Abuso d'ufficio: la Cassazione solleva questione di legittimità costituzionale
Per la Suprema Corte di Cassazione sarebbero violati gli artt. 11 e 117 della Costituzione

La vicenda processuale
Il Tribunale di Avellino condannava un consigliere comunale per il reato di abuso d'ufficio. La Corte d'appello di Napoli, con sentenza del 18-4-2024, confermava la condanna di primo grado.
Com'è noto, il delitto in questione è stato abrogato con la L.114/2024.
Il difensore dell'imputato, pertanto, ricorreva per cassazione chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza di condanna per pacifica abolitio criminis.
La Corte di cassazione, tuttavia, sospendeva il processo e trasmetteva gli atti alla Corte costituzionale, ritenendo fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.1 della L.114/2024, che abroga l'art.323 c.p., in riferimento agli artt. 11 e 117 Cost., in relazione agli artt. 1, 7, 19 e 65 della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall'Assemblea generale dell'ONU il 31-10-2003, firmata dallo Stato italiano nel 2003 e ratificata con a L. 116/2009.
L'ordinanza della Cassazione
Il Giudice nomofilattico ha emesso una corposa ordinanza (n. 9442/2025 sotto allegata) a sostegno dell'eccezione di costituzionalità che possiamo così di seguito compendiare, invitando il lettore ad una lettura più approfondita dell'allegato.
In prima battuta, viene chiarito che la questione di legittimità in riferimento ad una norma abrogatrice di un reato è ammissibile, ancorché possa produrre effetti in malam partem, e non collide con il principio di riserva di legge ex art. 25 Cost., come già chiarito da una pronuncia del Giudice delle leggi con sentenza n. 37/2019.
Sebbene, in linea di principio, le questioni volte a creare nuove norme penali siano inammissibili, vi possono essere eccezioni. Infatti, è stato chiarito che, ad esempio, "può venire in considerazione la necessità di evitare la creazione di "zone franche" , laddove il legislatore intoduca norme penali di favore, che sottraggano irragionevolmente un determinato sottinsieme di condotte alla regola della generale rilevanza penale di una più ampia classe di condotte" (Cort. cost. n.394/2006) oppure, come pare nel caso di specie, quando si assuma la contrarietà della disposizione censurata a obblighi sovranzionali rilevanti ai sensi dell'art.11 o 117 Cost. Tra l'altro, non si tratterebbe di introdurre una nuova fattispecie criminale, bensì di rimuovere una norma incostituzionale, il cui effetto è la reviviscenza di un reato abrogato e introdotto in origine con norma costituzionalmente conforme e rispettosa dell'obbligo sovranazionale.
Entrando nel merito, la Suprema Corte rileva come la questione non sia manifestamente infondata, richiamando le plurime ordinanze di merito succedutesi nel corso degli ultimi mesi. Poiché rileva il rapporto tra gli artt. 11 e 117 Cost. con le fonti sovranazionali, si evidenzia che la Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ratificata dall'Italia con L.116/2009) mira a promuovere e a rafforzare le misure volte a prevenire e combattare la corruzione in modo più efficace.
Gli Ermellini si spendono in una esaustiva esegesi della Convenzione, che contempla un ampio novero di misure preventive, volte ad istituire un articolato ed efficace sistema contro la corruzione, oltre ad un apparato dedicato alla cooperazione internazionale tra gli Stati firmatari.
L'art. 19 della Convenzione utilizza una definizione di "abuso d'ufficio" omologa a quella dell'art.323 c.p., ossia quella del pubblico ufficiale che abusa delle proprie funzioni o posizione ovvero compie o si astiene dal compiere un atto del proprio ufficio in violazione di leggi per trarne un vantaggio per sé o per altri.
La Guida per l'implementazione della Convenzione precisa che gli Stati devono adottare tutte quelle misure necessarie al raggiungimento dell'obiettivo, non necessariamente contemplando l'introduzione di una determinata ipotesi di reato se incompatibile con il proprio ordinamento. Tuttavia, la Convenzione, con l'utilizzo del verbo "mantain", obbliga gli Stati contraenti a preservare gli standard di tutela già raggiunti e, dunque, ad astenersi dall'adottare misure, legislative o amministrative, che comportino il regresso rispetto al livello di attuazione già raggiunto. Chiosa la Corte che ciò non significa che le norme penali interne, necessarie a garantire l'obiettivo della Convenzione, debbano rimanere cristallizate al livello più rigoroso, ma attribuisce alle stesse una particolare forza di resistenza all'abrogazione.
Alla stregua di questo ragionamento, si deduce che l'abrogazione del reato di abuso d'ufficio abbia comportato quella reagressione che la Convenzione mira ad evitare, non essendo compensata con l'adozione di altri meccanismi, preventivi o repressivi, penali o amministrativi, volti a mantenere lo stesso standard di efficacia.
Data: 14/03/2025 07:00:00Autore: Andrea Cagliero