Per un pugno di 85 giorni

Durante il periodo pandemico Covid-19 il Governo italiano ha ritenuto di dovere emanare una serie di atti normativi necessari, e certamente opportuni, al fine di fronteggiare anche le impellenti problematiche relative alle scadenze dei termini amministrativi e fiscali. La giustificazione di tali provvedimenti è derivata dalla ovvia necessità di fronteggiare un momento di gravissima e contingente crisi della Nazione proprio al fine di sopperire al momento di dolorosa ed allora quanto mai attuale crisi epidemiologica.
Tra i tanti provvedimenti che in quel tempo il Governo di allora emanò vi è il D.L.n.18/2020 (C.d. "Cura Italia" Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.70 del 17/03/2020), necessitato dalla ritenuta "straordinaria necessità e urgenza di contenere gli effetti negativi che l'emergenza epidemiologica COVID-19" e specificamente titolato "Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19". L'Art.67 tale D.L. prevedeva la "Sospensione dei termini relativi all'attività degli uffici degli enti impositori" stabilendo che "Sono sospesi dall'8 marzo al 31 maggio 2020 i termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso, da parte degli uffici degli enti impositori".
Oltre alla sospensione di tali termini la norma in questione prevedeva l'ulteriore sospensione dei termini per fornire risposta alle istanze di interpello, il termine per la regolarizzazione delle stesse istanze di interpello, oltre che di svariati ulteriori termini (i termini relativi alla documentazione integrativa di cui all'articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, all'articolo 6 del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 128, e all'articolo 2 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147).
Sarà bene riferire che il D.L.18/2020 fu emanato in forza delle "deliberazioni adottate dalle Camere in data 11 marzo 2020, con le quali il Governo è stato autorizzato, nel dare attuazione a quanto indicato nella Relazione al Parlamento presentata ai sensi dell'articolo 6, comma 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, allo scostamento e all'aggiornamento del piano di rientro verso l'obiettivo di medio termine per fronteggiare le esigenze sanitarie e socio-economiche derivanti dall'emergenza epidemiologica COVID-19".
Ci si è successivamente posti il quesito se tali termini di "sospensione" delle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso fossero da riferire ai soli termini in scadenza in tale frangente di particolare emergenza sanitaria o se tale sospensione producesse effetti anche per il termini non ancora in attuale scadenza il quel drammatico anno 2020. Tanto, in particolare e con riferimento all'oggetto della presente dissertazione, per ciò che riguardava i termini di decadenza per l'emissione di atti accertativi da parte dell'Agenzia delle Entrate.
Si ricorderà, infatti, che nel 2020 erano in scadenza gli Avvisi di Accertamento relativi all'anno d'imposta 2015 (2014 qualora omessa la dichiarazione), che difatti furono ritenuti notificabili sino al 25 marzo proprio in forza della disposta sospensione di 85 giorni per cui si discute. Ma la domanda era più ampia e complessa: la disposizione in questione avrebbe o no prorogato tutti gli altri termini di decadenza riferibili agli accertamenti fiscali i cui termini non scadevano il 31.12.2020, ma che comunque sarebbero scaduti successivamente" In particolare, per gli atti riferibili agli anni d'imposta successivi al 2015, avrebbe o non avrebbe avuto l'Agenzia delle Entrate ulteriore termine di 85 giorni per la notifica dei propri atti impositivi, anno per anno successivo e sino al 2019"
La risposta era inizialmente pervenuta da un corposo fronte di decisioni di merito che, con quasi conforme interpretazione, avevano ritenuto di dovere contenere quella "sospensione" solamente all'anno d'imposta 2015, ovverosia al periodo effettivamente in decadenza nel 2020. Di recente, però, la Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n. 960/2025 emessa dalla Prima Sezione in data 15/01/2025, ha colto l'occasione di interessarsi della questione - incidentalmente occupandosi del diverso Art.68 D.L.n.18/2020 - offrendo la sua contraria interpretazione e spiegando che "Occorre pertanto interpretare la normativa sopra citata nel senso che i termini di sospensione si applicano non soltanto in relazione a quelle attività da compiersi entro l'arco temporale previsto dalla norma, ma anche con riguardo alle altre attività, nel senso che si determina uno spostamento in avanti del decorso dei termini per la stessa durata della sospensione. In tal senso depone il dato letterale della disposizione dettata dall'art. 67 e l'espresso richiamo alla disposizione di carattere generale prevista dall'art. 12, comma 1, D.Lgs. n. 159 del 2015, il quale stabilisce che le disposizioni in materia di sospensione dei termini di versamento dei tributi, a favore dei soggetti interessati da eventi eccezionali, comportano altresì, per un corrispondente periodo di tempo, relativamente alle stesse entrate, la sospensione dei termini previsti per gli adempimenti anche processuali, nonché la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza in materia di liquidazione, controllo, accertamento, contenzioso e riscossione a favore degli enti impositori, in deroga alle disposizioni dell'articolo 3, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212".
