Con la sentenza n. 14771 depositata il 5 luglio 2011 la sezione tributaria del palazzaccio, in tema di applicabilità di studi di settore ha stabilito che sono inapplicabili al professionista solo perché dichiara una parcella esigua rispetto ai minimi tariffari. In sostanza la Corte ha spiegato che lo scostamento dagli standard non è un'incongruenza tale da giustificare l'accertamento induttivo. Secondo la ricostruzione della vicenda, in seguito all'annullamento degli avvisi di accertamento Irpef nei confronti di un contribuente dalla Commissione Tributaria Provinciale di Varese, poi confermato in secondo grado, l'Agenzia delle Entrate, proponeva ricorso per cassazione eccependo la mancata considerazione di elementi quali la non congruità dei compensi dichiarati rispetto agli studi di settore, l'esiguità degli onorari rispetto ai minimi tariffari applicabili, nonché la mancata fatturazione di prestazioni fornite per via telematica, come indici della gravità dell'incongruenza tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore. La Corte, rigettando il ricorso e richiamando alcune pronunce di legittimità in materia, spiegava che "il vizio di motivazione (…) appare inammissibile perché volto a conseguire un diverso apprezzamento degli elementi addotti dal'Ufficio, già valutati dalla Ctr con motivazione giuridicamente corretta (l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è "ex lege" determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli "standards", in sé considerati, Cass S.U. n. 26635/2009), non insufficiente, né contraddittoria, e dissimula, dunque, una richiesta di riesame del merito, inibita in sede di legittimità, essendo compito del giudice tributario di merito di valutare la gravità, precisione e concordanza degli indizi posti a base dell'accertamento presuntivo (Cass. nn. 19894/2005, 13819/2003)".
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