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Si scrive AGCOM, si pronuncia sceriffo della Rete?

Roma - Sullo schema di decreto legislativo con il quale il Governo si accinge a dare attuazione nel nostro Paese alla direttiva europea sui servizi media audiovisivi si è già detto e scritto molto. È fuor di dubbio che si tratti di un'iniziativa legislativa delicata ed i cui effetti possono trascendere quelli sin qui tratteggiati perché, in buona sostanza, attraverso essa si stanno scrivendo le regole destinate a disciplinare il sistema media italiano dei prossimi anni. C'è, tuttavia, un aspetto dello schema di decreto che merita, forse, di essere approfondito più di quanto non sia sin qui stato fatto. Si tratta dell'enorme potere sui contenuti che circoleranno in Rete che il decreto legislativo - poco importa se in modo consapevole o inconsapevole - attribuisce all'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
Ma andiamo con ordine e proviamo a vedere quali sono i principali tra questi poteri e quali le perplessità che tali attribuzioni sollevano.

L'art. 3, in materia di trasmissioni transfrontaliere, innanzitutto, riconosce all'AGCOM il potere di sospendere a titolo provvisorio o definitivo la ricezione o ritrasmissione di "servizi media audiovisivi" e, quindi - complice l'ambiguità ed ampiezza di tale definizione declinata all'art. 4 - di un'ampia gamma di contenuti che vanno da quelli irradiati via IPTV sino al videoblog o al canale su YouTube o ad un'intera piattaforma di aggregazione di contenuti audiovisivi realizzati e pubblicati da terzi (UGC).
L'AGCOM, in forza di quanto disposto dal comma 8 dell'art. 3, per ottenere il rispetto di tali provvedimenti potrà persino ordinare "al fornitore di servizi interattivi associati o di servizi di accesso condizionato o all'operatore di rete o di servizi sulla cui piattaforma o infrastruttura sono veicolati programmi, di adottare ogni misura necessaria ad inibire la diffusione di tali programmi o cataloghi al pubblico italiano" dietro "minaccia" in caso di mancato adempimento di tale ordine, di sanzioni, a carico dei provider, che potranno spingersi sino a 150 mila euro.

Tali provvedimenti potranno, tra gli altri casi, essere adottati anche per violazione della disciplina in materia di obbligo di rettifica destinata ad essere applicata anche ai contenuti informativi online nonché - ed è forse uno degli aspetti più inquietanti - alle violazioni della disciplina in materia di diritto d'autore.
In altre parole, dunque, il Decreto Romani attribuisce all'AGCOM, poteri dei quali, sin qui, si è dubitato disponga persino l'autorità giudiziaria.

La vicenda The Pirate Bay, il più recente caso FAPAV-Telecom o, piuttosto, il confronto acceso tra Governo e Rete a margine dell'episodio di aggressione del Premier a Milano, sono tutte questioni che, se il c.d. Decreto Romani fosse già stato in vigore, avrebbero potuto essere risolte senza scomodare l'autorità giudiziaria e sulla base di un semplice intervento dell'AGCOM - magari richiesto dall'Esecutivo o dai titolari dei diritti - con buona pace di ogni diritto alla difesa e, soprattutto, ad un procedimento giurisdizionale.
Si tratta di un aspetto che non può lasciare indifferenti in quanto l'AGCOM è, evidentemente, un soggetto privo di natura giurisdizionale autorizzato ad adottare i citati provvedimenti senza neppure l'obbligo di sentire gli interessati.

Se a questo si aggiunge - e si tratta solo di una constatazione senza alcuna finalità polemica - che i membri dell'Autorità sono nominati dal Parlamento mentre il suo presidente è designato dal Capo del Governo, è difficile condividere la scelta compiuta con il Decreto Romani e non essere preoccupati per il futuro della libertà di informazione in Rete.

Si tratta, peraltro, di un approccio difficilmente compatibile con i principi, di recente, sanciti dal Parlamento Europeo, in sede di varo del c.d. Pacchetto Telecom: in quella sede, infatti, è stato previsto che qualunque provvedimento che restringa l'accesso a Internet può essere imposto solo se ritenuto "appropriato, proporzionato e necessario nel contesto di una società democratica" e a condizione che, "nel rispetto del principio della presunzione d'innocenza e del diritto alla privacy", sia garantita "una procedura preliminare equa ed imparziale, compresi il diritto della persona o delle persone interessate di essere ascoltate" ed "il diritto ad un controllo giurisdizionale efficace e tempestivo".