La giustificazione di tale interpretazione trova conforto nel "comma 4 del sopra citato art. 67 (il quale) ha stabilito che, con riferimento ai termini di prescrizione e decadenza relativi all'attività degli uffici degli enti impositori, si applica, anche in deroga alle disposizioni dell'articolo 3, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l'articolo 12, commi 1 e 3, del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 159".
Ha infatti puntualizzato la Corte di legittimità che tale Art.12 D.L.vo 159/12 prevede che le disposizioni in materia di sospensione dei termini di versamento dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali "a favore dei soggetti interessati da eventi eccezionali" comportando – altresì e per un corrispondente periodo di tempo – anche la correlativa sospensione "dei termini di prescrizione e decadenza in materia di liquidazione, controllo, accertamento, contenzioso e riscossione a favore degli enti impositori, degli enti previdenziali e assistenziali e degli agenti della riscossione".
La Suprema Corte, dunque, ha interpretato la sospensione disposta nel periodo emergenziale non soltanto come riferibile a tutte le "attività da compiersi entro l'arco temporale previsto dalla norma", ma l'ha estesa "anche con riguardo alle altre attività" con l'effetto di determinarne, in tale contesto interpretativo, "uno spostamento in avanti del decorso dei termini per la stessa durata della sospensione" anche per tutti gli altri atti ed attività accertative non scadenti il 31/12/2020 ma il cui decorso era in tale periodo comunque in corso.
Con successivo Decreto n.1630 del 23/01/2025 la Suprema Corte ha conseguentemente ritenuto inammissibile la questione pregiudiziale circa la proroga di 85 giorni, sollevata dalle Corti di merito di Gorizia e di Lecce, richiamando l'Ordinanza N.960/2025 e ritenendo che "la questione pregiudiziale è stata affrontata e risolta dalla Corte di cassazione" con la precedente Ordinanza N.960/2025, rimarcando ancora una volta che "depone in tale direzione il dato letterale della disposizione dettata dall'art. 67, con l'espresso richiamo alla previsione di carattere generale prevista dall'art.12, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2015".
Pace fatta, dunque, uno a zero e tutti negli spogliatoi, o forse no?
In premessa abbiamo spiegato che la giustificazione alla norma emergenziale era dettata dal contingente momento di gravissima difficoltà epidemiologica, che aveva comportato l'emissione di molteplici provvedimenti di lockdown. Per il Governo di allora, dunque, si poneva la necessità di procrastinare le attività di natura amministrativa anche mediante un provvedimento, appunto, di natura emergenziale che prevedesse la "sospensione" dei termini, sia in favore dei Contribuenti (e più generalmente dei Cittadini) sia e corrispondentemente in favore del Fisco (ed in generale della Pubblica Amministrazione).
Non è un caso, infatti, che il provvedimento in esame fu titolato "Sospensione dei termini relativi all'attività degli uffici degli enti impositori". Tale "sospensione" fu estesa non soltanto, infatti, agli Enti Impositori ma, proprio in forza del richiamato art.12, comma 1, del d.lgs. n.159 del 2015 anche e corrispondentemente ai Cittadini e dunque ai "termini di versamento dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, a favore dei soggetti interessati da eventi eccezionali".
Se da un lato, dunque, in quel contesto emergenziale vi fu sospensione in favore dei Cittadini, di tale sospensione ne avrebbe goduto anche l'Amministrazione Finanziaria, proprio in ragione del richiamo all'Art.12, comma 1, D.lgs. n.159 del 2015 operato dal comma 4 dell'Art.67 Cura Italia "per un corrispondente periodo di tempo".
Nulla quaestio se quel "corrispondente periodo di tempo" fosse stato esattamente equivalente, da un lato sospendendosi i termini di "versamento dei tributi" (ed anche altro), dall'altro prevedendo corrispondentemente, appunto, pari sospensione dei "termini di prescrizione e decadenza in materia di liquidazione, controllo, accertamento, contenzioso e riscossione a favore degli enti impositori". Ma la Cassazione ha deciso diversamente, ritenendo infatti legittimo "uno spostamento in avanti del decorso dei termini per la stessa durata della sospensione" in questo caso solo in favore dell'Amministrazione Finanziaria.
