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Malattia e calcolo del comporto: le novità della giurisprudenza

La tematica affrontata dal tribunale di Bologna riprendendo i principi consolidati della Cassazione su una vicenda giuridica in evoluzione



Il tema delle assenze dal lavoro per malattia presenta diversi profili dibattuti e controversi, con particolare riguardo alle situazioni in cui sono presenti brevi e continui periodi di fruizione di malattia da parte del dipendente. In tali casi, infatti, si pongono diverse questioni relative al computo del periodo di comporto e, conseguentemente, al diritto del datore di lavoro di licenziare il dipendente a fronte del superamento di tale periodo.

Di recente, la sezione lavoro del Tribunale di Bologna ha affrontato tale tematica, riprendendo i principi consolidati della Corte di Cassazione; tuttavia, si tratta di una vicenda giuridica in evoluzione, alla luce della giurisprudenza europea che si è soffermata sul particolare caso del computo del periodo di comporto per il lavoratore disabile.

Comporto e malattia

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Da un punto di vista strettamente normativo, è noto che nel caso di dichiarazione certificata di malattia il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro e a percepire una indennità economica per tale periodo, seppur in assenza della prestazione lavorativa. Tale misura di favore per il lavoratore è esercitabile entro alcuni limiti che, a tutela del datore di lavoro e della efficiente continuazione dell'organizzazione aziendale, prevedono un periodo massimo entro il quale esercitare tale diritto, chiamato periodo di comporto.

Infatti, per periodo di comporto, ex art. 2110 c. 2 c.c. si intende quell'arco temporale durante il quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro. Tale previsione è finalizzata al bilanciamento degli interessi delle parti: Da un lato, l'interesse del lavoratore a non perdere il proprio posto di lavoro e parte della retribuzione nel caso in cui sia impossibilitato a prestare la propria attività lavorativa per motivi di salute, dall'altro l'interesse del datore di lavoro alla corretta gestione dell'organizzazione aziendale, che verrebbe vulnerata qualora tale diritto fosse incondizionato e non sottoposto a limiti.

Il calcolo del comporto – nel silenzio della normativa – presenta alcuni profili controversi nel caso in cui ci siano più assenze per malattia ravvicinate, intervallate da giorni festivi: è dibattuto, infatti, se occorre tener conto esclusivamente dei periodi coperti da certificazioni oppure se è possibile computare i giorni festivi presenti fra una certificazione e l'altra.

Assenze "frazionate" per malattia: come calcolare il comporto

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Tali problematiche sono state affrontate dalla sezione lavoro del Tribunale di Bologna con la recente sentenza R.G. n. 976/2024 (sotto allegata), pronunciatasi in merito al controverso superamento da parte di una dipendente del limite costituito dal periodo di comporto.

Due sono le questioni principali che sono emerse da tale sentenza, la prima, come anticipato, riguarda la questione della considerazione o meno, nel conteggio dei giorni di malattia ai fini del calcolo totale del periodo di comporto, dei giorni festivi che intervallavano le diverse ma sostanzialmente collegate richieste di malattia; la seconda – su cui si tornerà infra – attiene alla comunicazione, da parte della lavoratrice, del fatto che determinati giorni di assenza sono dovuti non a malattia ordinaria o infortunio, ma a delle specifiche esigenze dovute alla situazione di handicap della quale quest'ultima è portatrice, con conseguenze di non poco conto sul calcolo del periodo di comporto.

Con riguardo alla prima questione, la ricorrente ha dedotto come il datore di lavoro, nel calcolare il periodo di comporto e, conseguentemente, procedere all'irrogazione del licenziamento, abbia indebitamente conteggiato quattro giorni in più rispetto a quelli calcolati dalla dipendente in ragione dei periodi di malattia effettivamente fruiti.

Tali 4 giorni corrispondono a periodi festivi, non coperti direttamente da certificato ma costituenti "intervallo" fra le malattie fruite nei giorni feriali immediatamente precedenti e successive. Il tribunale, sul punto, dopo aver specificato come si tratti di comporto per sommatoria (che ha riguardo ad assenze per malattia plurime e frammentate) ha richiamato un principio di diritto emanato dalla Corte di Cassazione sez. lav. sent. n. 27980/2023 specificando come "nella determinazione del periodo di comporto – sia esso "secco" o "per sommatoria" e previsto a mesi oppure a giorni – deve tenersi conto anche dei giorni non lavorativi (festivi) o non "lavorati" che cadano nel periodo di assenza per malattia, dovendosi presumere la continuità dell'episodio morboso, a meno che non sia fornita prova contraria da parte del lavoratore"; la Corte ha ancora enunciato come, secondo l'orientamento della Cassazione sez. lav. sent. n. 24027/2016, "Detta presunzione di continuità opera sia per le festività ed i giorni non lavorativi che cadano nel periodo della certificazione, sia nella diversa ipotesi, che qui viene in rilievo, di certificati in sequenza di cui il primo attesti la malattia sino all'ultimo giorno lavorativo che precede il riposo domenicale (ossia fino a venerdì) ed il secondo certifichi a partire dal primo giorno lavorativo successivo alla domenica (ovvero dal lunedì)".

