"Con riguardo alle dimissioni del lavoratore rassegnate sotto minaccia di licenziamento per giusta causa, può aversi l'annullamento delle medesime per violenza morale solo qualora venga accertata l'inesistenza del dititto del datore di lavoro di procedere al licenziamento, per insussistenza dell'inadempimento addebitato al dipendente, in quanto, in questo caso, con la minaccia del licenziamento il datore di lavoro persegue un effetto non raggiungibile con il legittimo esercizio del proprio diritto di recesso". E' quanto ribadito dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 18705 del 13 settembre 2011, ha rigettato il ricorso proposto da un dipendente e ha ritenuto insindacabile il convincimento del Giudice d'Appello. Secondo la Corte d'Appello nella fattispecie, le dimissioni, ancorché rassegnate in un contesto di aspro contenzioso, erano state consapevolmente e liberamente rassegnate, difettando sia la minaccia che la violenza, conservando intatta la loro efficacia anche con il sopraggiunto atto di recesso datoriale.
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