Lo hanno stabilito le Sezioni Unite Penali (sent. n. 25887/03), risolvendo così un contrasto interpretativo sorto in giurisprudenza dopo che il DL 61/02 ha depenalizzato alcune figure di reati societari, escludendone in alcune ipotesi la punibilità. In particolare, la Suprema Corte ha analizzato le diverse prese di posizione dottrinali e giurisprudenziali, e in ossequio al principio della successione delle leggi penali (art. 2 Cod.Pen.) ha ribadito che "l'area della punibilità del vecchio art. 2621 c.c. risulta fortemente circoscritta".
Di conseguenza "i fatti commessi sotto il vigore della precedente legge, nei limiti in cui rientrano nella previsione della nuova legge, rimangono punibili, mentre gli altri non costituiscono più reato".
Inoltre, la sentenza chiarisce che se l'abolitio criminis avviene dopo la sentenza di secondo grado e prima della decisione della Cassazione, quest'ultima deve fare riferimento alla decisione di secondo grado per stabilire se gli elementi richiesti dalla nuova legge avevano formato oggetto dell'accertamento giudiziale, e, in caso negativo, deve annullare la sentenza senza rinvio. Alla luce di questi principi, dunque, i Giudici del Palazzaccio hanno preso atto della intervenuta una abrogazione parziale del reato di false comunicazioni sociali e, una volta accertato che non risulta alterata la situazione patrimoniale della società e che non risultano superate le soglie di punibilità previste dalla nuova legge, non hanno potuto far altro che dichiarare che il fatto non è più previsto come reato.