La Corte di Cassazione, con sentenza n. 18955 del 16 settembre 2011, ha affermato che il lavoratore, che abbandona il posto di lavoro in preda ad un attacco d'ira, non può essere licenziato poichè tale comportamento di per sè non costituisce giusta causa di recesso. Nel caso di specie la Corte d'Appello ha ritenuto che il comportamento del lavoratore non potesse essere considerato come "grave insubordinazione" o comportamento arrecante un pregiudizio tale da consistere in una violazione dei doveri fondamentali e quindi da poter costituire, si per sè, giusta causa di recesso. La Suprema Corte, nel disporre la reintegra dell'operaio licenziato, ha precisato che la previsione della sanzione espulsiva nel codice disciplinare aziendale, presupponeva la pubblica affissione dello stesso all'interno dei locali dell'impresa e doveva considerarsi indispensabile, essendo la condotta del lavoratore violatrice non di generali obblighi di legge ma di puntuali regole di comportamento negozialmente previste. La Suprema Corte ha sottolineato inoltre che dalla contrattazione collettiva l'abbandono del posto di lavoro senza giustificato motivo è valutato sanzionabile al più con l'ammonizione, una multa o la sospensione.
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