Ci sarebbe già abbastanza di cui preoccuparsi. Il Governo, tuttavia, pare intenzionato ad andare oltre e, quindi, attraverso la previsione di cui al terzo comma dell'art. 6, dopo aver ribadito che la disciplina sul diritto d'autore trova, naturalmente, applicazione anche in relazione ai contenuti media audiovisivi, attribuisce, ancora una volta all'AGCOM, il potere di emanare "le disposizioni regolamentari necessarie per rendere effettiva l'osservanza dei limiti e divieti di cui al presente articolo". Tenuto conto, tuttavia, che all'art. 6, in sostanza, si richiama l'intera disciplina sul diritto d'autore almeno nella parte rilevante per la fornitura di servizi media audiovisivi, il Governo di fatto si avvia ad attribuire all'AGCOM una sorta di delega in bianco in materia di enforcement dei diritti d'autore in relazione all'enorme e sconfinato campo rappresentato da tutti i nuovi servizi audiovisivi.

Attraverso una circolare o, piuttosto, un regolamento, AGCOM domani potrebbe importare in Italia la soluzione HADOPI e, in ipotesi, andare anche oltre, stabilendo che essa stessa può ordinare ai provider - così come peraltro già previsto in tema di trasmissioni transfrontaliere - di rendere inaccessibili talune piattaforme di comunicazione o, perché no, di non fornire risorse di connettività a taluni utenti. Certo, sarebbe un approccio contrario a quello delineato nel Pacchetto Telecom in sede europea ma la conformità al framework comunitario non sembra essere stata la prima preoccupazione di chi ha scritto il decreto.

A prescindere, tuttavia, dai contenuti e dai poteri attribuiti ad un'autorità amministrativa ancorché indipendente o semi-indipendente - come, una volta, Giuliano Amato ebbe a definire le Autorità indipendenti i cui membri sono, tuttavia, espressione del potere politico e/o del Governo - ciò che appare inaccettabile è il modo in cui il Governo - ancora una volta sottraendosi al dibattito parlamentare - stia per varare un insieme di norme attraverso le quali risolverà talune delle più complesse questioni aperte del diritto dell'Internet. Mentre, infatti, per il tramite del Ministro Maroni, gli operatori vengono invitati a sedere ad un tavolo allo scopo di valutare la possibilità di pervenire a soluzioni condivise e auspicabilmente autodisciplinari a proposito di eventuali contenuti illeciti resi disponibili online; mentre i giudici sono chiamati a pronunciarsi sulla sussistenza o meno di una responsabilità giuridica di chi si limita a pubblicare contenuti audiovisivi prodotti da terzi per i contenuti medesimi come sta accadendo nel caso Mediaset c. YouTube e mentre, infine, gli stessi giudici sono reiteratamente richiesti di decidere se possa o meno avere cittadinanza nell'Ordinamento italiano un provvedimento attraverso il quale si ordina ad un provider di inibire l'accesso ad un determinato contenuto, il Governo entra a gamba tesa su tutte queste questioni, svuotando, di fatto, di contenuto i dibattiti e le valutazioni in corso.

L'AGCOM potrebbe essere destinata a divenire l'arbitro dei contenuti - almeno se audiovisivi - che potranno circolare in Rete, tutti i soggetti rientranti nell'ampia definizione di "fornitori di servizi media audiovisivi" saranno chiamati a rispondere, anche giuridicamente, dei contenuti comunque pubblicati. Infine potrebbe essere la stessa AGCOM a ordinare ai provider proprio di rendere inaccessibile un determinato contenuto o, magari, un'intera piattaforma di condivisione di contenuti audiovisivi.

È una Rete diversa quella che ci aspetta, ed è una Rete nella quale ad un'Autorità amministrativa che sin qui - almeno nelle vicende in cui era in gioco la libertà dell'informazione - ha fatto molto ma non abbastanza, si affida il compito di fare da camera di compensazione di interessi contrapposti e, sin qui, spesso risultati difficilmente componibili se non a seguito di decisioni giurisdizionali.

Si scrive AGCOM ma si legge sceriffo della Rete. Ed è uno sceriffo che, se il decreto Romani entrerà in vigore nella sua attuale formulazione, avrà bisogno di un forte in bocca al lupo da parte di tutti: nel ruolo che l'attende - considerata la sua complessità - è più facile sbagliare che far bene.

Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell'innovazione
www.guidoscorza.it
News pubblicata su autorizzazione di: punto-informatico.it Data: 02/02/2010 10:00:00
Autore: Punto-informatico.it