La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 25650 del 12 dicembre 2011, ha affermato che non può considerarsi giusta causa di licenziamento il comportamento del lavoratore che indebitamente ha trattenuto emolumenti non dovuti ed erroneamente liquidati in busta paga. La Suprema Corte ribadisce che "in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, essendo determinante, ai fini del giudizio di proporzionalità, l'influenza che sul rapporto di lavoro esercita il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza. Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi a tal fine preminente rilievo non solo alla configurazione che della mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma anche all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto (ed alla sua durata ed all'assenza di precedenti sanzioni), alla sua particolare natura e tipologia". Nel caso di specie un lavoratore veniva licenziato avendo segnalato in ritardo l'erroneità della liquidazione dei compensi così dimostrando scarsa sensibilità aziendale. Tuttavia la Corte d'Appello, pur rilevando che il lavoratore effettivamente aveva posto in essere il comportamento ascrittogli, affermava che la sanzione irrogata non era proporzionata precisando che non era, infatti, leso irreparabilmente il vincolo fiduciario e, in ogni caso, nel ccnl di categoria tale comportamento non era punito con l'irrogazione della sanzione espulsiva, atteso che le fattispecie ivi esemplificate (art. 48) avevano ben diversa gravità. Era dunque evidente la sproporzione tra l'addebito e la sanzione, sia sotto il profilo del licenziamento per giusta causa che per il licenziamento con preavviso. I Giudici di legittimità, affermando che il giudice di merito si è attenuto ai principi di diritto sopra enunciati procedendo ad una valutazione rigorosa del comportamento tenuto dal lavoratore, così giungendo alla conclusione della mancanza di proporzionalità che, essendo congruamente motivata, è incensurabile, precisano in particolare che il giudice di merito non si è sottratto all'analisi dell'art. 48 del contratto collettivo e, proprio dalla valutazione del suo contenuto, ha tratto significativi clementi logici poi posti a fondamento del giudizio di non proporzionalità.
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