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Viaggio nelle insidie del consenso informato in veterinaria

Appesantimento burocratico o espressione di principi costituzionali? Un consenso realmente possibile?


Il veterinario come figura ieratica

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La mia personale esperienza professionale mi porta a pensare che il consenso informato in ambito veterinario, limitatamente alla cura di animali domestici, sia ancora percepito come un appesantimento burocratico. Se ne ignora la fonte (erroneamente individuata nel codice deontologico professionale) indicandolo spesso all'interno dello stesso modulo con il quale viene rappresentato il preventivo di quella che sarà la prestazione veterinaria. Irricevibile. Il consenso informato non è il documento che lo contiene ma l'attività che il veterinario deve svolgere per fornire al proprio cliente l'informazione al consenso. Tale distorta percezione è comune al veterinario e al di lui cliente, interessato e concentrato, quest'ultimo, sulla guarigione del suo animale piuttosto che a capire in cosa consisterà, quali alternative, quali le conseguenze della prestazione veterinaria rappresentatagli. Percependolo, il veterinario inevitabilmente dedicherà poco tempo all' informazione dovuta al proprio cliente. Nel momento in cui ci si rivolge al veterinario (e lo stesso dicasi per la medicina umana) temo riviva quell'antico principio - certo superato dalla lettera della norma - per cui il rapporto veterinario-cliente esprime da una parte il dovere del primo di curare bene l'animale e l'obbligo del secondo di rimettersi completamente e passivamente alle scelte del veterinario quale figura ieratica, inattaccabile sotto il profilo risarcitorio. Tanto più quanto il professionista goda di una certa stima professionale riconosciuta o lavori all'interno di una struttura ritenuta qualificata. "Il medico decise cosa il paziente debba sapere e quanto debba essergli tacuto; il fatto stesso che il paziente si rivolga al medico presuppone che vuole essere curato" (Corte App. Milano sent. 16.10.1964). La norma, la legge n. 219/ 2017, preceduta da ampia giurisprudenza anche costituzionale, per il solo fatto di esistere, di essere stata scritta, da sola non ha la capacità di incidere in modo significativo su tale visione del rapporto veterinario-cliente. E questo per una serie di motivi sui quali tornerò.

La relazione veterinario-cliente

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Una relazione così intesa inficia pericolosamente il diritto al consenso informato, fondamento di quella relazione veterinario e paziente che deve basarsi sulla corretta informazione per giungere a essere un percorso decisionale condiviso pur nei limiti di cui si dirà. La fonte di tale diritto ha natura costituzionale e l'esatta individuazione di questo fondamento la troviamo, per quanto riguarda la medicina veterinaria, nell'art. 2 della nostra carta fondante. Interpretazione ritenuta discutibile da chi sostiene trattarsi di un espediente per attribuire riconoscimento di una posizione giuridica soggettiva non espressamente richiamata da una disposizione costituzionale. Soltanto un osservatore disattento potrebbe sostenere che nel nostro sistema normativo gli animali siano tuttora assimilati tout court ai ben mobili, senza alcuna specificazione che ne tratteggi un regime differenziato rispetto a quello previsto per gli oggetti inanimati. Allargando lo sguardo all'intero ordinamento giuridico non si può negare che lo status degli animali stia assumendo nella nostra società un ruolo sempre più importante, tanto da venire riconosciuta l'evidente natura di esseri viventi. E tra tra uomo e animale domestico si crea una relazione affettiva che non può non essere considerata. Non è sufficiente affermare apoditticamente che il cambiamento delle abitudini influenzi il legislatore senza comprendere quali siano i meccanismi logici e giuridici con i quali ciò si realizzi. La fisiologica tensione evolutiva del diritto non può che tradursi nell'assoggettamento a disciplina di circostanze che, in precedenza, erano a essa indifferenti. Motivo per cui non condivido chi scrive che il consenso informato nasce in medicina umana trasformandosi come varca la soglia dell'ambulatorio veterinario, perdendo il crisma che lo consacra espressione di un bene superiore riconosciuto alla persona umana, per diventare, molto pragmaticamente, l'elemento su cui si fonda la validità del contratto tra veterinario e cliente. Gli animali d'affezione sono ormai riconosciuti in diverse sentenze quali componenti de isistemi sociali e partecipi alle dinamiche affettive degli ambienti familiari, capaci di influenzarne equilibrio e stabilità. Un rapporto senza dubbio coperto da tutela costituzionale dove si inserisce proprio una di quelle attività realizzatrici della persona umana che il richiamato articolo 2 tutela Tornando alla relazione veterinario - cliente (e compagno umano dell'animale domestico che riceverà la prestazione veterinaria), ripercorriamola partendo da quella che è una iniziale e specifica diagnosi. A questa segue una fase informativa attraverso la quale il veterinario trasmette ogni informazione che possa essere utile al cliente perché questo possa esprimere un adeguato e documentato consenso (soprattutto nell'interesse del veterinario). Già da queste premesse emerge l'assoluta difficoltà di essere il consenso informato quella categoria giuridica pensata forse dal legislatore. Calato nella realtà non è quello che dovrebbe e vorrebbe essere tanto che in veterinaria (come in medicina umana) quella auspicata relazione veterinario-cliente la troviamo espressa in una "crocetta", in un "si"(quasi mai un no), in un "ho capito", in un "sono stato informato".

