La Corte di Cassazione, con sentenza n. 12489 dell'8 giugno 2011, ha affermato che "il controllo per mezzo di agenzia investigativa è lecito, qualora, come nel caso di specie, il controllo non investa l'inadempimento dell'obbligazione, ma i comportamenti del dipendente, aventi autonoma rilevanza rispetto al contenuto dell'obbligazione del lavoratore ed integranti violazioni di tipo fiscale ed anche penale". Il caso preso in esame dai giudici di legittimità vede come protagonista un dipendente addetto alla cassa licenziato dal proprio datore di lavoro che, attraverso un'agenzia investigativa, aveva verificato l'inosservanza delle procedure di cassa e la mancata registrazione di alcune vendite. Nei primi due gradi di giudizio le Corti avevano ritenuto corretta l'utilizzazione dei controlli investigativi in sede giudiziale e riconosciuta la responsabilità del lavoratore riguardo agli addebiti sollevati. La Suprema Corte, rigettando il ricorso del lavoratore, condivide il richiamo fatto dalla Corte d'Appello al costante orientamento giurisprudenziale secondo cui "le disposizioni dell'art. 2 dello statuto dei lavoratori, nel limitare la sfera di intervento delle persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale, non precludono a quest'ultimo di ricorrere ad agenzie investigative - purché non sconfinino nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, riservata dall'art. 3 dello Statuto direttamente al datore di lavoro ed ai suoi collaboratori -, restando giustificato l'intervento in questione non solo per l'avvenuta perpetrazione degli illeciti e l'esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che gli illeciti siano in esecuzione".
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