Ora, pare che la terminologia usata dal Legislatore, e le conseguenze da ciò derivabili in termini interpretativi, sia stata maldestramente interpretata, conducendo a soluzioni che per il vero sembrano discostarsi dal tenore letterale delle norme e che si mantengono lontane dalle concrete ragioni che hanno determinato quella particolare normativa emergenziale, probabilmente forzandone intenzioni e ragioni, ma soprattutto conseguenze.
Un dato da cui partire, affatto di non poco conto, è l'utilizzo da parte del Legislatore del verbo "sospendere" (rivisitato dalla Suprema Corte nel suo significato al pari del verbo "spostare") in luogo di quello "interrompere" o "prorogare".
"Sospendere" vuol dire fermare temporaneamente un termine con l'intenzione di riprenderlo in seguito, ed implica uno stato di pausa momentanea. La sospensione, nel caso che ci occupa, fa specifico riferimento ai "termini di prescrizione e decadenza".
"Interrompere" significa, se inteso con riferimento ad una portata di natura temporanea, fermare invece la decorrenza di un termine che, al termine della causa di sua interruzione, proseguirà a decorrere nuovamente, con l'effetto che il periodo di interruzione non concorrerà ai fini della determinazione del tempo decorso. In diritto l'istituto della interruzione è ben conosciuto, utilizzato molto spesso, ed a titolo di esempio, nel caso della "prescrizione": una volta interrotto il termine, questo riprenderà la propria decorrenza rinnovandosi un nuovo periodo di pari misura, senza tenere conto del tempo trascorso prima dell'atto interruttivo.
"Prorogare" vuol dire poi che un termine viene spostato anche nella sua decorrenza, che riprenderà a trascorrere nuovamente dalla scadenza di quel tempo stabilito potendosi considerare il tempo precedentemente trascorso.
La scelta terminologica non dipende da un vezzo, né è affatto casuale, ma è dipendente dal senso stesso della norma, correlabile al suo significato ed intento, ed è determinazione comunemente insita nei provvedimenti interruttivi e/o sospensivi e/o prorogativi che nell'ambito della gestione della cosa pubblica sono spesso adottati. Così, a solo titolo di esempio e per citarne soltanto una, in tema di mancato o irregolare funzionamento degli Uffici finanziari, il D.L.498/1961 dispone che "Qualora gli uffici finanziari non siano in grado di funzionare regolarmente a causa di eventi di carattere eccezionale, non riconducibili a disfunzioni organizzative dell'amministrazione finanziaria, i termini di prescrizione e di decadenza nonché quelli di adempimento di obbligazioni e di formalità previsti dalle norme riguardanti le imposte e tasse a favore dell'erario, scadenti durante il periodo di mancato o irregolare funzionamento, sono prorogati".
"Interruzione" e "proroga", dunque, sono istituti molto conosciuti ed utilizzati, appunto, per stabilire le conseguenze di un evento "di carattere eccezionale", e sono strumenti comunemente adottati per stabilire la necessità di una stasi temporale in ragione anche di un evento straordinario. In entrambi i casi "i termini di prescrizione e di decadenza" subiscono ciò che ha inteso la Suprema Corte, però confondendo "sospensione" con "proroga (o "interruzione"), ovverosia l'effetto di uno "uno spostamento in avanti del decorso dei termini" per la stessa durata prevista dal provvedimento normativo.
Nel caso che ci interessa il Legislatore, invece e molto diversamente dai casi di "interruzione" e "proroga", nello scrivere l'Art.67 del D.L.n.18/2020 ha specificamente utilizzato il verbo "sospendere", tra l'altro giustificando il proprio provvedimento per la necessità di far fronte, in quel particolare periodo di tempo, alla "straordinaria necessità e urgenza di contenere gli effetti negativi che l'emergenza epidemiologica COVID-19".
La sospensione, si badi bene, non ha riguardato solamente i termini posti a carico o in favore dell'Amministrazione Finanziaria, ma ha coinvolto tutta una serie di istituzioni pubbliche, di interessi privati e di necessità di natura organizzativa. Essa, per specifico richiamo operato dal Governo di allora, ha trovato copertura nelle "deliberazioni adottate dalle Camere in data 11 marzo 2020" e propria legittimazione nell'espresso richiamo "dell'articolo 6, comma 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 243", che autorizza l'Esecutivo anche allo scostamento dagli equilibri finanziari di bilancio.
