"Nell'ipotesi di licenziamento della lavoratrice intimato nel periodo compreso fra la richiesta delle pubblicazioni e l'anno successivo alla celebrazione delle nozze, la presunzione legale, stabilita dall'art. 1, terzo comma, della legge 9 gennaio 1963, n. 70, che esso sia stato disposto a causa di matrimonio resta superata qualora il datore di lavoro, su cui grava il relativo onere, fornisca la prova della sussistenza di una delle cause di licenziamento tassativamente elencate nell'ultimo comma dello stesso art. 1, che rinvia alle ipotesi previste dalle lettere a, b e c dell'art. 3 della legge 26 agosto 1950, n. 860, sostituito dall'art. 2 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, fra le quali rientra il caso di colpa grave della lavoratrice costituente giusta causa di risoluzione del rapporto". E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 23416 del 10 novembre 2011, ha rigettato il ricorso proposto da un datore di lavoro, precisando che, come rilevato dalla Corte d'Appello, il fatto ontologicamente disciplinare, non ritualmente contestato, non può essere utilizzato al fine di giustificare il licenziamento e ricordando il principio dettato dall'art. 7 legge 300/70 alla cui stregua "il comportamento addebitato al dipendente ma non fatto valere attraverso il suddetto procedimanto non può, quand'anche effettivamente sussistente e rispondente alla nozione di giusta causa o giustificato motivo, essere addotto dal datore di lavoro per sottrarsi all'operatività della tutela apprestata al lavoratore dall'ordinamento". Nel caso di specie il datore di lavoro non ha tempestivamente dedotto e provato nel procedimento le gravi mancanze della lavoratrice, che avrebbero fatto venir meno l'elemento fiduciario, con la conseguenza che risulta valida la presunzione legale che il licenziamento sia stato disposto a causa di matrimonio.
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