Con la sentenza n. 27468 depositata il 13 luglio 2011, la Sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito che le dichiarazioni spontanee della persona ancora non indagata, benché autoindizianti, sono comunque ricevibili e, se espresse in forma di denunzia, doverosamente verbalizzate. La Corte ha spiegato che "dal punto di vista strettamente ontologico, la denunzia di un reato altro non è che una dichiarazione e che quindi, sotto aspetto, in nulla si distingue dalle dichiarazioni di cui all'art. 63 c.p.p. E tuttavia il disposto dell'art. 63 c.p.p. non è applicabile al caso in esame perché è chiaro che - si tratti o meno di denunzia - le dichiarazioni che non possono essere raccolte, ove si palesino auto indizianti, sono quelle che la persona non indagata (o non imputata) rende nel corso di un esame e cioè su sollecitazione dell'autorità procedente e non quelle che spontaneamente esprime sia pure nel contesto di un'accusa ad altri. Conferma quanto appena detto - ha continuato la Corte - il comma 7 dell'art. 350 c.p.p. il quale ammette che la polizia giudiziaria possa ricevere le dichiarazioni spontanee della persona già indagata e non esclude tra queste quelle indizianti, salva la loro utilizzabilità nel dibattimento (…) Il discorso beninteso esclude che la polizia giudiziaria possa in qualche modo intervenire sulle dichiarazioni del soggetto, ponendo domande o in qualche altro modo inziando una sorte di interlocuzione con lo stesso. Nel caso contrario trova applicazione l'art. 63 c.p.p., versandosi nell'esame previsto da tale norma. Poiché tuttavia, come si è premesso, va escluso che vi sia stata interferenza nelle dichiarazioni dell'indagato, le dichiarazioni entrano a far parte del compendio indiziario, del quale correttamente il Tribunale ha pertanto affermato la gravità".
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