Il consenso informato è realisticamente possibile"

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La domanda è scomoda ma necessaria. Se non lo fosse (realisticamente possibile) ci troveremmo davanti ad una legge formale che contiene una promessa che tale rimane facendo rivivere quella antica infallibilità attribuita all'arte medica e ai suoi interpreti. Proviamo a non fare sconti. In quale modo il cliente può discettare con il veterinario laddove il primo con ogni probabilità nulla conosce dell'arte medica" Possiamo condirla come vogliamo questa relazione condivisa o alleanza terapeutica ma nonostante tutte le variabili che possono esserci (anche il grado di istruzione) temo che si tratti di una distanza siderale o di un divario di fatto che deve farci riflettere. Più le conoscenze scientifiche diventano sofisticate tanto più quella distanza da siderale diventa insuperabile. A tanto si aggiunga -tra le tante variabili- lo stato d'animo con il quale ci si rivolge al veterinario, sperando che possa fare quello che con linguaggio popolare viene chiamato "miracolo" (e che invece è espressione di alta professionalità e competenza). Siamo assai lontani dall'immagine fuorviante delle veterinario della nota e antica pubblicità dell'amaro Averna il quale, a bordo della sua Jeep, andava a salvare il nascente puledro. Oggi la prestazione veterinaria, oltre ad essere iperspecializzata, è spesso esercitata in forma di società e affidata a una equipe di veterinari ciascuno con una propria specializzazione. Tale realtà di fatto crea ulteriore complicazione all'affermazione di quella relazione terapeutica così importante dal momento che non è chiaro se sia sufficiente acconsentire "in bianco" all'intera equipe oppure prestare il consenso specificando a quale determinato sanitario viene riferito.

La personalizzazione del consenso informato

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Come anticipato il consenso informato non deve essere inteso come documento ma come attività che il veterinario deve svolgere per fornire al proprio cliente l'informazione al consenso. Prima di eseguire la prestazione il veterinario deve informare il cliente su tutti i rischi prevedibili comprese le complicanze statisticamente meno frequenti e con esclusione di quelle eccezionali e altamente improbabili. Questo perché in caso di eventuale contestazione (sul prestato consenso che è cosa diversa dalla contestazione della prestazione sanitaria resa o non resa secondo le leges artis) il giudice potrà rendersi conto se il cliente abbia o meno inteso quello che gli è stato rappresentato. Il consenso deve essere personalizzato, relativo cioè a quel caso e a quell'animale. Se, come spesso accade, la contestazione sorge in conseguenza di un intervento chirurgico il consenso è a quello che dovrà riferissi e non allo scibile veterinario (impersonalità del consenso). Contenendo peraltro eventuali riferimenti a situazioni che, proprio perché potenzialmente considerabili conseguenza di quell'intervento, devono avere avuto l'adesione o meno del cliente. Insomma un adeguato consenso informato deve fare risaltare quelle che potrebbero essere le criticità di una certa prestazione sanitaria posta in atto. Non è affatto irrilevante distinguere tra una eventuale situazione di urgenza o finanche di emergenza e una situazione dove la prestazione del veterinario è stata magari concordata con anticipo con il cliente (una sterilizzazione, un vaccino). Nel primo caso vi è una deroga alla necessità del consenso che ha la sua fonte nell'articolo 54 c.p. anche se il veterinario, una volta cessato lo stato di necessità, dovrà acquisire il consenso dal cliente. Ipotesi che nella quotidianità delle sale operatorie non poche volte fa emergere problematicità importanti.

Violazione del consenso informato e diritto al risarcimento del danno

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Non avrebbe senso parlare di diritto al consenso informato senza considerare l'eventuale risarcimento del danno derivante dalla sua lesione. Questa genera due tipi di danno. Un danno alla salute (dell'animale e del cliente) e una violazione della autodeterminazione del cliente. Vi sono, per elaborazione giurisprudenziale della suprema Corte, diverse situazioni che possono verificarsi. Una prima. Il paziente correttamente informato avrebbe comunque prestato il consenso. In mancanza di danno derivante dal trattamento sanitario non è dovuto alcun risarcimento. Una seconda situazione. Omessa la dovuta informazione vi è un danno alla salute dell'animale per colpa del veterinario e il cliente avrebbe comunque scelto di fare sottoporre il proprio animale alla prestazione. Sarà risarcito il solo danno alla salute. Terza situazione. Danno alla salute per colpa del veterinario ma il cliente non avrebbe fatto sottoporre l'animale alla prestazione. Esisteranno le due tipologie di danno, alla salute e alla autodeterminazione (questo in via equitativa). Quarta situazione. Danno alla salute dell'animale non determinato da colpa del veterinario ma il cliente non avrebbe comunque acconsentito alla prestazione. Vi sarà un danno per violazione della autodeterminazione del cliente e un danno alla salute considerato nella sua componente differenziale. Quinta situazione. Nella ipotesi di inadeguatezza diagnostica priva di valido consenso che per avventura avesse impedito al cliente di accedere a più accurati e attendibili accertamenti occorrerà dimostrare le conseguenze pregiudizievoli non patrimoniale e patrimoniali. Tale sintetizzata casistica deve però fare i conti con l'onere più che gravoso incombente sul cliente del veterinario. Una sorta di probatio diabolica. Quello, il cliente, deve dimostrare che se fosse estate informato avrebbe negato il consenso alla prestazione veterinaria. Una dimostrazione di un qualcosa che non è accaduto. E qui rivive quella ritenuta infallibilità della scienza medica-veterinaria laddove la giurisprudenza di legittimità più volte ha ribadito il principio per cui la non condivisine della proposta del sanitario non corrisponderebbe a ciò che accade nella maggior parte dei casi. Tradotto, appare più probabile ipotizzare che il cliente avesse acconsentito a quella proposta terapeutica piuttosto che non condividerla.

Conclusioni

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Data: 07/01/2025 07:00:00
Autore: Filippo Portoghese