Nel merito della questione sub iudice, tuttavia, il Tribunale ha evidenziato come possa essere sempre data la prova contraria, considerando infatti come fosse dimostrato – attraverso la presentazione di certificati di malattia derivanti da patologie fra loro differenti (rinosinusite, cervicalgia, gastroenterite) – una valida e sufficiente prova atta a non considerare quali giorni di malattia quelli effettivamente non coperti da certificato, così sposando la tesi della ricorrente e dichiarando l'illegittimità del licenziamento irrogato nei confronti della dipendente.

È evidente, dunque, come la situazione appaia essere tutt'ora spinosa, potendosi tuttavia in linea generale inferire che è necessario considerare anche i giorni festivi nel computo del periodo di malattia ai fini del superamento del periodo di comporto, seppure questi non rientrino espressamente nell'arco temporale risultante dal certificato medico presentato, con ogni conseguenza in tema di licenziamento. Rimane, tuttavia, salva la possibilità, a tutela del lavoratore, di dimostrare come tali tipologie di certificazioni non siano da considerarsi elusive rispetto alla disciplina della malattia e del periodo di comporto, attraverso la prova (come nel caso in esame), che nei giorni festivi il dipendente effettivamente non era in condizioni di salute tali da giustificare il prolungamento della malattia.

Calcolo del comporto e lavoratore disabile

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L'ulteriore questione che emerge nel caso di specie afferisce all'invocazione, da parte della lavoratrice, della natura discriminatoria del recesso dal contratto di lavoro intimato dal datore di lavoro, sulla base del principio per cui, rientrando determinate patologie nella nozione di handicap, occorrerebbe escludere le relative assenze dal periodo di comporto applicato alla generalità dei lavoratori.

Sul punto, assume un valore centrale l'intervento della Cassazione, con l'ordinanza n. 30080/2024, nella quale viene rilevato come il sistema giuridico italiano (ma anche europeo) tenda a creare e adeguare le normative già esistenti affinché le persone portatrici di handicap non vengano discriminate dal sistema, prevedendo diversi interventi a sostegno e in favore di tali categorie di soggetti. Richiama infatti, la Corte, la definizione di cui all'art. 2 della Convenzione ONU, secondo la quale discriminatorio è anche ogni rifiuto di un accomodamento ragionevole, dove per quest'ultimo si intende "le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l'esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali".

Tale questione risulta particolarmente controversa perché, se è vero che l'ordinamento tende a favorire tali categorie tramite iniziative di sostegno, al fine di evitare discriminazioni, è stato altresì evidenziato che la direttiva europea dovrebbe essere adattata al diritto nazionale lasciando margini di apprezzamento allo Stato. In relazione a tale aspetto, conformemente alla disciplina interna, occorrerebbe verificare se il datore abbia o meno messo in atto soluzioni ragionevoli in favore del lavoratore portatore di handicap al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento, ciò potendo eventualmente giustificare il licenziamento per superamento del periodo di comporto.

Tali valutazioni sono state fatte proprie dal Tribunale di Vicenza, nella sentenza del 26 aprile 2022, in cui si specifica come "la nozione di disabilità introdotta dalla direttiva comunitaria non prevede una tutela assoluta in favore del soggetto disabile, dovendosi salvaguardare il bilanciamento degli interessi contrapposti", in quanto l'interesse del datore di lavoro potrebbe infatti essere fortemente compromesso dall'assolutizzazione dell'interesse del lavoratore, e verrebbe compresso il potere datoriale di recedere dal contratto di lavoro di un dipendente disabile. Si rileva, infine, come il CCNL in questione prevede un rilevante periodo di comporto ed espunge dal calcolo del comporto le visite mediche determinate da patologie gravi che richiedono interventi salvavita, ciò già potendo costituire un "accomodamento ragionevole".

Si tratta, pertanto, di un tema particolarmente controverso, su cui si rende opportuno attendere le novità della giurisprudenza europea e nazionale affinché chiarisca gli aspetti forieri di maggiori dubbi: da un , infatti, lato occorre tenere in considerazione la necessità di integrare la disciplina lavoristica ordinaria con iniziative e tutele nei confronti di soggetti portatori di handicap, in modo tale che la loro condizione non li penalizzi ingiustificatamente e discriminatoriamente rispetto alle scelte imperative del datore di lavoro. D'altro lato, tuttavia, tali tutele non possono essere senza limiti, ma dovrebbero essere sempre giustificate e rapportate alla gravità della situazione, in modo tale che non diventino delle giustificazioni pretestuose a danno del datore di lavoro e, soprattutto, che garantiscano a quest'ultimo un buon margine di certezza nelle ipotesi in cui ritenga di procedere a licenziamento per superamento del periodo di comporto.

Data: 16/12/2024 07:00:00
Autore: Francesco Chinni e Sergio Di Dato