In tale descritto contesto si inserisce l'interpretazione offerta dalla Suprema Corte con riferimento agli effetti della disposta "sospensione", per il vero molto debolmente giustificata dal richiamo all'Art.12 D.lgs.159/2015, il quale – come già detto – dispone solamente di un criterio di corrispondenza reciproca tra la sospensione dei termini concessa ai Contribuenti rispetto a quella assegnabile all'Amministrazione Finanziaria.
Il richiamo all'Art.12 cit., dunque, non pare possa cogliere nel segno laddove da tale menzione se ne debba concludere per il riconoscimento di una sospensione (si potrebbe dire) a sua volta sospesa nel tempo e successivamente reiterata "a cascata". Ciò perché una semplice lettura dell'Art.12 cit. non autorizzerebbe tanto e non lo giustificherebbe affatto, prevedendo invece la norma in esame – come già chiarito – una semplice "corrispondenza" dei termini in favore dei contrapposti interessi.
Anzi, e per dirla tutta, proprio il richiamo all'Art.12 cit. andrebbe interpretato in senso opposto, dal momento che non v'è dubbio che molte delle sospensioni dei termini disposte dal "Cura Italia" nei confronti dei soggetti privati hanno estinto la loro efficacia in quel periodo e non oltre, senza reiterarsi da sole nel tempo. Così, ad esempio, una volta terminata l'emergenza pandemica, i termini per fornire risposta alle istanze di interpello sono rientrati nell'ordinaria scadenza dei 90 giorni, i termini riferibili alle procedure di cooperazione e collaborazione rafforzata sono rientrati in regime ordinario, così come anche i termini previsti dagli Artt.da 37 a 46 della legge di stabilità 2015. Nessuno ha ipotizzato che per tali termini si potesse ritenere legittima una sommatoria di ulteriori 85 giorni negli anni a venire.
Proprio il criterio della "corrispondenza" di cui all'Art.12 D.lgs.159/2015, e l'interpretazione letterale che si deve dare della norma in esame (Art.67 D.L.n.18/2020), la quale – si ripete - ha specificatamente utilizzato il verbo "sospendere" e non quelli – comunque di uso assai corrente - di "interrompere" e/o "prorogare", avrebbero dovuto indurre una diversa soluzione, coerente con lo spirito della Legge e conforme al tenore letterale della norma e del verbo dalla stessa utilizzato, ma anche contestualizzato al contingente e tragico momento storico in cui tale norma fu emanata. Interpretazione, dunque, attinente alle esigenze effettivamente coltivate dal Legislatore di allora, certo più equilibrata se non altro rispetto agli interessi in gioco e dunque meglio rispettosa dell'esigenza di certezza del diritto anche in favore del Cittadino contribuente. Ed invero, in tale differente ed opposto contesto di valutazione, e di doverosa considerazione dei diritti dei Cittadini, anche la sospensione dei "termini dei versamenti" disposta dall'Art.68 D.L.n.18/2020 (da cui La Cassazione ha preso spunto per invece occuparsi dell'Art.67) non ha trovato continuità nel tempo, non potendosi certamente ritenere che le sospensioni ivi disposte abbiano avuto l'effetto di prorogare le scadenze a carico dei contribuenti decorso il termine stabilito (nel caso dell'Art.68 invero poi successivamente più volte prorogati per disposizioni di legge).
Uno ad uno e questa volta palla al centro, o forse ancora no?
Con successivo provvedimento rispetto al D.L.n.18/2020 il Legislatore emanava un ulteriore provvedimento (Decreto-legge del 19/05/2020 n.34, poi successivamente modificato dal Decreto-legge del 31/12/2020 n.183 Articolo 22 bis) che all'Art.157 - titolato in questo caso molto opportunamente "Proroga dei termini al fine di favorire la graduale ripresa delle attività economiche e sociali" - disponeva quanto segue:
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"In deroga a quanto previsto dall'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, gli atti di accertamento, di contestazione, di irrogazione delle sanzioni, di recupero dei crediti d'imposta, di liquidazione e di rettifica e liquidazione, per i quali i termini di decadenza, calcolati senza tener conto del periodo di sospensione di cui all'articolo 67, comma 1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, scadono tra l'8 marzo 2020 e il 31 dicembre 2020, sono emessi entro il 31 dicembre 2020 e sono notificati nel periodo compreso tra il 1° marzo 2021 e il 28 febbraio 2022, salvi casi di indifferibilità e urgenza, o al fine del perfezionamento degli adempimenti fiscali che richiedono il contestuale versamento di tributi".
