Cassazione: prelievo utili prima del bilancio? Non sempre è reato
La Corte ha poi aggiunto che pur essendo un dolo generico quello richiesto dall'articolo 216 della legge fallimentare, "è pur sempre necessaria la consapevole volontà dell'agente di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell'impresa e di compiere atti che cagionino o possano cagionare danno ai creditori. L'elemento soggettivo del delitto di bancarotta, infatti, non è certo in re ipsa, ma deve essere desunto da un esame puntuale della fattispecie concreta sottoposta al vaglio del giudice. Tanto più preciso e rigoroso deve essere tale esame quanto più lontano nel tempo rispetto allo stato di insolvenza ed alla dichiarazione di fallimento si colloca il presunto atto distruttivo” e che “per essere qualificato distruttivo non è necessario, secondo la giurisprudenza maggioritaria, che l'atto sia legato da un nesso eziologico con lo stato di insolvenza e, quindi, con la dichiarazione di fallimento”.
“Insomma – precisa la Corte – nella motivazione della sentenza impugnata non è dato desumere che nel caso di specie sia stato compiuto quell'esame puntuale della condotta, richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, teso ad accertare sia la pretesa irregolarità dei prelievi effettuati, sia la ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato a fronte di una macroscopico passaggio del tempo tra la effettuazione delle operazioni contestate -1992- e la dichiarazione di fallimento -1998-“. Data: 14/10/2009 09:00:00
Autore: Cristina Matricardi