Con la sentenza n. 24039 depositata il 15 maggio 2011, la sesta sezione penale ha stabilito che l'irreperibilità del teste può essere dichiarata unicamente quando risultino espletate infruttuosamente, oltre alle ricerche previste per l'imputato dall'articolo 159 Cp, tutti gli accertamenti congrui alla peculiare situazione personale quale risultante dagli atti, da deduzioni specifiche delle parti, dall'esito dell'istruttoria nel giudizio. L'apprezzamento della ragionevole impossibilità di svolgere ulteriori efficaci ricerche compete al giudice del merito, che di ciò deve dar conto con motivazione non apparente e non manifestamente illogica o contraddittoria. La Corte ha messo nero su bianco tale pronuncia sulla base del diritto al contraddittorio, ineliminabile "elemento" del "giusto processo" come stabilito dalla Cedu e dalla Costituzione (in seguito alla riforma del 2001). Secondo i giudici di legittimità infatti il giudice, per poter dichiarare il teste irreperibile deve spiegare che, oltre ad aver posto in essere le ricerche, come previsto per l'imputato (art. 159 c.p.), il teste è stato cercato tenendo conto della situazione riferita al caso concreto come risulta dagli atti. In caso contrario, tali dichiarazioni non possono essere utilizzate senza che venga violato il principio del contraddittorio, dal quale consegue che, il luogo deputato alla formazione della prova è il giudizio in cui il contraddittorio tutela il diritto di difesa dell'imputato. In questo la Corte ha annullato una condanna che i giudici di merito avevano emesso sulla base di dichiarazioni rese da un testimone che era stato poi dichiarato irreperibile. La Corte ha fatto notare che per dichiarare l'irreperibilità del teste dovevano essere fatti tutti gli accertamenti necessari per rispettare i diritti della difesa.
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