Da una interpretazione letterale e sistematica dell'art. 2118 cod. civ., nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale, ma efficacia obbligatoria. Lo ha stabilito la Corte di Cassazoine specificando che, di conseguenza, "nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l'unico obbligo della parte recedente di corrispondere l'indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell'esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protaendone l'efficacia sino al termine del periodo di prevviso". Sulla base di tale principio la Suprema Corte, con la sentenza n. 20099 del 30 settembre 2011, ha accolto il ricorso proposto dall'INPS avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello aveva ritenuto, nel caso di specie, che, pur non essendoci alcuna prestazione lavorativa, il rapporto doveva considerarsi esistente per tutta la durata del preavviso e che tale principio doveva trovare applicazione anche in materia di indennità di mobilità. Accolta dunque la tesi dell'INPS secondo cui, ai fini dell'applicazione della disposizione normativa prevista dall'art. 7 della L. 223/1991, in caso di licenziamento con preavviso e accettazione della relativa indennità sostitutiva il rapporto deve considerarsi immediatamente risolto, con la conseguenza che il lavoratore, avendo avuto meno di 50 anni alla data della risoluzione, non aveva acquisito il diritto all'elevazione a 36 mesi del trattamento di mobilità.
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