempre più favorevole al riconoscimento delle istanze di carattere affettivo e familiare, finalmente l'adozione di maggiorenne è divenuta - ed è come sopra pienamente tutelata - come un istituto che va molto oltre l'ambito strettamente giuridico ma che è possibile formalizzare attraverso l'ordinamento giuridico.


Avv. Francesca Pietropaolo

legale.pietropaolo@gmail.com

Data: 11/10/2024 06:00:00
Autore: Francesca Pietropaolo