Gli agenti che effettuano il controllo dei detenuti agli arresti domiciliari non possono limitarsi a suonare al citofono ma debbono anche bussare alla porta per essere certi che in casa davvero non ci sia nessuno. È quanto stabilisce la sentenza della corte di cassazione che ha dato ragione ad un albanese a cui avevano sostituito domiciliari con la detenzione in carcere perché gli agenti, che avevano mostrato suo citofono, non avevano ricevuto risposta. Gli agenti avevano ipotizzato che il detenuto si era arbitrariamente allontanato ma la corte ora avverte: non basta citofonare, i carabinieri avrebbero potuto anche bussare alla porta. Inizialmente i giudici di merito avevano bocciato la richiesta dell'albanese anche se l'uomo aveva fatto presente che il citofono era guasto allegando anche una dichiarazione dell'amministratore condominiale. Accogliendo il ricorso la suprema corte ha ora rinviato la vicenda al tribunale di Bari ed ha fatto anche notare che nella fattispecie "la mancata affissione al citofono di un cartello che ne segnalasse il guasto non dimostrava la trasgressione alle prescrizioni inerenti alla misura cautelare". Per questo - scrive la Corte - "i carabinieri sarebbero potuti entrare nello stabile in cui era ubicato l'appartamento" del detenuto "facendo aprire il cancello dagli addetti alla vigilanza che prestavano servizio continuativo".
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