Nel commentare tale Art.157 la successiva Circolare Circolare Agenzia Entrate n.25 del 20/08/2020 offriva la sua soluzione al caso, per il vero questa volta assai pertinente al dettato letterale della norma in questione, precisando che: "può ritenersi ormai superata l'applicazione del periodo di sospensione dei termini prevista dal citato articolo 67 (D.L.n.18/2020), in quanto lo stesso periodo (8 marzo - 31 maggio 2020) è ora ricompreso nel più ampio arco temporale in cui opera la proroga dei termini di decadenza disciplinata dall'articolo 157 (entro il 31 dicembre 2020)".
Dunque la pace sembra fatta, poiché contenendosi nell'alveo della corretta interpretazione della norma sopravvenuta, la Circolare ha altresì chiarito che "L'articolo 157 del Decreto ha, quindi, un carattere di specialità rispetto alla disposizione precedente, sia con riferimento all'oggetto che alla portata dei suoi effetti (è rubricato espressamente come proroga dei termini di decadenza), seppur limitatamente ad atti e imposte che scadono tra l'8 marzo e il 31 dicembre 2020, ed abbraccia un periodo più ampio degli 85 giorni fissati dall'articolo 67".
Con riferimento all'Art.157 cit. la terminologia usata dall'Agenzia delle Entrate risulta in tal caso attinente al significato testuale delle norme e dei verbi utilizzati, e difatti coglie nel segno, specificando che in luogo della "sospensione" dei termini disposta dall'Art.67 cit. si debba invece considerare la "proroga" disposta dall'Art.157 che assume infatti "carattere di specialità rispetto alla disposizione precedente, sia con riferimento all'oggetto che alla portata dei suoi effetti".
L'Art.157 si rivolge agli atti "per i quali i termini di decadenza, calcolati senza tener conto del periodo di sospensione di cui all'articolo 67, comma 1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, scadono tra l'8 marzo 2020 e il 31 dicembre 2020" e ne prevede la possibilità di emissione "entro il 31 dicembre 2020" con possibilità di loro notifica "nel periodo compreso tra il 1° marzo 2021 e il 28 febbraio 2022".
In ragione di tale sopravvenuta norma, indubitabilmente – e per come rilevato dalla stessa Agenzia delle Entrate – avente carattere di "specialità", la sospensione di cui all'Art.67 D.L.n.18/2020 non può più essere considerata operante, mentre si dovrà fare esclusivo riferimento al disposto di cui al menzionato Art.157. Tale sopravvenuta norma, per come già spiegato, ha effetti "limitatamente ad atti e imposte che scadono tra l'8 marzo e il 31 dicembre 2020", dunque non certo per gli altri atti impositivi per i quali i termini sarebbero scaduti successivamente, disponendone – questa volta mediante un coerente utilizzo verbale – la "proroga" solamente con riferimento ai termini di loro notificazione entro il 28/02/2022 ma confermandone l'obbligo di loro emissione "entro il 31 dicembre 2020".
Dal che se ne deve concludere che solo per gli atti impositivi emessi "entro il 31 dicembre 2020", i cui termini ordinari di decadenza sarebbero comunque scaduti "tra l'8 marzo e il 31 dicembre 2020", l'Amministrazione Finanziaria possa godere di una proroga per la loro successiva notifica sino al 28/02/2022, con buona pace a questo punto dei riferimenti alle annualità successive al 2015 (2014 per le dichiarazioni omesse) per gli atti accertativi per i quali i termini di decadenza, calcolati senza tener conto del periodo di sospensione di cui all'articolo 67 … scadono tra l'8 marzo 2020 e il 31 dicembre 2020, e comunque non emessi nel termine del "31 dicembre 2020" e delle enucleazioni argomentative circa un possibile effetto di proroga ripetitiva nel tempo, e con altrettanta buona pace per chi - da tale complesso contesto normativo emergenziale - ha ritenuto di potere trarre interpretazioni oltremodo estensive (ed invero letteralmente sganciate dal significato verbale dei termini utilizzati dal Legislatore) ritenendo "uno spostamento in avanti del decorso dei termini per la stessa durata della sospensione" in verità affatto operante, nemmeno considerato della norme richiamate a supporto, e comunque - alla luce della nuova disposizione di cui al D.L. n.34 del 19/05/2020 - di cui è davvero oramai inutile disquisire.
Avv. Daniele Osnato
Avvocato tributarista
Data: 01/03/2025 07:00:00Autore: Daniele Osnato