"Nell'interpretazione dei negozi unilaterali il canone ermeneutico di cui all'articolo 1362, primo comma, c.c., impone di accertare esclusivamente l'intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio, anche servendosi dei nessi grammaticali e sintattici di cui all'articolo 1363 del Cc, dovendosi escludere, di contro, per l'unilateralità che connota il negozio, che possa fasi ricorsi al canone ermeneutico della comune intenzione delle parti. Né può indagarsi, per ricostruire la volontà negoziale unilaterale, oltre il senso letterale delle parole adoperate, dando rilievo ad atti esterni al negozio, non spiegando rilevanza, a tal fine, il contesto in cui si sia progressivamente formata la volontà negoziale, ove non incorporato nel documento scritto, o la valutazione del comportamento dei destinatari dell'atto". Questo il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 19709 del 27 settembre 2011, ha cassato con rinvio la sentenza con cui la Corte d'Appello stabiliva che l'atto unilaterale di rinuncia ad un incarico da parte del dirigente fosse interpretato quale vero e proprio atto di dimissioni del rapporto di lavoro facendo riferimento a precedenti accordi e deducendo che sarebbe stato plausibile che il dipendente non avrebbe accettato di svolgere altre funzioni oltre all'incarico oggetto di rinuncia e che avesse inteso dimettersi dal rapporto di lavoro essendo stato coinvolto in una vicenda avente rilievo disciplinare.
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